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    Greenpeace: “I colossi di carne e latticini emettono più metano dei combustibili fossili”

    Siamo sempre abituati a parlare di impatto di CO?, ma è ora di tenere bene a mente anche un’altra formula chimica: CH4, le emissioni di metano.
    A preoccupare sempre di più gli scienziati sono infatti le emissioni globali di metano che continuano ad aumentare in maniera vertiginosa in tutto il pianeta: +20% in vent’anni con valori mai così alti da quando esistono le rivelazioni e in atmosfera la concentrazione di questo gas a effetto serra è ormai 2,6 volte più alta rispetto al periodo pre industriale, hanno raccontato di recente i ricercatori del Global Carbon Project.

    Un accostamento forte
    Nel contribuire ad aumentare le emissioni di metano c’è, in particolare, un settore che per molti aspetti è stato finora sottovalutato: quello agroalimentare delle aziende del comparto lattiero-caseario e della carne.
    Un nuovo report di Greenpeace Nordic, appena diffuso a livello globale, tenta di far luce proprio sull’impronta climatica delle grandi industrie stimando come le emissioni di 29 grandi aziende che producono carne e latticini nel mondo siano “comparabili a quelle prodotte da 100 aziende del settore dei combustibili fossili”.
    Per esempio, si stima che le cinque maggiori aziende produttrici di carne e latticini (JBS, Marfrig, Minerva, Cargill e Dairy Farmers of America) emettano a livello globale “più metano di BP, Shell, ExxonMobil, TotalEnergies e Chevron messe insieme”.
    Un accostamento forte, dal quale però emerge anche una notizia positiva: tagli nel settore e determinati accorgimenti potrebbero rallentare drasticamente le emissioni in modo da porre un freno all’avanzata del riscaldamento globale.
    La ricerca
    Lo studio, che ha analizzato le emissioni di diverse aziende internazionali (fra cui l’italiana Cremonini), sostiene che modellando “lo scenario business as usual della FAO per il futuro dell’alimentazione, i nostri risultati mostrano che il riscaldamento aggiuntivo di 0,32°C entro il 2050 (rispetto ai livelli del 2015, ndr) deriverebbe dal solo settore della carne e dei latticini. Non solo: emerge anche che il metano, se si analizzano le emissioni di gas serra prodotte dalle aziende di carne e latticini, sarebbe responsabile di oltre tre quarti del riscaldamento del settore”.

    Sostenibilità

    G&B Festival 2024, Barbara Nappini: “Cibo e allevamenti. Il Made in Italy diventi etico”

    di Fiammetta Cupellaro

    02 Giugno 2024

    Uno scenario che richiede sforzi globali per ridurre la “sovrapproduzione nel consumo eccessivo di carne e latticini nei Paesi a medio e alto reddito”.

    Viaggio a Terra Madre, in cerca di una nuova “bio-logica” per salvare la nostra agricoltura

    di  Giacomo Talignani

    30 Settembre 2024

    Le emissioni legate a carne e latticini
    Nello specifico ridurre le emissioni legate a carne e latticini “porterebbe infatti a un effetto raffreddamento della temperatura media globale di 0,12°C entro il 2050, cioè a una riduzione del 37% del riscaldamento aggiuntivo previsto per la metà del secolo legato al settore, pari appunto a 0,32°C” e va ricordato per esempio che “per ogni 0,3°C di riscaldamento evitato si potrebbe ridurre l’esposizione al caldo estremo per 410 milioni di persone”.
    Secondo Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, “per tanto tempo abbiamo osservato la crescita senza freni delle grandi aziende di carne e latticini, come se il settore fosse in qualche modo esente da responsabilità verso la crisi climatica, ma non è affatto così. Siamo spesso stati messi di fronte a una realtà nella quale sono gli allevatori o i consumatori a dover cambiare, mentre queste aziende decidono cosa gli agricoltori devono produrre, quanto devono essere pagati e cosa noi dobbiamo mangiare. Ora però sappiamo che un cambiamento del sistema è possibile”.

    Il commento

    L’Overshoot Day ci ricorda che l’idea di mondo va imperniata sulla vita non sul profitto

    di Barbara Nappini*

    01 Agosto 2024

    Proprio sulla questione metano e sulle responsabilità di determinati settori dell’agroalimentare adesso si concentreranno – anche in vista della Cop29 di Baku in Azerbaigian che inizierà fra un mese – le attenzioni e le iniziative degli attivisti.
    In Italia
    Il focus di Greenpeace sull’Italia sarà anche sulle aziende più responsabili di emissioni, con riferimenti a realtà come “il gruppo italiano Cremonini che, tramite la controllata Inalca, è uno dei maggiori player europei per la produzione di carne bovina” scrive Greenpeace.
    Detto ciò e partendo dalle indicazioni degli scienziati, i quali rimarcano come il metano sia un gas a effetto serra 80 volte più potente dell’anidride carbonica (CO?) nell’arco di 20 anni dall’emissione, le speranze di riuscire a frenare l’aumento di questo gas in atmosfera secondo gli ambientalisti sono alte, a patto però che si riconosca come finora ci si sia concentrati solo “sulla richiesta di ridurre le emissioni di metano nel settore dei combustibili fossili, senza imporre una drastica e necessaria limitazione anche alle grandi aziende industriali di carne e latticini”.

    Stazione Futuro

    Per chi votano gli animali

    di Riccardo Luna

    03 Giugno 2024

    Come chiosa Ferrario secondo Greenpeace “i governi devono guidare gli investimenti e le politiche per avviare il cambiamento abbandonando la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di carne e latticini, sostenendo gli agricoltori e i lavoratori del settore in una giusta transizione. E così facendo, salvando milioni di vite limitando il riscaldamento globale”. LEGGI TUTTO

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    XFarm Technologies punta sull’intelligenza artificiale. 450 mila aziende sulla piattaforma

    Il settore dell’agricoltura è destinato a incontrare sul cammino dei propri imprenditori e operatori una serie di grandi sfide, che sarà possibile affrontare grazie anche all’innovazione tecnologica e all’applicazione dell’intelligenza artificiale. Lo sa bene xFarm Technologies, tech company europea pronta a guidare un cambiamento virtuoso nel settore agroalimentare.
    Il lavoro nei campi, legato a doppio filo all’andamento climatico, risentirà sempre di più dei fenomeni improvvisi che caratterizzano già oggi il clima a livello globale. Come è noto, si prevede un aumento degli eventi siccitosi e delle ondate di calore, ma anche delle inondazioni, con precipitazioni irregolari e spesso concentrate in eventi climatici estremi a carattere tropicale, anche in zone temperate. Questo porterà a un necessario adeguamento delle pratiche in campo, anche alla luce di uno sviluppo accelerato dei patogeni microbici e delle popolazioni di insetti e acari.

    Decisioni in tempo reale
    Nel prossimo futuro saranno quindi di fondamentale importanza tutte quelle tecnologie in grado non solo di fornire previsioni affidabili, come i modelli previsionali, ma anche di supportare in tempo reale gli operatori del settore nel prendere le decisioni migliori, in un contesto ambientale sempre più complesso. xFarm Technologies ha abbracciato la sfida dell’intelligenza artificiale, sviluppando tecnologie che puntano a semplificare i processi e l’operatività in campo, nonché la resilienza dei sistemi agricoli nella loro interezza, a vantaggio della sostenibilità ambientale ed economica delle produzioni.
    Il 2024 segna un anno di grande crescita per l’azienda AgTech che annuncia la chiusura di un round di Serie C da 36 milioni di euro. A guidare l’operazione la società Partech, attraverso il suo Impact Growth Fund.“È un momento di profondi cambiamenti e grandi sfide per l’industria agroalimentare a livello globale. Vogliamo continuare a fornire gli strumenti più efficaci ed avanzati per affrontare questo scenario, con investimenti in R&D e innovazione. Tecnologie all’avanguardia nell’intelligenza climatica e nell’IA per il supporto agronomico, e con un focus su sostenibilità e agricoltura rigenerativa”, ha dichiarato per Green&Blue Matteo Vanotti, Ceo di xFarm Technologies. LEGGI TUTTO

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    Rigenerazione urbana: nel nuovo piano le regole per contrastare il consumo del suolo

    Un piano nazionale di rigenerazione urbana che raccoglie la lista degli interventi indispensabili per contrastare il consumo di suolo, il rischio idrogeologico e la crisi climatica anche individuando “progetti faro” che verranno finanziati a livello nazionale. Questi gli obiettivi del disegno di legge “Disposizioni in materia di rigenerazione urbana”, un testo che raccoglie le proposte presentate da senatori di maggioranza e opposizione in un nuovo testo unificato, e che punta a delineare una vera e propria governance a livello centrale. Regioni e Comuni sono chiamati a fare la propria parte. Istituito un Fondo nazionale con 50 milioni a disposizione per quest’ultima parte dell’anno, destinato a salire in futuro a 300 milioni l’anno.

    Fisco verde

    Eventi meteo estremi, scattano le polizze obbligatorie per le imprese

    di  Antonella Donati

    02 Ottobre 2024

    Una regia unica per coordinare fondi e iniziative
    Il disegno di legge intende definire un quadro operativo comune con la regia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Al Ministero spetterà promuove il coordinamento dei fondi pubblici disponibili, per l’attuazione degli interventi in materia di rigenerazione urbana, e promuovere l’armonizzazione, anche temporale, dei programmi con le politiche mobilità sostenibile, e le politiche ambientali. Saranno individuati gli interventi prioritari, definiti “progetti faro”, oggetto di progettazione e gestione condivisa tra più livelli di governo. Gli enti locali sono chiamati ad adottare piani particolareggiati per favorire il riuso, il rinnovamento o la sostituzione sia di aree già urbanizzate che di aree produttive, in tutti i casi in sui sono presenti funzioni eterogenee o non più sostenibili dal punto di vista ambientale e economico, edifici dismessi o non più utilizzati. Dovranno essere agevolati la riqualificazione sia fisico-funzionale che tecnologica, la riduzione di consumo energetico o di emissioni inquinanti, la sostenibilità ambientale e il miglioramento della qualità urbana e architettonica complessiva. LEGGI TUTTO

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    I materiali nanoporosi che ci aiuteranno a estrarre acqua dall’aria. Lo scienziato: “Ogni famiglia potrà avere la sua riserva”

    Si può catturare acqua potabile dall’aria delle nostre città, campagne e persino negli ambienti più ostili? La risposta dello scienziato Omar Yaghi è sì, e infatti lo sta già sperimentando da anni nei deserti dell’Arizona e del Mojave. Il segreto è nei reticoli metallorganici (MOF – metal-organic frameworks) che sono stati sviluppati nel 1995 dal tuo team del Dipartimento di Chimica dell’University of California Berkeley e che oggi gli sono valsi il Premio Balzan 2024.

    L’assegnazione è avvenuta nello specifico “Per i rivoluzionari contributi alla scoperta e allo sviluppo di materiali a struttura nanoporosa e per l’avanzamento delle loro applicazioni nella cattura del carbonio, nell’immagazzinamento dell’idrogeno e nell’estrazione dell’acqua dall’aria del deserto”. Secondo il Comitato Generale Premi Balzan “Yaghi ha sviluppato principi fondanti di progettazione fondamentali e innovativi metodi di sintesi, creando due ampie classi di materiali nanoporosi: le strutture metallo-organiche (MOF) e le strutture organiche covalenti (COF). Questi materiali pionieristici sono ora in prima linea negli sforzi globali per affrontare le sfide critiche di sostenibilita? e ambiente che il nostro pianeta sta affrontando”.

    Il primo ottobre le Presidenti della Fondazione Internazionale Balzan “Premio”, Maria Cristina Messa, e del Comitato Generale Premi Balzan, Marta Cartabia, hanno infatti annunciato i vincitori dei quattro Premi Balzan 2024. Oltre a Yaghi, ci sono John Braithwaite della Australian National University per il tema della Giustizia riparativa, Lorraine Daston del Max Planck Institute for the History of Science per Storia della scienza moderna e contemporanea e Michael N. Hall del Biozentrum dell’Universita? di Basilea per Meccanismi biologici dell’invecchiamento. I premi saranno consegnati il 21 novembre a Roma al cospetto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

    Un rubinetto invisibile che impiega l’umidità dell’aria
    Omar Yaghi spiega che l’atmosfera contiene miliardi e miliardi di litri di vapore acqueo (13mila trillion) e che sebbene esistano molte soluzioni per raccogliere l’acqua dalla nebbia e dai climi ad alta umidità, ad oggi non esiste una tecnologia efficiente, ancor di più per le regioni più aride del mondo. Il cambio di marcia ha iniziato a manifestarsi con lo sviluppo dei MOF nel 1995 e poi nel 2005 con i COF (reticoli organici covalenti), che sono composti interamente da molecole organiche e non contengono metalli. Attualmente esistono oltre 100mila MOF conosciuti e ce ne sono ancora moltissimi da creare dato che il numero di possibilità è quasi infinito.

    Omar Yaghi is the 2024 Balzan Prize for Nanoporous Materials for Environmental Applications for groundbreaking contributions to the discovery and development of nanoporous framework materials, and advancing their applications in carbon capture and hydrogen storage.#balzanprize pic.twitter.com/tyv7KDlKSm— BalzanPrize (@BalzanPrize) September 9, 2024

    In pratica si tratta di “materiali cristallini ultraporosi le cui strutture molecolari formano una rete tridimensionale di pori”, come sottolinea il chimico. E la qualità principale di questo attributo di porosità è che può essere programmato: in base ai componenti chimici dei reticoli si possono attivare quelle affinità che attirano specifici elementi. Un po’ come uno chef capace di prendere per la gola anche il più schizzinoso dei suoi commensali. Non solo. Le regole dell’attrazione si possono basare anche su condizioni ambientali, come temperatura oppure pressione, e magari possono anche generare altre molecole. “Abbiamo sviluppato la loro chimica fino al punto che, nel 2014, abbiamo dimostrato in un rapporto rivoluzionario che questi materiali possono essere adattati per raccogliere acqua potabile dall’aria del deserto, senza alcun bisogno di energia oltre a quella del Sole”, sottolinea. Nel deserto dell’Arizona sono bastati MOF e due scatole di plastica e nessuna fonte di energia esterna per generare acqua durante il periodo più caldo e secco dell’anno. LEGGI TUTTO

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    No all’allevamento dei polpi, la battaglia degli animalisti: “Sono animali senzienti”

    Tutti pazzi per il polpo. Ancor di più dopo lo straordinario successo del film “My Octopus Teacher”, premio Oscar nel 2021, un appassionato inno all’intelligenza di questi cefalopodi. Ma oggi, mentre in tutto il mondo si celebra la Giornata mondiale del Polpo, un campanello d’allarme si leva dal mondo degli animalisti. Preoccupati, più che mai, per la crescita degli allevamenti intensivi: una pratica con la quale si risponde ai trend della richiesta commerciale: il consumo di polpi selvatici, già diffuso in tutto il mondo, continua a crescere. Così, associazioni come “Compassion in World Farming” non ci stanno. Perché se la pesca intensiva rischierebbe di favorire un declino delle popolazioni selvatiche, l’indice è puntato contro gli allevamenti intensivi in spazi ridotti, poco compatibili – si denuncia in una nota – con la natura intelligente e solitaria degli animali, poco compatibile con condizioni di sovraffollamento”. Di più: “Confinarli in spazi ridotti potrebbe indurli a comportamenti aggressivi o addirittura a episodi di cannibalismo”, si legge nell’ultimo studio, diffuso nei giorni scorsi. Allevare i polpi sarebbe inoltre “una pratica insostenibile, poiché richiederebbe di nutrirli con pesci selvatici catturati in natura, aggravando così il sovrasfruttamento delle risorse ittiche e l’insicurezza alimentare delle comunità già vulnerabili in tutto il mondo”. Quanto basta per una levata di scudi contro realtà come Nueva Pescanova, che ha annunciato – riporta “Compassion in World Farming” – di voler realizzare il primo allevamento di polpi a scopo commerciale al mondo a Gran Canaria, in Spagna.

    Inquinamento

    Dal fegato allo stomaco, microplastiche nel 66% delle gazze marine trovate morte nel Tirreno

    di  Pasquale Raicaldo

    02 Ottobre 2024

    Le associazioni denunciano anche gli investimenti pubblici nello sviluppo di programmi di ricerca finalizzati all’allevamento dei polpi: 13,3 milioni di euro complessivi, 253.750 euro di fondi Ue per l’Italia, seconda solo alla Spagna. Di “scandalo” parla Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia, condannando la scelta del governo di “finanziare una pratica crudele verso gli animali e dannosa per l’ambiente”.

    Un progetto pilota
    I progetti di ricerca, nel dettaglio finalizzati attraverso il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca, riguardano – per esempio – un progetto pilota per il trasferimento delle tecniche di allevamento del polpo come nuova specie ai fini dell’acquacoltura, agli operatori del settore della Regione Puglia”. Ma si tratta di un segmento realmente sostenibile? Di neuroscienze e basi naturali della coscienza negli invertebrati si occupa, da anni, Graziano Fiorito, dirigente di ricerca del Dipartimento di Biologia ed Evoluzione Organismi Marini della Stazione zoologica Anton Dohrn. I polpi sono il suo principale oggetto di studio: “Si tratta di animali senzienti, in cui è provata la risposta al dolore e per i quali le direttive in vigore prescrivono massima attenzione e senso di responsabilità nei metodi di cattura e, eventualmente, di allevamento, che richiedono requisiti minimi in relazione all’etologia degli animali. – dice – La cura del loro benessere dovrebbe essere la norma, insieme al tema del sovraffollamento nelle vasche non è marginale quello del metodo con cui verrebbero uccisi: da valutare gli effetti dell’immersione dei polpi ancora coscienti in una sospensione di ghiaccio(-3°C), come accade per i pesci per il consumo umano”.

    Biodiversità

    Crisi climatica, nessun animale marino è al sicuro: una mappa per capire quali specie rischiano di più

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    18 Settembre 2024

    Eppure, con metodi di allevamento compatibili, etologicamente e fisiologicamente con la natura dei polpi, la pratica, annuisce anche il biologo marino, “non sarebbe da escludere a priori”.

    Allevamenti sostenibili: è possibile
    Intanto, secondo un sondaggio di CIWF e Eurogroup for Animals, peraltro, il tema degli investimenti pubblici nel settore ittico è di grande importanza per i cittadini italiani: secondo l’84% degli intervistati, percentuale più alta di tutta l’Unione Europea, il denaro pubblico dovrebbe essere investito solo in allevamenti sostenibili. LEGGI TUTTO

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    Copernicus: “Dopo settembre, probabile che il 2024 sia l’anno più caldo di sempre”

    Dal punto di vista del cambiamento climatico non c’è pace per questo 2024. Mese dopo mese e ancora prima che si concluda, si preannuncia come “l’anno più caldo mai misurato”. È quanto risulta dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio europeo Copernicus che segnala il mese di settembre come il secondo più caldo a livello globale, dopo il torrido […] LEGGI TUTTO

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    Come coltivare le viole: i consigli utili e la cura

    Le viole sono un genere di piante di modeste dimensioni che appartengono alla famiglia delle violacee, praticamente diffuse in tutto il globo terrestre. Si contano oltre 400 specie di viole, tra perenni ed annuali, che regalano meravigliose fioriture nel corso della primavera o dell’autunno e, nei climi più miti, anche in inverno: gli eccessi di freddo e caldo, infatti, ostacolano la fioritura delle viole. Tra le varietà più famose possiamo citare la viola cornuta, molto diffusa nelle aiuole e i bordi dei giardini, oppure la viola odorata, famosa per i fiori a forma di cuore dalle sfumature viola-lilla. Infine, la viola del pensiero (nome scientifico, tricolor) è molto apprezzata per i suoi fiori che possono avere un colore dal viola all’azzurro, oppure, dal porpora al giallo pallido. La viola ha un significato che spazia dalla pudicizia alla modestia: teniamone conto quando la regaliamo a qualcuno.

    La coltivazione delle viole in vaso e in piena terra

    Grazie alla rusticità di numerose specie, le viole possono essere coltivate tranquillamente in piena terra. La viola del pensiero, ad esempio, può tollerare minime attorno ai -15 gradi. Durante l’inverno, però, queste piante temono soprattutto l’eccessiva umidità del terreno, in particolare se non assicura un buon drenaggio. Il momento ideale per piantare le viole è all’inizio della primavera o dell’autunno, quando il clima è ancora mite. Nel caso della coltivazione in vaso, ricordiamoci di rinvasare la viola ogni anno, in modo tale da rinnovare il terreno e da offrire alle radici lo spazio sufficiente per svilupparsi bene. Accertiamoci di lasciare almeno 10-15 centimetri tra una piantina e l’altra, in modo tale da consentire una buona crescita agli esemplari in vaso. Se le viole sono coltivate in piena terra, possiamo creare un’aiuola leggermente più alta rispetto al livello del giardino: in questo modo, favoriremo il deflusso dell’acqua.

    Il terreno ideale per coltivare le viole
    Il miglior terreno per la coltivazione delle viole dev’essere prima di tutto drenante, perché la pianta non ama il ristagno idrico nelle radici. All’occorrenza, per migliorare il drenaggio del substrato, possiamo aggiungere della sabbia ed argilla espansa, oppure, ghiaia. Possiamo utilizzare del terriccio universale, arricchendolo con un po’ di concime. In alcune specie – come, ad esempio, la viola del pensiero – è molto importante evitare che il terreno sia troppo alcalino, altrimenti potrebbero manifestare i tipici sintomi del malassorbimento del ferro. Accertiamoci quindi di abbassare il pH del terreno, che dovrebbe essere circa pari a 6.

    L’esposizione ideale per le viole
    Per ottenere una fioritura abbondante, e viceversa ridurre un po’ lo sviluppo delle foglie, le viole andrebbero esposte in pieno sole. Queste piante sono tuttavia piuttosto versatili e tollerano anche una posizione in penombra. In questo caso, le viole tenderanno a fiorire un po’ più tardi nel corso del periodo primaverile, sebbene i fiori appassiscano meno velocemente grazie alla minor esposizione al sole. In ogni caso, preferiamo un luogo sufficientemente luminoso per la coltivazione: in caso contrario, le piante stenteranno a crescere e si seccheranno più facilmente.

    L’innaffiatura e la concimazione delle viole
    Quando le viole sono coltivate in piena terra, se il clima assicura una buona piovosità, le piogge assicurano spesso un apporto sufficiente di acqua. In caso contrario, l’innaffiatura deve contribuire a mantenere leggermente inumidito il terreno durante la stagione vegetativa, senza che sia mai imbevuto di acqua. Nel caso della coltivazione in vaso, ricordiamoci di far sì che il terriccio sia sempre umido, ma mai inzuppato. Evitiamo di usare i sottovasi e, qualora fossero proprio indispensabili, accertiamoci che non ristagni mai dell’acqua al loro interno. Possiamo concimare la viola con fertilizzante liquido aggiunto all’acqua di irrigazione, di norma per una volta al mese.

    La potatura delle viole
    Le viole non richiedono alcuna potatura specifica. Ricordiamoci però che possiamo stimolare lo sviluppo di nuovi fiori eliminando quelli che sono nel frattempo appassiti. Per svolgere questo compito, utilizziamo sempre degli utensili disinfettati accuratamente.

    I rischi per le viole
    Sebbene le viole siano piuttosto robuste, questi fiori possono essere colpiti da alcune avversità. L’eccesso di irrigazione e il ristagno idrico causano il marciume radicale, che possiamo trattare con un prodotto antifungino. Se i germogli più piccoli hanno un aspetto un po’ stentato, è molto probabile che ci siano dei pidocchi sui fiori. Per rimediare a questo problema, possiamo usare un insetticida ad hoc. Infine, le limacce e le chiocciole possono nutrirsi di fiori e foglie: in questo caso, dobbiamo rimuovere gli animali o usare un repellente specifico. LEGGI TUTTO

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    Incentivi green, gli esperti: “Alcuni sussidi nascondono un rischio per l’ambiente”

    Attenzione ai sussidi, anche quando sembrano “green”. Ad affermarlo, sulla rivista Science, è un gruppo di ricercatori ed economisti che mette in guardia dalle insidie che si celano dietro questo tipo di agevolazioni. Il rischio, infatti, è quello di alterare le pressioni del mercato, portando a conseguenze indesiderate che non solo perpetuano nel tempo i sussidi considerati “dannosi”, ma diminuiscono anche l’efficacia complessiva di quelli destinati a promuovere la sostenibilità ambientale.

    Mobilità

    La classifica europea delle capitali con i mezzi di trasporto più green, l’Italia fuori dalla top10

    di  Paolo Travisi

    07 Ottobre 2024

    Se da una parte non c’è dubbio che le agevolazioni favoriscano gli obiettivi ambientali e di sostenibilità: è un approccio politicamente più semplice per attuare un cambiamento rispetto alla creazione di nuove leggi o tasse, nonché per assicurarsi il sostegno di particolari gruppi di interesse. Un esempio è l’Inflation Reduction Act approvata nel 2022 dagli Stati Uniti che, attraverso crediti d’imposta e sussidi per veicoli elettrici, energia solare ed eolica, mira ad aumentare l’uso delle fonti rinnovabili e a migliorare l’efficienza energetica. Tuttavia, anche in questo caso, ci sono alcuni incentivi che sembrerebbero rispettare l’ambiente, ma che in realtà sono un’arma a doppio taglio. Un esempio? Quello sulle auto elettriche.
    “Un sussidio che inizialmente poteva essere considerato vantaggioso per la società potrebbe alla fine essere riconosciuto come un costo che supera di gran lunga i benefici”, scrivono gli autori. Questi incentivi da un lato portano senza dubbio ad una riduzione delle emissioni di gas serra, ma allo stesso tempo, rendendo i veicoli più appetibili economicamente, ne incrementano l’uso. Per il team di ricerca, invece, sarebbe stato meglio destinare questi fondi ad incrementare le infrastrutture e l’accesso ai trasporti pubblici, in modo da invogliare le persone ad utilizzare meno l’auto rendendo l’impatto ambientale positivo maggiore.

    Auto connesse, mercato in crescita: la spinta della telematica e della guida autonoma

    di Marco Cimminella

    18 Agosto 2024

    Miliardi di dollari per investimenti sostenibili finiti alle fonti fossili

    Ad oggi sono in vigore diversi incentivi che, secondo economisti e ambientalisti, sarebbero dannosi per l’ambiente, in quanto contribuirebbero attivamente al cambiamento climatico. I sussidi agli input agricoli statunitensi, ad esempio, sono alla base del 17% dell’inquinamento da azoto, mentre quelli per la produzione causano il 14% della deforestazione globale. Nel 2018, quasi il 70% dei 35,4 miliardi di dollari destinati alla pesca è stato utilizzati per l’acquisto di carburante, investimenti di capitale e infrastrutture, tutti fattori che contribuiscono alla pesca eccessiva.

    Nonostante i leader del G20 si siano impegnati a eliminare gradualmente gli incentivi ai combustibili fossili, alcune fonti stimano che nel 2022 fossero ancora 1.300 miliardi i dollari elargiti a questo settore, a causa dei notevoli interessi acquisiti e delle pressioni politiche esercitate dalle aziende beneficiarie per mantenerli in vigore. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden ha tentato ripetutamente di abrogare le agevolazioni fiscali per tali combustibili, ma senza successo. Secondo Segerson sarebbe più efficace, da un punto di vista economico, tassare le attività che generano effetti negativi, come la carbon tax. Si tratta, tuttavia, di una soluzione difficile da attuare. I sussidi costituiscono, perciò, un’opzione di ripiego, ma è importante, secondo gli autori, che abbiano una scadenza, così da poter essere rimossi quando sarà possibile fare qualcosa di meglio. “Possiamo sovvenzionare questi processi produttivi più ecologici, ma con cautela e riconoscendo che non vogliamo dipendere da questi sussidi a lungo termine”, conclude Segerson. LEGGI TUTTO