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    Rinnovabili da record in Gb e Germania, ma in Italia il gas naturale copre il 65% dell’elettricità

    Con il prezzo del gas naturale di nuovo alle stelle, causa lo stop del transito attraverso l’Ucraina del combustibile estratto in Russia, si torna a discutere di quale sia la politica energetica (e climatica) migliore per l’Italia. Perfino l’Area, l’Autorità di Regolazione per energia reti e ambiente, invita a insistere sulle rinnovabili.

    In una intervista a Repubblica il presidente Stefano Besseghini riconosce: “La crescita delle fonti a bassa emissione carbonica rimane la strada principale per ridurre i costi dell’energia. Anche se deve essere chiaro che la loro introduzione spingerà i costi della realizzazione degli impianti e delle infrastrutture necessari per gestirle. Una ridistribuzione che però avrà l’innegabile vantaggio dio ridurre la dipendenza e quindi la volatilità dei prezzi”.

    Anche senza voler considerare l’azzeramento delle emissioni di gas serra, l’eolico, il fotovoltaico e le altre rinnovabili danno dunque vantaggi economici e di autonomia: il sole e il vento non li dobbiamo importare, come invece avviene per gas naturale, petrolio, e un domani uranio, se davvero ripartisse il nucleare civile. C’è, come spiega il presidente dell’Arera, da investire in nuove infrastrutture e in una rete elettrica capace di immagazzinare l’energia prodotta in eccesso (quando c’è) per redistribuirla dove e quando serve. Chi si oppone sostiene che un grande Paese industriale non può fare affidamento esclusivo su eolico e solare, la cui produzione è legata all’alternanza giorno-notte e alle condizioni meteo. Ma questo approccio sembra più mirato a difendere lo status quo che a delineare una vera politica energetica proiettata nel futuro.

    L’intervista al presidente dell’Arera

    Besseghini: “Gas, rialzi inevitabili, ma non torniamo al 2022. Insistiamo sulle rinnovabili”

    Rosaria Amato

    03 Gennaio 2025

    Nonostante si parli da anni di transizione energetica, i nuovi impianti eolici e fotovoltaici faticano a decollare, per l’opposizione delle amministrazioni locali o delle soprintendenze. Nel frattempo, come fa notare lo stesso Besseghini, il gas naturale rappresenta ancora il 65% della produzione di elettricità in Italia. “E non basta variare i fornitori”, passando dalla Russia all’Azerbaijan o all’Algeria. Se invece di puntare tutto sullo scouting di nuovi giacimenti fossili e di nuovi governi “amici” da cui acquistare gas e petrolio a buon mercato, si fosse investito decisamente in energie rinnovabili e in una rete adatta al loro loro stoccaggio e distribuzione, forse non saremmo qui a leccarci le ferite a ogni crisi geopolitica che fa salire i prezzi.

    Senza scomodare l’esempio della lontanissima (geograficamente e socialmente) Cina, c’è chi vicino a noi ha avuto una politica energetica più lungimirante, che sta già dando i suoi frutti. Proprio in queste ore è stato reso noto che nel 2024 il 58% dell’elettricità del Regno Unito è stata prodotta da fonti a basse emissioni di carbonio. Scendendo nel dettaglio: il 45% è stata generata da eolico, fotovoltaico e biomasse, il 13% dalle centrale nucleari britanniche. L’anno scorso i combustibili fossili hanno coperto il 28% del fabbisogno. Comunque troppo, ma niente a che vedere con il 70% dell’Italia (se al gas si sommano carbone e olio combustibile).

    Energia

    Record nel Regno Unito: nel 2024 mai così tanta elettricità a basse emissioni

    di redazione Green&Blue

    03 Gennaio 2025

    Anche nella vicina Germania (che ha rinunciato al nucleare ma tiene in vita il carbone) la transizione energetica ha tutto un altro passo e ha prodotto il dimezzamento delle emissioni di CO2 in dieci anni. Il 1° gennaio scorso gli impianti tedeschi di energie rinnovabili hanno fornito più elettricità di quanta ne sia stata consumata in tutto il Paese (il 125% della domanda in alcuni momenti della giornata).

    Non solo: secondo il Fraunhofer-Instituts für Solare Energiesysteme (Ise), il più grande istituto di ricerca sull’energia solare presente in Europa, la produzione di elettricità in Germania ha raggiunto una quota record di energie rinnovabili del 62,7% nel 2024. In Italia sfiora il 40%, secondo il monitoraggio dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea).

    Anche la Spagna fa meglio di noi con circa il 50% di elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Se non ci si vuole misurare con il presente, vale forse la pena immaginare gli scenari futuri. La Iea prevede che a livello globale entro i prossimi due anni solare e fotovoltaico, presi singolarmente, supereranno il nucleare come produzione di elettricità. Entro il 2030 avranno sorpassato anche l’idroelettrico. Nei primi anni del prossimo decennio si lasceranno alle spalle il gas naturale.

    E dopo il 2035, in tutto il mondo, saranno di gran lunga le due tecnologie che produrranno la maggior quantità di elettricità. Questo è quello che ci aspetta, secondo il più autorevole think tank sull’energia. Chi governa può decidere di pianificare una politica di lungo termine basata su tali analisi, come sembra suggerire anche il presidente di Arera Besseghini. Oppure rincorrere le crisi geopolitiche, andando a comprare gas e petrolio di volta in volta dal miglior offerente, lasciando a chi, nei prossimi dieci anni, ci avrà creduto e investito, tutti i vantaggi industriali, tecnologici e occupazionali della transizione energetica. LEGGI TUTTO

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    Senza l’impatto dell’uomo le balene vivono molto più a lungo di quanto credevamo

    Lunga vita alle balene. Se non ci fossero le nostre azioni, quelle che ostacolano la loro esistenza, non ci sarebbe nemmeno bisogno di augurarglielo: alcune specie – ha recentemente scoperto team di ricercatori – vivono molto più a lungo di quanto si ipotizzasse finora, anche il doppio. Un gruppo di ricercatori internazionali – tra cui gli esperti Greg Breed dell’Università dell’Alaska Fairbanks e Peter Corkeron studioso di cetacei della Griffith University e della NOAA, in un nuovo studio pubblicato su Science Advances raccontano come le balene franche australi abbiano una vita che supera ampiamente i 100 anni. Il 10% di queste balene può vivere fino a 130 anni e alcuni esemplari arrivano anche a un secolo e mezzo di esistenza, ben 150 anni di vita fra i mari del sud, dall’Australia alla Nuova Zelanda o il Sudafrica.

    Queste balene sono lontane parenti di quello che ad oggi è considerato il mammifero più longevo al mondo, ovvero la balena della Groenlandia, nota anche come balena franca della Groenlandia o balena artica, capace di vivere sin oltre 200 anni. Una delle straordinarietà di questa scoperta sta nel fatto che possiamo osservare chiaramente gli impatti delle azioni dell’uomo su questi affascinanti e al contempo misteriosi animali.

    Fino a 25 anni fa si pensava ad esempio che le balene franche del Nord Atlantico e le balene franche australi fossero un’unica specie con una durata media della vita di circa 70 anni. Gli esperti, dopo la divisione fra le due specie, hanno iniziato ad accumulare sempre più dati sia sull’Eubalaena glacialis, che si muove nel Nord Atlantico, sia sull’Eubalaena australis che frequenta i mari d’Australia e del sud. Successivi studi hanno dimostrato che la vita delle prime, le balene franche del Nord Atlantico, ha una durata media di soli 22 anni e raramente questi mammiferi arrivano a campare oltre i 50 anni, tant’è che sono considerate una specie in pericolo critico.

    Biodiversità

    Le balene scambiano i rifiuti di plastica per calamari. Una drammatica somiglianza

    di  Paolo Travisi

    29 Ottobre 2024

    Il motivo di questa breve vita è legato alla mortalità causata dall’uomo con azioni come la caccia, i possibili impigliamenti nelle reti da pesca, l’inquinamento plastico o la collisione con le navi. Al contrario, le balene franche australi, se la passano molto meglio: decisamente meno soggette all’ingerenza dell’uomo, possono vivere per oltre un secolo e addirittura fino a 150 anni, il doppio rispetto alla stima di 70-80 anni fatta in precedenza. Al centro degli studi durati anni sono soprattutto le femmine: le stime sull’età sono state realizzate grazie ad anni di identificazioni fotografiche di singoli esemplari femmine in vari decenni. Questo perché una singola balena può essere riconosciuta, anno dopo anno, grazie alla fotoidentificazione e quando nel tempo smettono di essere riavvistate e fotografate gli esperti possono stabilire l’entrata in una fase di invecchiamento, declino o di morte.

    Grazie ai dati acquisiti i biologi hanno realizzato quelle che chiamano “curve di sopravvivenza” per stabilire il potenziale di vita delle balene. Comprendere però realmente l’età di questi cetacei è una questione molto complessa: fino a pochi decenni fa per esempio si stimava che le balene della Groenlandia vivessero al massimo 80 anni e che gli esseri umani fossero i mammiferi più longevi, poi però – anche grazie a ritrovamenti di punte di arpioni del 1800 e attraverso analisi delle proteine – si è scoperto che questa specie della Groenlandia può arrivare anche a oltre 200 anni di esistenza.

    La nuova scoperta sulle balene franche australi, spiegano gli esperti, fornisce importanti dettagli su come poter proteggere questi straordinari mammiferi marini: conoscere la durata della loro vita, così come il fatto che abbiano tempi molto lunghi per la riproduzione, offrono un nuovo sguardo su quello che dovrebbe essere l’impegno per la loro conservazione, una protezione che già oggi appare complessa per “gli impatti previsti dalla crisi climatica” scrivono gli esperti. Infine, prossimo passo per comprendere ulteriori segreti e dettagli sulla vita delle balene, sarà studiare come – per esempio caccia o azioni antropiche – impattino sulla perdita del numero di “individui anziani”, considerati animali “guida” nelle popolazioni di balene. Secondo le prime ricerche, la perdita di individui più anziani nel tempo ha influito sulla salute delle specie: in alcuni casi – sostengono gli esperti – potrebbero volerci 100 anni prima che le popolazioni di balene si riprendano davvero. LEGGI TUTTO

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    Record nel Regno Unito: nel 2024 mai così tanta elettricità a basse emissioni

    La percentuale di elettricità generata da fonti a bassa emissione di CO2 ha raggiunto il record del 58% lo scorso anno nel Regno Unito, secondo uno studio del media specializzato Carbon Brief. “Il Regno Unito ha abbandonato il carbone e ora produce la metà dell’elettricità da combustibili fossili rispetto a dieci anni fa, mentre la produzione di energia rinnovabile è più che raddoppiata”, riporta CB.

    In totale, i combustibili fossili rappresentano il 29% dell’elettricità del Regno Unito nel 2024, il livello più basso mai registrato, mentre le energie rinnovabili raggiungeranno il livello record del 45%, a cui si aggiunge il 13% di energia nucleare.

    Alla fine di settembre, il Regno Unito ha chiuso la sua ultima centrale a carbone, ponendo fine all’uso di questo combustibile nella produzione di energia elettrica – una prima volta per un membro del G7 – prima di vietare qualsiasi nuova miniera di carbone nel Paese a novembre. Il governo britannico si è inoltre impegnato a far sì che le fonti di generazione decarbonizzate coprano il 100% della domanda di elettricità del Paese entro il 2030 e il 95% della generazione totale – tenendo conto dell’ambizione dell’esecutivo di diventare un esportatore netto di elettricità. “Sarà una sfida importante”, avverte Carbon Brief, che tuttavia riconosce che “il settore energetico è già stato trasformato nell’ultimo decennio”.

    Fisco Verde

    Risparmio energetico e bonus 2025: tutte le novità

    di  Antonella Donati

    31 Dicembre 2024

    Grazie all’energia eolica, sia onshore sia offshore, il Regno Unito è uno dei Paesi più avanzati in Europa in termini di energie rinnovabili, ma è ancora indietro rispetto ai Paesi scandinavi, che ricavano gran parte dell’elettricità dal vento e dalle dighe idroelettriche.

    Nel dettaglio, secondo i media specializzati, le centrali a gas restano la principale fonte di elettricità del Regno Unito nel 2024 (28%), davanti all’eolico (26%), al nucleare (13%) e alla biomassa (13%). Le importazioni rappresentano l’11% e il solare il 4%. Ma Carbon Brief prevede che l’energia eolica supererà il gas entro il 2025, grazie all’aumento della capacità produttiva.

    Il sondaggio

    Nucleare, Ipsos: l’81% degli italiani è contrario. Pesa l’effetto Nimby

    28 Novembre 2024

    Il Regno Unito, dove il partito laburista è salito al potere a luglio promettendo di mettere il clima “al centro” della sua diplomazia, ha presentato obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas serra alla Cop29 di Baku a fine novembre. Il primo ministro laburista britannico Keir Starmer ha annunciato che il suo Paese, che si era già impegnato a garantire la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050, promette di ridurre le proprie emissioni di gas serra “di almeno l’81%” entro il 2035 rispetto ai livelli del 1990. LEGGI TUTTO

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    Mahonia, la pianta che decora i giardini

    Appartenente alla famiglia delle Berberidaceae, la Mahonia è originaria dell’Asia orientale, ma la sua storia tocca anche l’America settentrionale e l’America centrale. Composta da circa 70 specie di arbusti sempreverdi, questa pianta rustica si utilizza spesso come ornamento e decorazione, specie in giardini e terrazzi. Caratterizzata da foglie composte, pinnate e spesso anche spinose (simil Agrifoglio), colpisce per la bellezza dei suoi fiori e per la particolarità delle sue bacche.
    Mahonia, siepe indistruttibile: coltivazione della pianta
    Particolarmente apprezzata per la sua chioma sempre folta e per la fragranza intensa che emanano i suoi fiori, la Mahonia si utilizza sia come pianta singola, sia come arbusto da siepe. Solitamente questa pianta dai fiori gialli e dalle bacche scure si pone a dimora in giardino, in vaso o in piena terra, spazi in cui riesce a raggiungere i tre metri sia di altezza, sia di larghezza.
    Coltivare la Mahonia in giardino
    La coltivazione in giardino della Mahonia è una delle più frequenti; lasciandola crescere in questo spazio, infatti, se ne osserverà l’evoluzione, tra colori che cambiano e profumi inebrianti. Una volta conclusa la stagione invernale, ad esempio, alle foglie verde vivido si aggiungeranno preso piccoli fiorellini gialli, esteticamente appaganti. Con l’arrivo dell’autunno, invece, questi fiori gialli diventeranno bacche di colore blu scure e le foglie, da verdi, si tingeranno di un rosso scuro intenso. Una vera e propria metamorfosi nel tempo: affascinante in tutta la sua naturalezza!
    Coltivare la Mahonia in vaso in terrazzo
    Sebbene il massimo della sua bellezza e della sua resistenza lo si veda se piantata in giardino, la Mahonia può essere coltivata anche in vaso, in terrazzo. In questo caso altezza e larghezza raggiungeranno al massimo il metro e mezzo, ma l’effetto estetico sarà sempre molto appagante.
    Una volta acquistata la pianta, la Mahonia andrà riposta nel vaso selezionato. Se il vaso di coltivazione ha un diametro pari a 20 cm, bisognerà selezionare come vaso ospitante uno che abbia un diametro dai 25 ai 30 cm. Questa operazione di “svasamento” andrà poi fatta ogni 2-3 anni, fino a quando, alla fine, la Mahonia non sarà posta all’interno di un vaso di circa 50 cm. In questo modo la pianta avrà modo di crescere liberamente e di adattarsi agli spazi. Infine, ma non per importanza, si cambierà il terriccio superficiale ogni 2-3 anni.
    Fioritura della Mahonia
    Se c’è un elemento che più di tutti colpisce della Mahonia è senza ombra di dubbio la sua fioritura. Questa pianta resistente, infatti, si caratterizza soprattutto per i suoi fiori gialli, nati da boccioli rosso fuoco e radunati in pannocchie. Il loro profumo è inebriante, molto intenso, riconoscibile: la fioritura avviene in inverno, tra dicembre e marzo, ma dopo quest’ultima la Mahonia produce dei piccolissimi frutti, ossia le bacche. Queste si riconoscono per il loro colore viola scuro, blu o nero. Particolarmente amate dagli uccelli, sono commestibili anche per l’uomo (il sapore è un po’ acido) e si possono utilizzare anche per preparare marmellate o liquori.
    Come prendersi cura della Mahonia: esposizione e terreno
    La Mahonia è conosciuta anche per la sua estrema resistenza e per il suo grande adattamento a climi differenti. Prendersene cura non è così complesso, ma come tutte le piante richiede alcune piccole attenzioni importanti ai fini del suo benessere. Intanto, questa pianta sempreverde resiste bene al freddo e può essere lasciata in luoghi all’aperto anche in caso di temperature particolarmente rigide. L’ideale sarebbe esporla in spazi semi-ombreggiati, evitando il contatto diretto con i raggi solari, almeno in estate.

    Alcune specie di Mahonia, come la Mahonia aquifolium, preferiscono il freddo anche fino a -20°, ma evitano totalmente le temperature troppo alte, che le manderebbero in sofferenza.
    Mahonia: annaffiatura e concimazione
    Se coltivata in vaso la Mahonia va irrigata con regolarità; questo perché le radici di questa robusta pianta non possono “cercare” l’umidità in profondità, cosa che invece avviene tranquillamente in giardino. L’annaffiatura deve quindi essere abbondante soprattutto nei primi mesi successivi il trapianto, dopodiché bisogna solo assicurarsi che il terreno sia quantomeno umido. Durante la stagione estiva e quando il clima si fa più secco e arido, la frequenza di irrigazione aumenterà e la Mahonia sarà anche spostata in zone più ombreggiate.

    Se coltivata in giardino, invece, la Mahonia riceverà la giusta irrigazione dalle piogge, più frequenti nel periodo dell’Autunno e dell’Inverno. In caso di siccità o di periodi di assenza di piogge piuttosto lunghi, è importante sempre toccare il terreno e assicurarsi che non sia troppo secco. In tale caso, quindi, annaffiare generosamente.

    Per quanto riguarda invece la concimazione, la Mahonia preferisce terreni umidi, ricchi di humus e leggermente acidi. Per arricchirli ulteriormente, si può procedere aggiungendo torba o compost poco prima del trapianto della pianta.
    Potatura della Mahonia
    Affinché la Mahonia cresca bella e rigogliosa, si consiglia la potatura nei mesi tra aprile e maggio. Tendenzialmente, però, questa pianta non ha bisogno di essere potata con regolarità; crescendo molto lentamente non è necessario preoccuparsi subito di questa azione.
    Pianta versatile e molto attraente, la Mahonia è una pianta molto semplice sia da coltivare, sia da gestire. Le parole chiave per il suo benessere? Terreno drenato, posizione soleggiata ma non diretta, potatura regolare e irrigazione. Non ha grossi nemici dal punto di vista delle malattie: non le piacciono i ristagni idrici e potrebbe essere colpita da afidi o cocciniglie. In questo caso è sempre bene utilizzare prodotti specifici o, alternativa molto valida, ricorrere all’olio di neem. LEGGI TUTTO

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    Lo scioglimento del permafrost potrebbe rilasciare miliardi di tonnellate di CO2 in atmosfera

    È un circolo vizioso: l’anidride carbonica in atmosfera provoca l’aumento delle temperature; le temperature in aumento provocano lo scioglimento del ghiaccio e del permafrost; il permafrost, sciogliendosi, riversa altra anidride carbonica in atmosfera. Oggi conosciamo meglio l’entità di questo fenomeno grazie a uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Earth’s Future, i cui autori hanno combinato dati osservazionali con un modello biogeochimico per stimare la quantità di carbonio emessa dal permafrost in scioglimento, fino al 2100, in due scenari diversi.

    Nello scenario più pessimistico, quello in cui continueremmo a sfruttare i combustibili fossili, sarebbero riversate in atmosfera circa 20 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Una quantità assolutamente non trascurabile, ma – va sottolineato – inferiore a quella direttamente dovuta alle attività umane, che nel solo 2023 hanno causato l’emissione di 11,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera. Il permafrost è il suolo tipico delle regioni più fredde del mondo (ad esempio nord Europa, Siberia e America settentrionale): si tratta sostanzialmente di terreno ghiacciato composto di materiale organico che ha “intrappolato” per millenni anidride carbonica. Nelle regioni in cui le temperature scendono a meno di cinque gradi sotto lo zero, il permafrost è congelato in modo permanente. Durante l’Ultimo massimo glaciale, ossia il periodo durante il quale si ebbe la maggiore espansione dei ghiacci, circa 20mila anni fa, il permafrost copriva un’area molto più vasta di quella che copre attualmente, in particolare a partire dagli anni Ottanta, quando l’aumento delle temperature ha iniziato a diventare sempre più veloce e sensibile. Ed è proprio questa instabilità del permafrost a preoccupare oggi i climatologi.

    Riscaldamento globale

    Danni irreversibili alla criosfera, lo scioglimento dei ghiacciai non è più sostenibile

    di  Pasquale Raicaldo

    13 Novembre 2024

    Modellizzare il fenomeno, tuttavia, è molto complesso, perché molte sono le variabili in gioco. Gli autori dello studio appena pubblicato, un’équipe di scienziati della Zhengzhou University, hanno valutato profili dettagliati del carbonio intrappolato nel permafrost fino a sei metri di profondità, il doppio rispetto a quanto avevano fatto i lavori precedenti. In questo modo, hanno stimato che il permafrost dell’emisfero settentrionale contenesse 563 miliardi di tonnellate di carbonio tra il 2010 e il 2015, “seppellite” in un’area di quasi quindici milioni di chilometri quadrati. Gli scienziati, inoltre, hanno considerato due scenari diversi: il primo, decisamente ottimista, in cui riusciremo a contenere l’aumento delle temperature entro i due gradi centigradi; il secondo, peggiore ma purtroppo più realistico, in cui l’umanità continua a dipendere dallo sfruttamento dei combustibili fossili. Nel primo scenario, i ricercatori hanno stimato lo “scongelamento” di circa 119 miliardi di tonnellate di carbonio; nel secondo, la cifra sale a 252 miliardi di tonnellate. Fortunatamente, solo una piccola parte (tra il 4% e l’8%) finirà effettivamente in atmosfera, ossia 10 miliardi di tonnellate nello scenario più ottimista e il doppio in quello più pessimista. Tra l’altro, gli scienziati sottolineano che potrebbero verificarsi altre complicazioni (eventi di scioglimento improvvisi, dovuti per esempio a una diversa attività microbica) che aumenterebbero ancora di più la quantità di anidride carbonica immessa in atmosfera. Una ragione in più per insistere nelle azioni di contrasto al cambiamento climatico. LEGGI TUTTO

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    Gli utensili in plastica nera sono nocivi per la salute?

    Il mestolo per mescolare la zuppa, la pinza per impiattare gli spaghetti, la paletta per servire le melanzane al forno. Se sono in plastica nera, meglio tenerli o buttarli via? È questo il dilemma da quando i ricercatori di Toxic-Free Future e della Vrije Universiteit di Amsterdam hanno sostenuto, in uno studio pubblicato nell’ottobre 2024 sulla rivista Chemosphere, che negli oggetti realizzati con questo materiale sono presenti sostanze chimiche nocive. In particolare, la ricerca ha analizzato 203 prodotti per la casa, tra cui 109 utensili da cucina, 36 giocattoli, 30 accessori per capelli e 28 articoli per la ristorazione, concludendo che contengono ritardanti di fiamma tossici. Tra questi, gli eteri di difenile polibromurati, collegati a un aumentato rischio di malattie della tiroide, e il decabromodifeniletere, chiamato anche Bde-209 o decaBde, associato a un incremento di cancro, ad alterazioni endocrine, a tossicità neurologica e a danni riproduttivi.

    Dalla tv al vassoio per il sushi
    La storia comincia negli anni Settanta del secolo scorso, quando le aziende hanno iniziato ad aggiungere questi composti ad alcuni prodotti, come televisori e computer, per rallentare la propagazione degli incendi. Nei decenni seguenti tali sostanze sono state vietate nell’Unione europea, negli Stati Uniti e, più recentemente, anche in Cina proprio a causa della loro tossicità. Il problema è che spesso gli apparecchi elettronici, inclusi quelli realizzati prima del divieto, sono destinati, una volta dismessi, a essere riciclati. Può accadere così che la materia di cui sono formati finisca, dopo un’opportuna lavorazione, anche nei pelapatate e nei vassoi di plastica per il sushi, oltre che in collane di perline e in fermagli per la chioma.

    Scenario, frequenza, errori
    Ma per comprendere la reale portata dell’analisi di recente data alle stampe, che ha suscitato più di qualche allarmismo, è necessario tenere conto di alcuni elementi. Primo: lo studio ha considerato lo scenario peggiore, stimando i livelli di tossine presenti sulla base di una ricerca pubblicata nel 2018, che aveva analizzato utensili contenenti un’alta concentrazione di ritardanti di fiamma immersi in olio caldo per 15 minuti. Secondo: la contaminazione non si è rivelata frequente (per esempio, solo 14 prodotti su oltre 200 contenevano Bde-209). Terzo: nella ricerca è stato commesso un errore di calcolo, in seguito riconosciuto e corretto dagli stessi autori.

    Per uno zero in meno
    Nello specifico, i ricercatori avevano stimato che un utensile da cucina contenente Bde-209 avrebbe potuto trasferire agli alimenti, con un uso regolare durante la cottura, 34.700 nanogrammi di contaminante al giorno. Visto che la quantità considerata sicura dall’Environmental Protection Agency è 7 mila nanogrammi per chilo di peso corporeo al giorno, ipotizzando che il peso medio di un adulto sia circa 60 chili si otterrebbe il valore di 420 mila nanogrammi. Tuttavia, gli autori hanno dimenticato uno zero, riportando un limite giornaliero di 42 mila nanogrammi. Lo sbaglio ha fatto sembrare che l’esposizione stimata fosse quasi al limite di sicurezza, anche se in realtà era molto inferiore.

    Gli esperti raccomandano un uso attento
    Un abbaglio che potrebbe sembrare significativo, ma che viene minimizzato dagli autori del documento, che sostengono che “non influisce sulle conclusioni”, le quali restano “preoccupanti”. A rassicurare i consumatori è Joseph G. Allen, professore di Salute ambientale all’Università di Harvard, negli Stati Uniti. “Nelle abituali condizioni d’uso, è molto improbabile che le sostanze tossiche vengano rilasciate nel cibo a livelli tali da creare rischi per la salute”, afferma.

    Come regolarsi, quindi, visti i pareri contrastanti? Gli scienziati suggeriscono di tenere pure nel cassetto della cucina mestoli, palette, forchettoni, ma di mettere in pratica qualche accortezza per tutelarsi, come evitare di lasciare questi utensili in pentole o padelle calde, non riscaldare il cibo in contenitori di plastica nera, eliminare gli oggetti scheggiati o ammaccati per scongiurare la contaminazione. E, quando possibile, limitarne l’impiego, per esempio preferendo cucchiai di legno e pinze in metallo. LEGGI TUTTO

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    Kentia, la palma sempreverde da casa o ufficio

    La kentia o kenzia è una pianta da interno che si presenta con un fusto singolo che sembra ricordare una palma. Diamo uno sguardo a tutti gli aspetti più importanti per una crescita corretta e sana.
    La cura e l’esposizione della kentia (o kenzia)
    La kentia o howea forsteriana è una palma della famiglia delle arecaceae che non richiede chissà quali abilità per la sua coltivazione, anche se molto spesso si pensa il contrario. Si presenta con foglie pennate di colore verde scuro ed è in grado di raggiungere i 2-3 metri, mentre nel suo habitat naturale arriva addirittura ai 18 metri d’altezza. I fiori di questa pianta sono rari da vedere in casa, ma compaiono in estate e sono di colore verde o bruno chiaro. Successivamente, spuntano i frutti di colore rosso-arancio.

    Questa specie botanica si caratterizza per una crescita lenta, che riesce a regalare poche foglie annualmente. Anche se si sviluppa con lentezza, in realtà questa pianta è in grado di adattarsi alla perfezione a quegli ambienti dove le condizioni di luminosità sono scarse. È importante ricordare, però, che questa pianta non ama l’esposizione diretta alla luce del sole, specie durante la stagione più calda dell’anno. Quindi, dalla primavera all’autunno è fondamentale fare molta attenzione per evitare di danneggiare le sue foglie.

    Suggeriamo di collocare la pianta in un ambiente dove può avere a disposizione luce diffusa e abbondante, magari schermata da delle tende. Con il sopraggiungere dell’inverno, invece, la kenzia può essere esposta anche alla luce diretta. L’assenza totale di luce non permetterà alla pianta di svilupparsi e produrre nuova vegetazione. Per quanto riguarda la temperatura, invece, gradisce una minima di 10°C e massima compresa tra i 18°C e i 25°C. Va sottolineato che si tratta di una pianta che non subisce alcun danno con sbalzi di temperatura tra la notte e il giorno.

    Qual è il terreno migliore per la pianta?
    Il terreno ideale per una kenzia è studiato appositamente per una pianta d’appartamento: infatti, sarà necessario collocare sul fondo del vaso argilla espansa utile ad evitare il ristagno idrico e che garantisce il drenaggio corretto. Questa pianta ama i terreni con il pH leggermente acido/neutro (6,5 – 7,5). Selezionando torba e corteccia è possibile garantire un ottimo mix all’interno del vaso per migliorare la crescita della pianta.

    Quando e come annaffiarla
    Per annaffiare in maniera corretta la kentia o kenzia è necessario considerare che i primi strati del terreno devono essere asciutti. Infatti, si può procedere solo in questo momento, poiché la pianta non gradisce troppa acqua. Il suggerimento è di controllare anche le condizioni climatiche: durante l’estate è necessario irrigare con più frequenza, mentre in inverno le annaffiature si possono diminuire.

    La concimazione
    Per concimare al meglio la kenzia si può selezionare un prodotto ideale per piante verdi: in questo modo, durante l’intero anno si può bagnare la pianta, arricchendo l’acqua con la quantità corretta di concime liquido. È importante selezionare un prodotto che contiene al suo interno una quantità ottimale di azoto, così da offrire una crescita migliore alla pianta.

    Che cosa fare quando le foglie sono secche?
    A volte, le foglie della kentia possono apparire secche in punta: questo è sintomo del fatto che l’aria è troppo asciutta. Per intervenire correttamente con le foglie secche delle kentia si può aumentare l’umidità oppure spostare la pianta in un altro luogo della casa o dell’ufficio. In questo modo, le parti secche scompaiono. In alternativa, si può intervenire tagliandole con una forbice. È importante seguire la forma della foglia nel rimuovere la parte secca, così da mantenere la sua forma.

    Che fare se le foglie presentano macchie marroni?
    Un’altra problematica che si manifesta sempre sulle foglie della pianta riguarda la comparsa di macchie marroni. In questo caso, il problema si può ricondurre alle scarse annaffiature oppure a un’esposizione a temperature eccessivamente basse. Prestando attenzione a questi fattori è possibile evitare la comparsa di queste macchie sulle foglie.

    È possibile ottenere delle talee?
    In realtà la propagazione della kentia è davvero molto complicata e non si possono ottenere delle talee, cosa che con altri tipi di palme è possibile fare. Proprio per questo, sconsigliamo di effettuare esperimenti di questo genere con la pianta: se stesse pensando come alternativa alla propagazione per seme, in realtà anche questa è decisamente improbabile.

    Il rinvaso e la potatura
    Con l’arrivo della primavera si può effettuare il rinvaso della kentia. In media è bene effettuare questa operazione ogni 2 anni, così a poter accompagnare al meglio lo sviluppo della pianta ed evitare un apparato radicale troppo fitto. Suggeriamo di selezionare un vaso leggermente più ampio, senza eccedere nelle dimensioni. La kentia è una pianta che non va potata.

    Malattie e parassiti
    Proprio come succede per molte piante d’appartamento, la kenzia può essere attaccata dal ragnetto rosso e dalla cocciniglia. Entrambi i problemi si possono risolvere intervenendo con prodotti specifici per questi parassiti. Così facendo si evita di indebolire la pianta o rallentare maggiormente la crescita della vegetazione. Ricordiamo anche di evitare eccessi idrici, poiché questi fanno comparire ristagno idrico e possono addirittura portare alla morte della pianta. LEGGI TUTTO

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    Risparmio energetico e bonus 2025: tutte le novità

    Detrazioni per risparmio energetico con aliquote ridotte e addio allo sconto per le caldaie autonome a gas. Il 2025, però, potrebbe essere l’anno di incentivi rafforzati e agevolazioni semplificate per i pannelli solari per i gruppi di autoconsumo e le Comunità energetiche. Sta per essere varato infatti il Conto Termico 3.0 e si annuncia un ulteriore ampliamento dei finanziamenti. Ci sarà inoltre ancora per un anno la possibilità di avere il bonus per gli arredi e gli elettrodomestici a basso consumo per chi ha lavori di ristrutturazioni in corso, e arriva un nuovo bonus elettrodomestici per chi deve semplicemente rottamare vecchi frigoriferi, lavatrici o lavastoviglie.

    Fisco verde

    Dai pannelli alle caldaie: aumentano gli impianti finanziati dal “Conto termico”

    di  Antonella Donati

    18 Dicembre 2024

    Le nuove regole per l’ecobonus
    Per quanto riguarda le detrazioni per risparmio energetico, sia nell’ambito del bonus casa che per l’ecobonus, per il 2025 è prevista un’aliquota unica al 50%, senza più differenze, quindi, in base alla tipologia di intervento. Questa aliquota, però spetta solo per l’abitazione principale e solo per i proprietari o i titolari di diritti reali, ossia l’usufrutto e il diritto di abitazione per eredità o stabilito dal giudice. Non sarà più possibile avere la detrazione da parte dei familiari se chi vive nell’appartamento è un parente, ma neppure per comodatari e inquilini. Per le seconde case, invece, la detrazione scende al 36%. Inoltre c’è lo stop alle agevolazioni per le caldaie autonome alimentate solo a gas, come previsto dalla direttiva Case Green. Ammesse alle agevolazioni solo le caldaie ibride, ossia gli impianti che abbinano il gas ad una pompa di calore. Detrazione confermata, invece, per caldaie e stufe a legna o pellet, oltre che per i climatizzatori, in tutti i casi con aliquota differenziata tra prima casa e altre abitazioni. Bonus elettrodomestici per chi rottama quelli più datati.

    Fisco verde

    Rinnovabili, bonus per pannelli solari e gruppo di autoconsumo: come funziona

    di  Antonella Donati

    26 Novembre 2024

    Anche per il 2025, poi, viene confermato il bonus mobili, ossia la detrazione del 50% per l’acquisto di arredi ed elettrodomestici da destinare alla casa ristrutturata. Per chi non ha lavori in corso è stato introdotto un bonus ad hoc finalizzato all’acquisto di grandi elettrodomestici a basso consumo (lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi) a fronte della rottamazione di quelli più vecchi. Il bonus, fino al 30% del costo, può avere un importo massimo di 100 euro che verrà raddoppiato a 200 per gli acquirenti con un Isee al di sotto dei 25.000 euro. A disposizione un fondo di 50 milioni di euro. Sarà però necessario un decreto con le norme attuative prima di poter accedere all’agevolazione.

    Fisco verde

    Perché le pompe di calore convengono al portafogli e all’ambiente

    di  Antonella Donati

    21 Ottobre 2024

    Contributo per i pannelli
    Per chi sta pensando all’installazione dei pannelli solari, invece, arriva la possibilità di avere, in alternativa alla detrazione, il rimborso da parte del Conto Termico 3.0 se i panelli sono destinati ad alimentare un nuovo impianto di riscaldamento a pompa di calore. Rientrano nell’incentivo anche i sistemi di accumulo e le colonnine di ricarica per veicoli elettrici, e si potrà far ricorso anche ad una Esco, ossia una società energetica per realizzate l’impianto agevolato.

    Nuovi incentivi per l’autoconsumo
    Nuovi contributi in arrivo anche per i gruppi di autoconsumo. A questo proposito il ministro Picchetto ha annunciato nuove misure, volte proprio ad incentivare l’autoconsumo collettivo in tutte le sue forme. Si tratterà di un pacchetto complessivo che comprenderà semplificazioni per l’accesso all’agevolazione, un ampliamento della platea dei beneficiari, un allargamento della finestra temporale di apertura dello sportello del Gse per la presentazione delle domande per gli incentivi, ma anche nuove modalità di accesso alle garanzie finanziarie per chi intende realizzare una Comunità energetica. LEGGI TUTTO