John Vaillant, lo scrittore nemico del petrolio
Quando lo scorso gennaio le fiamme hanno divorato più di 10mila edifici nei dintorni di Los Angeles John Vaillant è stato intervistato da tv e giornali di tutto il mondo. Due anni prima aveva pubblicato Fire weather (in Italia uscito nel 2024 con il titoloL’età del fuoco ). Scrittore e giornalista per testate prestigiose come The New Yorker, The Atlantic, National Geographic, Vaillant aveva dedicato sette anni a ricostruire le cause e gli effetti del colossale incendio che nel 2016 devastò le foreste canadesi e la città petrolifera di Fort McMurray. Il risultato è un saggio che si legge come un romanzo. Merito della abilità letteraria di Vaillant, ma anche di un approccio differente rispetto a quello di altri colleghi che si cimentano con la crisi climatica.
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“Probabilmente sono un pavido, ma ho avuto paura a leggere La sesta estinzione di Elizabeth Kolbert, così come La Terra inabitabile di David Wallace-Wells. Sono grandi scrittori e grandi giornalisti, ma io non riesco a gestire tanta disperazione”, ha spiegato. “Con L’età del fuoco ho tentato una strada diversa, perché ho pensato che molti lettori non vogliono sentirsi dire che tutto sta andando in malora. Per questo ho raccontato le storie di persone e luoghi: dopodiché entrano in scena il fuoco e la scienza del clima. Ma il lettore è coinvolto dalla drammaturgia, dai personaggi, dalla loro lotta per sopravvivere. La vita è già dura anche senza il cambiamento climatico”.
Vaillant, 63 anni, ha la doppia cittadinanza statunitense e canadese: nato e cresciuto nel Massachusetts, vive a Vancouver dal 1998. La sua è una famiglia di studiosi: è figlio di George Eman Vaillant, psichiatra a Harvard e nipote dell’archeologo George Clapp Vaillant. Sua moglie è la scrittrice e antropologa Nora Walsh. Il successo de L’età del fuoco (finalista al Pulitzer nel 2024) lo ha trasformato in un esperto di incendi. “Ma non farò un libro sul rogo di Los Angeles: tutto quello che so del fuoco l’ho già scritto”, avverte. D’altra parte, prima di dedicarsi al disastro di Fort McMurray, aveva raccontato il mito dell’abete d’oro (The goden spruce) dei nativi americani della British Columbia, la vicenda di una tigre mangiatrice di uomini nell’estremo est della Russia (The tiger),perfino, in un romanzo, la storia di un immigrato messicano intrappolato nella cisterna di un camion abbandonato nel deserto dai trafficanti di esseri umani (The jaguar’s children ).
Ma le fiamme canadesi e quelle californiane hanno lasciato il segno. “È come se ciascuno di noi fosse chiuso nella sua scatola e non vedesse cosa c’è fuori”, spiega Vaillant. “Non credo sia negazionismo, penso piuttosto che sia una caratteristica della specie umana: siamo in grado di affrontare le cose ci capitano oggi, rimuovendo quelle che non consideriamo minacce immediate”.
Senza appello il suo atto d’accusa contro i combustibili fossili. “Tutta la nostra civiltà è alimentata dal fuoco e dal petrolio. L’80% della nostra energia viene dai combustibili fossili: una enorme quantità di CO? immessa nell’atmosfera. Ogni incendio sulla Terra è influenzato, in un modo o in un altro, dai cambiamenti climatici provocati dall’immissione in atmosfera di tutta questa anidride carbonica”. Vaillant è preoccupato dalla presidenza Trump e dalla sua inversione di rotta sul clima. Ma è convinto che il cammino verso l’addio ai fossili sia ormai irreversibile: “Trump può anche rilasciare nuove licenze di trivellazione in Alaska o nel Golfo del Messico, può distruggere l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente (Epa), può rendere gli Usa e il mondo un posto più pericoloso in cui vivere. Ma non potrà cambiare il mercato dell’energia. E io penso che vedremo un graduale rallentamento nella produzione di petrolio, man mano che proseguirà la transizione energetica verso le rinnovabili”.
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