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    Ciccio Vitiello, professione ecopizzaiolo: “Vi presento la prima pizzeria con orto verticale”

    La prima inderogabile regola è evitare gli sprechi. A cominciare dall’acqua. “Abbattiamo il consumo idrico di quasi il 95%”, annuisce soddisfatto Ciccio Vitiello.Il suo “Cambia-Menti” (nomen omen) è la prima pizzeria d’Italia con un orto verticale, alimentato da impianto idroponico: a San Leucio, storica e affascinante frazione di Caserta, il futuro sostenibile è arrivato grazie a un’intuizione di un eco-pizzaiolo autodidatta, 33 anni, che aveva già ridato vita a un orto abbandonato, lo scorso anno, e che ora ha cercato, e a quanto pare trovato, la formula giusta per coniugare l’esigenza di coltivare ingredienti freschi e di qualità riducendo al minimo lo spreco d’acqua. Del resto, spiega, “con un orto tradizionale per irrigare 400-500 piante in terreno servono tra i 2.000 e i 3.000 litri d’acqua al giorno, anche utilizzando sistemi a goccia, mentre con la coltivazione fuori suolo a circolarità chiusa, invece, 1000 litri d’acqua possono essere riutilizzati per 20-25 giorni”. LEGGI TUTTO

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    Karla, l’architetta che si è data alla moda sostenibile

    Nei fine settimana Avenida Italia si riempie di gente. Karla è a suo agio sotto il baldacchino blu che ricopre il suo stand nella fiera. Si rivolge con gentilezza ai clienti, prende appunti sulla sua agenda, mette in ordine i capi di abbigliamento sugli appendiabiti. In mezzo al trambusto della Avenida, nel pieno centro dell’Avana, punta tutto sul buon gusto e l’inclusione vendendo, a prezzi accessibili, vestiti bellissimi per tutte le taglie. Molti si avvicinano, curiosano, comprano e vanno via con un sorriso. Karla Maria Lemus Mesa, giovane donna cubana, è architetta e imprenditrice. Ha 28 anni. Spinta dalla curiosità e dalla voglia di crescere nel campo della moda, partecipa al Laboratorio di moda circolare – organizzato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS – Progetto Avenida Italia) – che ha l’obiettivo di creare sinergie tra le donne e incentivare reti di supporto e contatto affinché le partecipanti possano sostenersi e ispirarsi a vicenda. Prima di frequentare il corso, Karla aveva avviato, con alcune amiche, un’attività di vendita informale a Fontanar, il quartiere periferico dell’Avana dove vive. A poco a poco è riuscita a espandersi e si è avvicinata al centro della città e, grazie al progetto italiano di cooperazione, oggi ha uno spazio permanente nella fiera di Avenida Italia durante i fine settimana, vetrina che le permette di aumentare la visibilità e attrarre nuovi clienti nella sua bottega, Ákares Shoppitrapo.

    La sua è un’impresa ispirata ai principi della sostenibilità, che coniuga moda e architettura. Il negozio si trova al piano terra di un edificio che conserva le caratteristiche tradizionali delle costruzioni cubane degli anni Quaranta. Sugli scaffali, accanto ai vestiti, Karla dà spazio all’artigianato di altre donne imprenditrici. Propone soprattutto abiti che la gente non indossa più o vestiti di collezioni passate provenienti dai Paesi occidentali. Lei li ricicla, evita che diventino rifiuti: “Il modello è sostenibile perché si tratta di allungare la vita di indumenti che già esistono e stanno circolando – afferma – diminuendo l’acquisto compulsivo che inquina il Pianeta e allo stesso tempo aiutando varie famiglie cubane a ricevere piccoli introiti da questo sistema”. Infatti, a chi lascia in consegna i propri abiti in negozio, Karla riconosce una percentuale in base al prezzo di vendita. Non si tratta di una semplice bottega di abbigliamento usato: Karla interviene, insieme alla sua squadra di designer, stiliste e sarte, per ridare vita ai vestiti destinati alla vendita, rendendo più attrattivo il design di vecchi modelli, ricucendo parti deteriorate e a volte riesce anche a creare abiti unici a partire da più stoffe riciclate, come un mosaico fatto di tessuti. LEGGI TUTTO

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    “Mobili usa e getta? La Terra non può più sopportare tutto questo”

    La tendenza sempre più spinta alla fast furniture, ovvero all’acquisto di mobili usa e getta, costituisce un serio danno per l’ambiente; il problema è simile a quello più noto della fast fashion. Solo in Gran Bretagna, ogni anno, vengono smaltiti in discarica oltre 22 milioni di mobili, che non possono essere riciclati o riutilizzati, ma la diffusione del fenomeno è ormai globale. La scarsa durata degli arredi per la casa e l’ufficio è dovuta a materiali scadenti, al modo in cui sono realizzati, alla insufficiente attenzione alla progettazione, alla rincorsa sfrenata ad abbattere i prezzi. Agli antipodi della fast furniture, pochi visionari che da decenni remano controcorrente sul fiume della società dei consumi. Ne abbiamo incontrato uno tra i più geniali, in Friuli-Venezia Giulia, dove è nato e dove opera dal 1980. Gabriele Centazzo ci accoglie nel suo buen retiro sulle Prealpi Carniche: una stalla in pietra e legno recentemente trasformata in casa-studio in un piccolo borgo della Val Colvera, ai margini del magnifico Parco naturale delle Dolomiti friulane. Lapidario sul fenomeno usa e getta – “la Terra, l’unico pianeta che abbiamo, non può più sopportare tutto questo” – propone la sua visione alternativa.

    Lunga durata
    “Innanzitutto, il prodotto dev’essere studiato per durare”, afferma Centazzo. “E nella durata comprendo due elementi molto importanti: la durata tecnica e quella estetica. I prodotti oggi diventano obsoleti perché le mode passano velocemente”. Un tempo non molto lontano non era così: il racconto del rasoio del nonno esemplifica molto bene il concetto. “Era bello il rasoio di mio nonno, con il manico lavorato, disegnato, aveva una sua consistenza, una sua bellezza. La lametta sottile in acciaio a fine vita veniva sostituita: materiale mono-materico facile da riciclare”. Il rasoio durava tutta la vita.

    Gabriele Centazzo  LEGGI TUTTO

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    Ludovica Chiarini e la magia del cinema che diventa green

    Ludovica Chiarini, trentenne bresciana, è la project manager di EcoMuvi, un servizio integrato per lo sviluppo sostenibile delle produzioni cinematografiche e audiovisive. “Mi sono laureata al DAMS di Brescia – spiega Chiarini – con una tesi dal titolo Cinema verde per il Pianeta Blu, in cui ho esplorato le pratiche sostenibili nel cinema a livello internazionale, con un focus particolare sugli Stati Uniti e successivamente ho conseguito un master specialistico in Leadership for Sustainability presso la Malmö University, in Svezia. Il mio lavoro attuale come Ceo di EcoMuvi e Sustainability Supervisor per il cinema e l’audiovisivo si concentra sulla promozione e l’implementazione di strategie di sostenibilità per le produzioni audiovisive, combinando ricerca accademica ed esperienza pratica”.
    EcoMuvi nasce nel 2013 per accompagnare le produzioni cinematografiche e audiovisive in un percorso di sostenibilità attiva. “Collaboro – racconta Chiarini – con i team di produzione per pianificare ogni aspetto in modo da ridurre l’impatto ambientale, dall’uso delle risorse alla gestione dei rifiuti. Al contempo lavoriamo per uno sviluppo sostenibile a tutto tondo, che massimizzi gli impatti positivi sociali sul territorio di ripresa e i risparmi economici per il budget del progetto. Grazie alla mia esperienza internazionale, mi ispiro alle migliori pratiche europee ed internazionali, adattandole al contesto italiano. Oltre agli aspetti pratici come la gestione dei trasporti, l’energia rinnovabile e la riduzione degli sprechi, credo che sia fondamentale adottare una mentalità progettuale. Le produzioni devono essere consapevoli del loro potenziale impatto e pianificare ogni fase per minimizzarlo. Strumenti come la rendicontazione di sostenibilità permettono di misurare i risultati e di identificare aree di miglioramento. Ciò fa sì che si possa lavorare in maniera preventiva e non solo “reagendo” alle brutte abitudini del set. Inoltre, la collaborazione con partner internazionali ci ha permesso di portare innovazioni tecnologiche e organizzative sul set che rappresentano un passo avanti per tutto il settore”. LEGGI TUTTO