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    Trattato mondiale della plastica: ultima chance per liberarci dall’inquinamento

    Sopraffatti dall’urgenza dettata dalla crisi climatica e impauriti dai tassi velocissimi con cui perdiamo biodiversità, rischiamo di dimenticarci un gigantesco problema: la plastica. Sappiamo bene come oggi questo materiale non solo rischia di impattare sulla salute degli ecosistemi, uccidendo migliaia di specie, ma è anche sempre più presente – attraverso le microplastiche – negli organi umani, con conseguenze ancora poco chiare sul futuro della nostra salute.

    Dal 1950 ad oggi la produzione di plastica mondiale è aumentata di oltre 200 volte, arrivando quasi a 460 milioni di tonnellate all’anno. Di questo ritmo, senza un freno alla produzione di plastica vergine e a una migliore gestione di questo materiale, si teme addirittura che entro il 2040 la quantità di plastica immessa nell’ambiente ogni anno raddoppierà rispetto al 2022. A lungo termine si prevede addirittura che l’uso della plastica potrebbe triplicare a livello globale entro il 2060, con i maggiori incrementi previsti nell’Africa subsahariana e in Asia.

    Sempre nel 2060 la metà dei prodotti plastici finirà in discarica e meno di un quinto sarà davvero riciclato. Una dimensione che il mondo naturale potrebbe non essere in grado di reggere.

    Lo studio

    Entro il 2050 i rifiuti in plastica gestiti male raddoppieranno: 8 misure per evitarlo

    di Sara Carmignani

    20 Novembre 2024

    Le divisioni che ostacolano l’intesa sul trattato
    Per questo è importantissimo – dopo la Cop16 sulla Biodiversità e la Cop29 sul Clima appena terminata a Baku – discutere e trovare un accordo internazionale, che sia giuridicamente vincolante, sulla gestione della plastica. L’occasione è, dal 25 novembre al 1 dicembre, il summit di Busan in Corea del Sud dove si stanno incontrando in queste ore i delegati di 175 Paesi che prenderanno parte al quinto round di colloqui volti a trovare un’intesa per un Trattato globale sulla plastica, un sistema per ridurne l’inquinamento in maniera concreta.

    Dal precedente ciclo di colloqui svolti ad Ottawa del Comitato intergovernativo di negoziazione delle Nazioni Unite (INC-5), così si chiama il gruppo che sta portando avanti i lavori, non si era arrivati a una soluzione per limitare la produzione di plastica, perché a pesare sono le divisioni tra Paesi. Lo scopo finale delle trattative è arrivare a un trattato giuridicamente vincolante che sia in grado di prendere in considerazione l’intero ciclo di vita del materiale, dalla “nascita” sino alla sua gestione finale dopo l’uso.

    Inquinamento

    Le microplastiche trasformano le nuvole e il clima

    di redazione Green&Blue

    12 Novembre 2024

    Il problema principale nella gestione della plastica finora è legato, nonostante spesso ci sia stata venduta come una possibile soluzione sostenibile, al reale riciclo e recupero di questo prodotto: in media a livello mondiale si riesce a riciclare appena il 10%. Nel frattempo però continua la produzione, con stime che parlano per ogni anno di quasi 20 milioni di tonnellate di plastica che finiscono in ambiente naturale. Motivo per cui a Busan la speranza di trovare una intesa mondiale per porre fine a questo circolo vizioso è alta. Alcuni Paesi però si oppongono a schemi e firme per una riduzione della produzione di plastica vergine, in particolare quelli legati ai combustibili fossili, come Arabia Saudita, Iran oppure Russia, ma anche in parte la Cina. Altri invece spingono per “livelli sostenibili di produzione”, in linea con le richieste di mercato ma anche con il potenziale impatto ambientale: fra questi ci sono circa 40 nazioni tra cui quelle dell’Ue (Italia compresa), ma anche Svizzera, Fiji e altri che hanno firmato una dichiarazione d’intenti chiamata “Bridge to Busan”.

    Gli Stati Uniti, in attesa dell’insediamento di Donald Trump, nonostante siano un Paese fortemente impattante per produzione mondiale di plastica (17%) non hanno firmato la dichiarazione, ma hanno parlato apertamente della necessità di ridurre la produzione di plastica vergine. Il problema è che con le politiche annunciate da Trump, fortemente basate su petrolio e fossile, si teme che gli Usa possano veleggiare d’ora in poi in direzione contraria rispetto ad un trattato globale.

    La speranza, per molti Paesi, è dunque che la Cina cambi nel tempo posizione e si faccia avanti per trainare una nuova intesa, “dando vita a uno strumento efficace, altrimenti sarà molto difficile ottenerlo” dicono i negoziatori. Per il presidente del Comitato intergovernativo di negoziazione delle Nazioni Unite, Luis Vayas Valdivieso, c’è bisogno di fiducia e speranza per una intesa perché “senza interventi significativi, si prevede che entro il 2040 la quantità di plastica immessa nell’ambiente ogni anno raddoppierà. Si tratta dunque dell’umanità che si prepara ad affrontare una sfida esistenziale”.

    Biodiversità

    Le balene scambiano i rifiuti di plastica per calamari. Una drammatica somiglianza

    di  Paolo Travisi

    29 Ottobre 2024

    Inoltre, per la riuscita dell’intesa, Inger Andersen – direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) – ha esortato i delegati divisi sulla riduzione dei prodotti e delle sostanze chimiche nella plastica plastica a trovare un meccanismo di finanziamento per gestire i rifiuti di plastica e per “una produzione e un consumo sostenibili di plastica adottando un approccio basato sul ciclo di vita”.

    Serve una imposta sulla plastica vergine?
    Altro punto da discutere saranno poi delle possibili imposte. Alla Cop29, Francia, Kenya e Barbados per esempio hanno proposto di istituire una serie di imposte globali su determinati settori – plastica compresa – che potrebbero contribuire ad aumentare la quantità di denaro da mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo per affrontare le sfide ambientali. L’idea prevede una tariffa di 60-70 dollari a tonnellata sulla produzione primaria di polimeri, con un potenziale di raccolta fondi fra 25-35 miliardi di dollari all’anno. Imposta che però è già stata respinta dalle associazioni industriali di categoria che di tasse non vogliono sentir parlare.

    Un “no” che si inserisce naturalmente nel grande blocco divisivo fra chi vuole un ragionamento forte sull’intero ciclo di vita della plastica – come circa 60 Paesi guidati da Ruanda e Norvegia e riuniti sotto il cappello “high ambition” – e chi invece non vuole limiti alla produzione, come i Paesi produttori di combustibili fossili.

    A inizio dicembre sapremo quale delle due opposte visioni riuscirà a prevalere e se, nel mezzo, ci sarà davvero spazio per un accordo. Nel frattempo, per tenere alta l’attenzione sul trattato, a Busan Greenpeace ha issato davanti alla sede dei negoziati una grande bandiera raffigurante un gigantesco occhio, un’opera artistica realizzata con ritratti di migliaia di volti di attiviste e attivisti di tutto il mondo, un modo per chiedere un “trattato ambizioso”. “Inizia la fase cruciale dei negoziati per il trattato sulla plastica e i governi devono agire per tutelare le persone e il Pianeta anziché preservare gli interessi delle aziende dei combustibili fossili e dell’industria petrolchimica – chiosa Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia -. Un trattato debole sarebbe un fallimento. Abbiamo bisogno di un accordo ambizioso e legalmente vincolante per ridurre la produzione di plastica ed eliminare la plastica monouso, per proteggere la nostra salute, le nostre comunità, il clima e il Pianeta”.

    Il WWF avverte che se i governi non riusciranno a trovare un accordo su misure specifiche e vincolanti a livello globale, difficilmente riusciranno a mantenere la promessa fatta due anni fa di creare uno strumento forte ed efficace in grado di porre fine all’inquinamento da plastica. “Per proteggere le generazioni presenti e future da un mondo sopraffatto dall’inquinamento da plastica e dal peso iniquo che questo impone alle comunità più vulnerabili, abbiamo bisogno di regole globali vincolanti. I negoziatori hanno il sostegno non solo da parte della comunità scientifica, ma anche della maggioranza dei governi, dei cittadini e delle imprese: un Trattato globale con obblighi giuridicamente vincolanti è l’unico modo per affrontare la crisi globale dell’inquinamento da plastica. Bisogna dare priorità alle misure più urgenti e dirimenti per affrontare il problema alla radice e creare un trattato forte e incisivo”, ha dichiarato Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. LEGGI TUTTO

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    Gli eventi meteorologici estremi impoveriscono i terreni agricoli e senza fosforo aumentano i prezzi

    Gli eventi estremi, ripetono ormai da tempo gli esperti, potrebbero diventare sempre più frequenti con i cambiamenti climatici, aumentando il rischio per i territori. Tra le forme di distruzione apparentemente meno visibili (per ora) c’è la perdita di fosforo dai terreni, lavato via dalle acque torrenziali. Un fenomeno che oggi appare particolarmente preoccupante negli Usa, spiega un team che ha coordinato una ricerca internazionale e pubblicato sulla rivista scientifica Pnas. Sul suolo americano, infatti, negli ultimi anni, i terreni agricoli si sono impoveriti a causa del processo di degradazione del suolo, soprattutto per quello che riguarda il fosforo.

    Gli eventi estremi impoveriscono i suoli agricoli  LEGGI TUTTO

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    Africa, nell’ultimo mezzo secolo il 77% di elefanti in meno

    Sono gli animali terrestri più grandi al mondo, e sono anche altamente intelligenti e cooperativi. Ma purtroppo non se la passano bene. Parliamo degli elefanti africani, la cui popolazione – come attesta uno studio appena pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences da parte di un gruppo di scienziati del CEscape Consultancy Services sudafricano – ha subito uno spaventoso declino nell’ultimo mezzo secolo, con una diminuzione media del 77% in tutti i siti oggetto dell’osservazione.

    In particolare, gli autori del lavoro hanno osservato un calo demografico medio del 70% per gli elefanti di savana (Loxodonda africana) e del 90% per gli elefanti di foresta (Loxodonta cyclotis), dati non certo promettenti per il futuro delle due specie.

    Animali

    La difficile tutela degli elefanti africani: troppi in Zimbabwe e in estinzione altrove

    di Cristina Nadotti

    15 Giugno 2024

    Lo studio appena pubblicato è il più ampio mai condotto sul tema: gli scienziati hanno analizzato dati relativi a 475 diversi siti, sparsi in 37 nazioni africane, raccolti a cadenza periodica tra il 1964 e il 2016. “La maggior parte della popolazione perduta non tornerà indietro”, ha commentato a Reuters George Wittemyer, docente di conservazione della fauna selvatica alla Colorado Staete University, capo del board scientifico del gruppo Save the Elephants e co-autore del lavoro, “e molte delle popolazioni a basa densità devono affrontare ulteriori pressioni che le mettono in difficoltà. Probabilmente perderemo altre popolazioni in futuro, se non prendiamo subito dei provvedimenti”. Due i principali responsabili: il bracconaggio – molti elefanti vengono uccisi per l’avorio delle loro zanne, poi venduto ed esportato illegalmente in Asia – e le esigenze agricole, che “rubano” habitat agli elefanti.

    Crisi climatica

    La Namibia autorizza gli abbattimenti di elefanti, zebre e altri animali per affrontare fame e siccità

    di Giacomo Talignani

    29 Agosto 2024

    L’unico elemento positivo emerso dallo studio è che, nonostante il dato globale evidenzi molto chiaramente il calo demografico, nei siti in cui sono state messe in atto azioni di protezione e conservazione si è osservato un andamento opposto, il che sostiene l’idea che sforzi di questo tipo possano effettivamente cambiare le cose. Mentre nei siti dell’Africa settentrionale e centrale – principalmente in Mali, Ciad e Nigeria – si è registrata una diminuzione particolarmente significativa del numero degli elefanti, in molti siti dell’Africa meridionale le popolazioni sono aumentate fino al 42%.

    “È un vero successo, in particolare i dati osservati in Botswana, Zimbabwe e Namibia, nazioni i cui governi hanno gestito in maniera più attenta e attiva la questione”, ha concluso Whittmayer. “Gli elefanti non sono soltanto una delle specie più intelligenti sul pianeta, ma hanno anche un ruolo incredibilmente importante negli equilibri degli ecosistemi africani, soprattutto per il loro ruolo nella dispersione dei semi: alla loro sopravvivenza è legata la sopravvivenza di molte altre specie”. LEGGI TUTTO

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    E se dalla plastica si ottenesse sapone?

    La gestione dei rifiuti di plastica è una delle grandi sfide ambientali dei nostri giorni. Si tratta infatti di un materiale che impiega moltissimo tempo a degradarsi e trovare dei modi innovativi per riciclarlo ci permetterebbe di risolvere almeno in parte il problema. Proprio su questo fronte, un gruppo di ricercatori e ricercatrici coordinato da […] LEGGI TUTTO

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    Dai rifiuti ai braccialetti, così 4Ocean ha ripulito mari e fiumi da 18 milioni di chili di plastica

    L’infinita lotta all’inquinamento da plastica è fatta di piccoli e speranzosi successi così come di enormi costanti passi indietro. Sappiamo tutti, dal sud est asiatico fino al Mediterraneo, quanto questo materiale – se mal gestito – possa essere dannoso per mari ed ecosistemi. Tra microplastiche che sono ormai presenti in ogni organo del corpo umano e grandi detriti che contribuiscono alla morte di centinaia di specie marine, l’avanzata dei rifiuti plastici fatica ancora oggi ad essere arginata. Alcune realtà però – come l’organizzazione 4Ocean – che mischia business a volontariato – hanno compiuto vere e proprie imprese a livello di pulizia: di recente, sui social network, il gruppo ha dichiarato di essere riuscito a rimuovere dal 2018 ad oggi ormai 18 milioni di chilogrammi (40 milioni di libbre) di plastica da oceani, fiumi e coste del mondo, soprattutto grazie all’aiuto di migliaia di persone e attivisti.

    Un traguardo eccezionale per l’associazione nata nel 2017 dalla visione di due surfisti e appassionati di mare, Alex Schulze e Andrea Cooper, che dopo aver visto la gigantesca quantità di plastica presente sulle spiagge di Bali hanno deciso di agire. Nel tempo, dopo aver coordinato operazioni di pulizia dalla Florida al Guatemala sino all’Asia, l’attenzione su 4Ocean è costantemente cresciuta anche grazie alla vendita di quei braccialetti, fatti con plastica recuperata dal mare, i cui proventi sono serviti poi proprio per promuovere le operazioni di rimozione di plastica dagli oceani. Uno dei motti dell’azienda è proprio “One pound promise”, ovvero la promessa – come minimo – di rimuovere mezzo chilo di plastica per ogni braccialetto venduto (in alcuni casi si parla anche di 5 chili).

    Parte della forza di 4Ocean, sia nel coinvolgere i volontari sia nel riuscire ad organizzare grandi operazioni di pulizia nel mondo, sta anche in una forte strategia comunicativa ampliata nel tempo sui social network, strategia che ha portato al supporto di oltre 200 professionisti e a un coordinamento di un movimento globale che ormai opera sette giorni a settimana, rimuovendo quasi 9mila chili di rifiuti al giorno. Inoltre, per monitorare l’andamento dei recuperi e del riciclo, viene utilizzato il sistema Trash Tracker, database che offre uno sguardo trasparente su cosa si sta effettivamente facendo. Ora, grazie al lancio di 4Ocean Foundation (la parte no-profit inaugurata nel 2024) i fondatori puntano ad aumentare le collaborazioni con privati, Ong e fondazioni nel tentativo di ripulire sempre più plastica e, come ha spiegato Alex Schulze, “siamo solo all’inizio: vogliamo costruire un’economia circolare per i materiali recuperati dagli oceani. Ogni passo ci avvicina a un Pianeta più pulito e a un oceano più sano”.

    Innovazione

    In Puglia il primo stabilimento della startup britannica che combatte le microplastiche

    di  Gabriella Rocco

    21 Novembre 2024

    Se per la parte “pulizia” arrivano segnali incoraggianti nella lotta all’inquinamento, in quella a monte del problema, ovvero la produzione di plastica vergine, ci sono ancora però molte incongruenze. Di recente per esempio si è scoperto che alcune grandi multinazionali che hanno firmato patti e alleanze contro l’inquinamento da plastica, in realtà nel tempo hanno “prodotto 1.000 volte più plastica di quanta ne abbiano ripulita” sostiene un report di Alliance to end plastic waste parlando di “passo indietro”. Un grande freno alla piaga da inquinamento plastico potrebbe però arrivare fra il 25 novembre e il 1 dicembre quando a Busan, in Sud Corea, si riuniranno delegati e leader internazionali per un nuovo negoziato sul trattato globale sulla plastica. Durante la quinta e ultima sessione del Comitato intergovernativo di negoziazione per il trattato internazionale “giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica (INC-5)” potrebbero infatti arrivare le prime e necessarie risposte su come gestire, prima che sia davvero troppo tardi, “l’intero ciclo di vita della plastica, dalla produzione al riciclo sino alla gestione dei rifiuti”. LEGGI TUTTO

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    Un’etichetta per misurare quanto inquinano i vestiti

    Da uno a cinque, quanto inquinano i vostri vestiti? E in particolare, quante microplastiche perdono? In un futuro non molto lontano potrebbe essere abbastanza semplice rispondere alle domande, grazie al lavoro di Sophia Murden e Lisa Macintyre, due ricercatrici della Heriot-Watt University che hanno messo a punto una sorta di etichetta per classificare il grado […] LEGGI TUTTO

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    L’Heuchera, come prendersi cura della “Coral Bells”

    Comunemente nota come Coral Bells, l’Heuchera è una pianta dalle multiple varietà. Originaria del Nord America, si coltiva sia in giardino, sia in bordure e/o aiuole, sia in vaso come pianta da appartamento. A farne una pianta piuttosto particolare è il suo fogliame: a seconda del tipo, infatti, le foglie possono assumere colorazioni eterogenee, andando dal rosso, al rosa, all’arancione, fino ad arrivare a cromie ben più chiare e vivaci durante i mesi invernali. Sempreverde, l’Heuchera produce anche delle infiorescenze, pronte a nascere verso la primavera inoltrata e soprattutto durante l’estate. Queste sono formate da lunghi steli su cui sbocciano piccoli fiorellini colorati. Anche loro, a seconda della varietà di Heuchera, possono andare dal bianco, al rosso o al rosa. Coltivarla non è complesso e il risultato sarà sempre e comunque positivo. Attraverso le sue foglie rotonde o a forma di cuore, l’Heurecha piace sempre e soddisfa. Coltivarla è possibile sia in giardino, sia in vaso e per quest’ultimo caso si rivela perfetta per i panieri appesi.

    Come coltivarla in vaso
    Per coltivare l’Heuchera in vaso i passaggi da seguire sono semplici e veloci: sul fondo del vaso va steso uno strato di biglie di argilla espansa (migliorano il drenaggio) e poi va messo il terriccio, specifico per piante da fiore. A questo punto si possono posizionare le piante, si procede con la sistemazione e una leggera pressione del terriccio e infine si bagna il tutto.

    Come coltivare l’Heuchera in giardino
    Per coltivare l’Heuchera in giardino come primo step si dovranno preparare le buche da impianto, azione da svolgere almeno una settimana prima. Nel caso di una coltivazione multipla, si consiglia sempre di distanziare le buche almeno di 30 o 40 cm. La buca deve essere almeno il doppio della piantina che sarà inserite; una volta scavata si dovrò ripulire il terreno da eventuali radici, sassi e quant’altro e irrigare il tutto con generosità. Il terreno, infatti, dovrà assorbire l’acqua come fosse una spugna e se questo non dovesse succedere, significa che bisognerà agire nuovamente e correggere dunque la composizione della terra (magari utilizzando sabbia e aggiungendo uno strato “di drenaggio” con ghiaia). Il nemico numero uno dell’Heuchera? Il ristagno idrico. Per concludere la coltivazione in giardino e prima di inserirvi la pianta (o le piante), ci consiglia l’integrazione di un concime naturale direttamente nelle buche, o un fertilizzante granulare a lenta cessione. Fatto questo, nei giorni successivi (si parla dai 7 ai 14) tra la preparazione delle buche e il trapianto della pianta, l’Heuchera e le sue colleghe possono essere lasciate in vaso vicino alle buche preparate che le andranno a ospitare. In questo modo cominceranno ad adattarsi sia al clima, sia al luogo che diventerà per loro casa.

    Esposizione dell’Heuchera
    Appurato che si tratta di piante dalla facile adattabilità e coltivazione, è importante sapere dove queste debbano essere esposte. In generale, l’Heuchera predilige posizioni soleggiate o di semi-ombra, ma questa differenza risiede soprattutto nella varietà di pianta che si ha di fronte. Ad esempio, le specie di Heuchera a foglia molto scura preferiscono un’esposizione minore diretta di sole, mentre le varietà a foglia molto chiara hanno una maggiore predilezione verso i raggi solari diretti. Generalmente e per non incappare in errori di alcun tipo, è preferibile esporre l’Heuchera a mezz’ombra; in questo modo sarà riparata dalla luce diretta del sole nelle ore più calde dell’estate, ma riuscirà comunque ad assorbire la giusta quantità di sole, specialmente in inverno. Alla domanda: “L’Heuchera resiste al freddo?”, la risposta è quindi “sì”. Questa pianta sempreverde sopporta molto bene sia il freddo, sia il gelo, mentre il caldo eccessivo non è il suo migliore alleato. In ogni caso, e questo è un punto di grande comodità, l’Heuchera durante i mesi di giugno e di luglio entra in una specie di “riposo vegetativo” e di conseguenza le possibilità che le sue foglie possano rovinarsi e/o bruciarsi è molto basso. Fare attenzione all’esposizione, però, resta fondamentale.

    Quando fiorisce e quanto cresce
    Per la fioritura dell’Heuchera bisognerà attendere l’estate. È in questa stagione, infatti, che questa pianta sempreverde produrrà piccole e delicate infiorescenze colorate. Sul “quanto” l’Heuchera possa effettivamente crescere, di solito si parla di circa 30 cm di altezza e una larghezza che può raggiungere i 30 o 40 cm.

    Annaffiatura e potatura dell’Heuchera
    L’Heuchera ha bisogno di una annaffiatura regolare; solo in questo modo il terreno riuscirà a mantenere la giusta umidità, senza cadere nell’esagerazione. Se coltivata in vaso, l’Heuchera preferisce ricevere acqua 1 o 2 volte a settimana nei mesi più caldi dell’anno, mentre in inverno si può irrigare anche solamente 2 volte al mese. Ovviamente, più sarà grande il vaso in cui la pianta è contenuta, più umidità sarà trattenuta al centro e maggiore sarà l’evaporazione. Un piccolo accorgimento: non lasciare l’acqua in eccesso nel sottovaso, poiché potrebbe provocare marciumi e all’Heuchera questo non piacerebbe, dato che la esporrebbe a eventuali malattie fungine.

    Sulla potatura è importante essere informati, dato che è un altro aspetto importante ai fini della salute della pianta. L’Heuchera, infatti, tende a crescere in ciuffi, motivo per il quale prestare attenzione alle eventuali foglie danneggiate e/o secche sarà efficace. Non solo si manterrà esteticamente bella, ma sarà stimolata anche dal punto di vista della crescita.

    Come propagare l’Heuchera?
    Ringiovanire una pianta di Heuchera è possibile? Assolutamente sì. Per farlo basterà tagliare a frequenza periodica le foglie vecchie, ma c’è anche l’opzione della propagazione a essere molto gettonata. Per propagare l’Heuchera, infatti, è necessario estrarre le piante dal terreno, ripulirle da radici e tagliare successivamente il cespo di foglie e radici in più porzioni, poste immediatamente a dimora. In questo modo la pianta sarà “svecchiata” e crescerà più rigogliosa e decisamente più forte, oltre che colorata. L’Heuchera può essere propagata anche per semina, ma il modo migliore (e più efficace) è quello appena descritto.

    Heuchera: le varietà più comuni
    Esistono più di 50 varietà di Heuchera e ognuna di esse possiede caratteristiche uniche. Alcune sono apprezzate per la loro resistenza al freddo e alla siccità (Heuchera americana e Heuchera villosa), mentre altre sono apprezzate soprattutto per la bellezza dei fiori colorati (Heuchera sanguinea). Tra le altre varietà più frequentemente utilizzate ci sono: l’Heuchera Berry Smoothie, L’Heuchera Blood Red, l’Heuchera Caramel, l’Heuchera Champagne, l’Heuchera Cayun Fire, l’Heuchera Cherry Cola, l’Heuchera Circus, l’Heuchera Delta Dawn, l’Heuchera Frosted Violet, l’Heuchera Grape Soda e l’Heuchera Hollywood. I nomi suggeriscono spesso il colore o delle foglie, o dei fiori, e sono una diretta metafora dell’aspetto della pianta. Ad esempio, l’Heuchera Hollywood è molto apprezzata per essere elegante e vistosa, con foglie verde scuro un po’ spento e fiori rossi dello stesso colore dei red carpet, appunto, hollywoodiani. LEGGI TUTTO

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    Piante rampicanti, 10 idee per colorare giardini e terrazzi

    Le piante rampicanti rientrano nella categoria delle piante decorative, apprezzate soprattutto per la loro bellezza e la loro grande capacità di decorare spazi, sia esterni, sia interni. L’impatto visivo che queste piante creano è notevole, dando vita a effetti a cascata o vere e proprie coperture esteticamente sorprendenti. Di tipologie di rampicanti ne esistono a decine, motivo per il quale è sempre bene avere chiaro l’obiettivo che si vuole ottenere piantandole. Alcune di queste garantiscono fioriture abbondanti, altre invece donano foglie per tutto l’anno, raccolgono l’umidità dalle pareti, resistono al freddo o al caldo e possono essere perenni. Piantarle e prendersene cura non è così complesso, ma ci sono alcuni accorgimenti da seguire affinché la loro salute si mantenga nel tempo.

    Piante rampicanti da esterno: 10 idee che danno colore
    Se si ha a disposizione un terrazzo, un balcone, un giardino o anche solo una parete esterna, le piante rampicanti possono essere una valida soluzione per decorare gli spazi e ottenere un effetto bello e colorato. Di varietà ne esistono tante, con fiori o senza fiori, a cascata o a “cespuglio”, perenni e sempreverdi. Qualsiasi pianta rampicante da esterno crea un’atmosfera nuova quindi sceglierle è sempre un’ottima soluzione se si vuole creare un luogo che rilassi e che rinfreschi. L’importante è selezionare la pianta rampicante che si desidera e farlo con cura. Ma quali sono le 10 piante rampicanti da esterno adatte per colorare gli spazi?

    Falso Gelsomino
    Impossibile non cominciare la lista delle dieci piante rampicanti da esterno con lui, il Falso gelsomino. Si tratta di una delle piante rampicanti più diffuse e più amate per quanto riguarda gli spazi esterni, in particolare terrazzi e giardini. Amato per la sua fioritura colorata dal profumo indimenticabile, il falso gelsomino ama ricevere la luce diretta del sole. È resistente, si adatta alla coltivazione in vaso con grande facilità e fiorisce a primavera (marzo e giugno). Il falso gelsomino resiste anche al freddo e per lui l’inverno non è un ostacolo, come invece lo sono i famosi “colpi di secco”, che potrebbero indebolirlo.

    Glicine
    Il Glicine è un’altra pianta rampicante da esterno impossibile da non amare. Bellissima e colorata, questa pianta è apprezzata soprattutto per le sue fioriture a grappolo sfumate di lilla, suggestive ma purtroppo poco durature. I fiori del glicine, infatti, durano poche settimane o addirittura pochi giorni se il tempo non è dei migliori. Cresce sia in ombra, sia al sole, ma la luce è una sua grande amica: è grazie a essa se i suoi fiori crescono così belli e così colorati. Quello che non piace al glicine è la messa in vaso; preferisce sempre spazi ampi in cui potere crescere liberamente, talvolta riempiendo intere pareti.

    Bignonia
    Di colori se ne intende anche la bignonia, una pianta rampicante da esterno molto gettonata e, vedendo i suoi colori, bellissima. Anche lei ama il clima caldo, ma riesce a sopportare bene le stagioni invernali più rigide. Cresce molto rapidamente e lo fa principalmente in piena terra, anche se a volte si coltiva anche in vaso (ma molto raramente). Ciò che colpisce della Bignonia rampicante è la sua colorata fioritura, in contrasto con le foglie verdi brillanti di cui si compone.

    Caprifoglio
    Pianta rampicante sempreverde e rustica, il caprifoglio ama adattarsi e lo fa con grande facilità. Per lasciare che cresca in modo sano, è importante posizionare la base della pianta in una zona riparata dal sole diretto, ma i suoi fiori colorati crescono meglio se colpiti dai raggi del sole. Il caprifoglio cresce in tempi molto brevi e si espande in lungo e in largo per diversi metri.

    Hardenbergia
    Il colore con l’hardenbergia non mancherà. Questa pianta rampicante da esterno è perfetta se si vuole ottenere un risultato coloratissimo e profumato. I suoi fiori, di un viola intenso riconoscibile, sono a forma di spiga e crescono bene al sole. Il freddo non fa paura all’hardenbergia e la velocità con cui cresce è molto apprezzata da chi sceglie di coltivarla.

    Clematide
    Il suo nome tecnico è clematis, ma tutti la conoscono come clematide. È una pianta rampicante da esterno molto apprezzata, specialmente se si guarda ai suoi fiori, coloratissimi, sfumati e super “generosi”. Per coltivarla nel migliore dei modi è necessario darle la giusta dose di ombra alla base, mentre per la parte alta si deve sempre lasciare spazio al sole di agire per farla crescere sana, rigogliosa e bellissima. La clematide riempie terrazzi e giardini e i suoi fiori colorati accendono di luce tutto l’ambiente: impossibile non innamorarsene.

    Passiflora caerulea
    La particolarità di questa pianta rampicante sono senza ombra di dubbio i suoi fiori. La passiflora caerulea regala fiori meravigliosi molto particolari e la sua tolleranza al freddo è altissima. Sopporta temperature fino a -10°, ma per ottenere una fioritura perfetta ha bisogno della luce diretta del sole. Questa pianta rampicante è ottima per abbellire il proprio terrazzo o il proprio giardino perché si presta a più spazi e cresce rigogliosa.

    Plumbago auriculata
    Tra le piante rampicanti da esterno non si può non citare il plumbago auriculata. Noto per i suoi bellissimi fiori azzurri, il plumbago fiorisce da giugno fino a ottobre. Non tollera le temperature sotto gli 8°, quindi la sua coltivazione è adatta alle zone del centro-sud. Se coltivato al nord, infatti, il plumbago tende a perdere le foglie: in questi casi di solito si trasferisce in una serra fredda, ma l’ideale sarebbe lasciarla crescere dove le temperature glielo consentono senza crearle problemi.

    Vite Canadese
    Lei non produce fiori, ma il suo colore è una vera conquista per lo sguardo. La vite canadese è amatissima, soprattutto quando si vuole creare una vera e propria copertura di spazi esterni. Al contrario del plumbago, sopporta molto bene il freddo, tant’è che anche le temperature sotto i 15° non la spaventano affatto. La sua particolarità sono le foglie, che da verdi cambiano colore a seconda della stagione. Dal verde dell’estate, passano al giallo intenso in autunno e al rosso acceso in inverno.

    Cobea
    Pianta rampicante da esterno sempreverde, la cobea (cobaea scandens) può essere coltivata come pianta perenne, ma è bene ricordare che nelle zone del nord Italia non sopporta le temperature sotto i 5°. La sua crescita è veloce (si parla di poche settimane), ma sono i suoi fiori a colpire: grandi, campanulati, sono verdi e sfumati di viola su tutta la loro cornice.

    Piante rampicanti da esterno: quando piantare
    Il periodo migliore per seminare e piantare le piante rampicanti è la primavera. In questo modo, infatti, queste possono crescere e arrivare alla loro massima bellezza durante il periodo estivo, senza soffrirne le temperature e lo stress che il caldo può portare. Andrebbe bene anche piantarle in autunno per lo stesso motivo: prevenire lo stress termico dell’inverno e consentire loro di svilupparsi in modo libero e tranquillo.

    Piante rampicanti: terreno e annaffiatura
    Affinché le piante rampicanti da esterno crescano in modo rigoglioso e senza sofferenze, è molto importante che il terreno sia morbido e sciolto e non troppo asciutto, in modo tale da favorire la libera crescita delle radici. Queste ultime, inoltre, non devono raccogliere troppa acqua, perciò sì alla giusta irrigazione, ma attenzione a non esagerare. Nel caso in cui il terriccio sia troppo bagnato, si consiglia l’uso di un terriccio con pietra pomice o con argilla, particolarmente efficaci per evitare il marciume delle radici. Per quanto riguarda l’annaffiatura, quindi, questa dipenderà ovviamente sia dalla stagione, sia dalla zona climatica in cui ci si trova, sia dalla fase vegetativa della pianta stessa. In estate, ad esempio, se il terreno della pianta rampicante risulterà troppo asciutto, l’irrigazione può avvenire anche due volte al giorno (mattina e sera), mentre per l’autunno e per la primavera basterà irrigare una volta ogni tre o quattro giorni. Durante la stagione più fredda, infine, l’annaffiatura sarà sospesa.

    Piante rampicanti: potatura
    Tutte le piante rampicanti da esterno hanno bisogno di una potatura “post impianto”. Potarle significherà regalare loro una crescita nettamente più rigogliosa durante il primo anno di vita, ma è importante seguire una regolare potatura anche nei periodi successivi, eliminando tralci secchi e malandati. LEGGI TUTTO