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    John Vaillant, lo scrittore nemico del petrolio

    Quando lo scorso gennaio le fiamme hanno divorato più di 10mila edifici nei dintorni di Los Angeles John Vaillant è stato intervistato da tv e giornali di tutto il mondo. Due anni prima aveva pubblicato Fire weather (in Italia uscito nel 2024 con il titoloL’età del fuoco ). Scrittore e giornalista per testate prestigiose come The New Yorker, The Atlantic, National Geographic, Vaillant aveva dedicato sette anni a ricostruire le cause e gli effetti del colossale incendio che nel 2016 devastò le foreste canadesi e la città petrolifera di Fort McMurray. Il risultato è un saggio che si legge come un romanzo. Merito della abilità letteraria di Vaillant, ma anche di un approccio differente rispetto a quello di altri colleghi che si cimentano con la crisi climatica.

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    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    “Probabilmente sono un pavido, ma ho avuto paura a leggere La sesta estinzione di Elizabeth Kolbert, così come La Terra inabitabile di David Wallace-Wells. Sono grandi scrittori e grandi giornalisti, ma io non riesco a gestire tanta disperazione”, ha spiegato. “Con L’età del fuoco ho tentato una strada diversa, perché ho pensato che molti lettori non vogliono sentirsi dire che tutto sta andando in malora. Per questo ho raccontato le storie di persone e luoghi: dopodiché entrano in scena il fuoco e la scienza del clima. Ma il lettore è coinvolto dalla drammaturgia, dai personaggi, dalla loro lotta per sopravvivere. La vita è già dura anche senza il cambiamento climatico”.

    Vaillant, 63 anni, ha la doppia cittadinanza statunitense e canadese: nato e cresciuto nel Massachusetts, vive a Vancouver dal 1998. La sua è una famiglia di studiosi: è figlio di George Eman Vaillant, psichiatra a Harvard e nipote dell’archeologo George Clapp Vaillant. Sua moglie è la scrittrice e antropologa Nora Walsh. Il successo de L’età del fuoco (finalista al Pulitzer nel 2024) lo ha trasformato in un esperto di incendi. “Ma non farò un libro sul rogo di Los Angeles: tutto quello che so del fuoco l’ho già scritto”, avverte. D’altra parte, prima di dedicarsi al disastro di Fort McMurray, aveva raccontato il mito dell’abete d’oro (The goden spruce) dei nativi americani della British Columbia, la vicenda di una tigre mangiatrice di uomini nell’estremo est della Russia (The tiger),perfino, in un romanzo, la storia di un immigrato messicano intrappolato nella cisterna di un camion abbandonato nel deserto dai trafficanti di esseri umani (The jaguar’s children ).
    Ma le fiamme canadesi e quelle californiane hanno lasciato il segno. “È come se ciascuno di noi fosse chiuso nella sua scatola e non vedesse cosa c’è fuori”, spiega Vaillant. “Non credo sia negazionismo, penso piuttosto che sia una caratteristica della specie umana: siamo in grado di affrontare le cose ci capitano oggi, rimuovendo quelle che non consideriamo minacce immediate”.

    Senza appello il suo atto d’accusa contro i combustibili fossili. “Tutta la nostra civiltà è alimentata dal fuoco e dal petrolio. L’80% della nostra energia viene dai combustibili fossili: una enorme quantità di CO? immessa nell’atmosfera. Ogni incendio sulla Terra è influenzato, in un modo o in un altro, dai cambiamenti climatici provocati dall’immissione in atmosfera di tutta questa anidride carbonica”. Vaillant è preoccupato dalla presidenza Trump e dalla sua inversione di rotta sul clima. Ma è convinto che il cammino verso l’addio ai fossili sia ormai irreversibile: “Trump può anche rilasciare nuove licenze di trivellazione in Alaska o nel Golfo del Messico, può distruggere l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente (Epa), può rendere gli Usa e il mondo un posto più pericoloso in cui vivere. Ma non potrà cambiare il mercato dell’energia. E io penso che vedremo un graduale rallentamento nella produzione di petrolio, man mano che proseguirà la transizione energetica verso le rinnovabili”.

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    Non solo scienza: musica e teatro per difendere l’ambiente

    Mario Tozzi il primo ad andare in scena il 5 giugno: geologo, divulgatore e volto noto della tv porterà sul palco la lectio-spettacolo Sapiens sull’orlo di una crisi di nervi in cui smaschera il paradosso della specie umana, dominatrice del pianeta ma al contempo incapace di riconoscere i limiti ecologici del proprio. Il programma G&B […] LEGGI TUTTO

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    Paola Mercogliano (CMCC): “Eventi climatici sempre più estremi, serve consapevolezza”

    “Negli ultimi anni l’evidenza scientifica sul cambiamento climatico si è ulteriormente consolidata. Report internazionali, come quelli dell’IPCC, e nazionali, come quelli di Ispra sullo stato del clima in Italia, mostrano un chiaro aumento nella frequenza, nell’intensità e nella durata di eventi estremi: ondate di calore, precipitazioni intense concentrate in brevi periodi e lunghi periodi siccitosi. Non è sempre possibile attribuire un singolo evento al cambiamento climatico in modo chiaro, ma i trend – in termini di maggiore persistenza, intensità e frequenza di questi fenomeni – sono inequivocabilmente legati a un clima che sta cambiando”. Paola Mercogliano insegna Meteorologia Avanzata all’Università degli Studi di Napoli Parthenope e lavora presso il Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici come responsabile della Divisione di Ricerca su Modelli Regionali e Impatti Geo-Idrologici.

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    20 Maggio 2025

    Anche in Italia facciamo i conti con le conseguenze del cambiamento. Come?
    “Con ondate di calore sempre più intense e frequenti e precipitazioni che tendono a concentrarsi in episodi brevi ma molto intensi, con conseguenti difficoltà nella gestione del rischio idraulico, soprattutto in contesti urbani. Anche la siccità si manifesta con maggiore severità e in modo prolungato, provocando danni rilevanti a biodiversità e agricoltura. I numeri cambiano da territorio a territorio, ma la tendenza è univoca. E la progressiva alterazione dei regimi atmosferici e idrologici rende il sistema climatico non solo più estremo, ma anche più variabile e complesso da prevedere”.

    Perché Il Mediterraneo è un “osservato speciale”?
    “Perché è uno dei principali hotspot del cambiamento climatico a livello globale: si sta riscaldando a un ritmo circa del 20% superiore rispetto alla media planetaria. Le città costiere sono esposte all’innalzamento del livello del mare e, in alcune aree, anche all’aumento della frequenza e dell’intensità delle mareggiate. Inoltre i territori montani risentono della riduzione del manto nevoso e dell’incremento del rischio geo-idrologico. L’agricoltura è messa a dura prova sia dalla siccità sia da eventi estremi, con ripercussioni dirette sulla produzione alimentare”.

    Come sta rispondendo il territorio?
    “Le infrastrutture critiche italiane si trovano ad affrontare condizioni climatiche — in termini di temperature, precipitazioni e venti – per le quali non sono state progettate. Ci sono rilevanti impatti sulla salute pubblica specialmente nelle città, legati all’aumento delle ondate di calore. Un quadro complesso che richiede interventi urgenti, integrati e fondati su basi scientifiche”.

    Che tipo di interventi?
    “Ci vogliono strategie e piani di adattamento, quindi strumenti di governance, scientificamente validi ma che tengano anche in conto le esigenze di chi vive nel territorio, non calati dall’alto. La resilienza urbana si costruisce attraverso scelte di trasformazione concrete: più verde e meno cemento, gestione intelligente delle acque piovane, reti energetiche efficienti, piani regolatori che integrino il rischio climatico. Le soluzioni devono arrivare a valle di lavoro di concertazione tra tecnici e cittadinanza. Noi stiamo lavorando con molte amministrazioni per fornire scenari, indicatori e strumenti decisionali basati sulla scienza”.

    La scienza, già. Come fanno a sopravvivere, oggi, i negazionismi?
    “È un fenomeno complesso: oggi più che negare l’esistenza del cambiamento climatico – ormai evidente – si tende a minimizzarne l’urgenza o a mettere in dubbio la necessità di agire in tempi rapidi. Un atteggiamento che rallenta l’adozione di quelle trasformazioni strutturali ormai imprescindibili. Andrebbe cambiata la narrazione pubblica sul cambiamento climatico, troppo spesso focalizzata sull’allarme e sulla paura. Come? Valorizzando le soluzioni concrete disponibili, le buone pratiche che in molte comunità si stanno adottando con risultati positivi, l’importanza di fare certe scelte per il benessere delle persone: oggi la comunità scientifica ha molte risposte. Nel progetto europeo che coordino stiamo sviluppando strumenti formativi e informativi accessibili a diversi tipi di pubblico, per rafforzare consapevolezza e coinvolgimento sociale”.

    Cosa può fare ciascuno di noi?
    “Scelte individuali come l’uso dell’energia, i consumi alimentari, la mobilità o il modo in cui si gestisce l’acqua contribuiscono a contenere il nostro impatto ma il coinvolgimento va oltre le azioni dei singoli: i cittadini devono essere coinvolti nella co-progettazione di strategie di adattamento. Nella recente esperienza che ho avuto con la città di Roma hanno portato idee innovative in grado di migliorare le strategie di adattamento: questa è una sfida che richiede la collaborazione tra scienza, istituzioni e società civile”.

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    Elizabeth Kolbert: “E se fosse già iniziata l’era di una nuova estinzione?”

    Quasi senza rendercene conto stiamo passando dalla Primavera silenziosa all’Estinzione silenziosa. Nel 1962, quando Elizabeth Kolbert aveva appena un anno, la zoologa Rachel Carson pubblicò il suo famoso libro – Primavera silenziosa – che descrivendo la scomparsa degli uccelli e dei loro canti a causa dell’uso di DDT e pesticidi diventò un manifesto globale per […] LEGGI TUTTO

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    Roberto Danovaro: “Nessun futuro senza gli oceani”

    Passato ancestrale e futuro remoto, è tutto lì: negli oceani. Il 40% della popolazione mondiale vive entro i 100 chilometri dal mare: va da sé che la grande sfida che attende l’umanità sia legata al destino della grande distesa blu che ci circonda, e di chi la abita. “Proprio così, l’umanità non può che guardare agli oceani quando si interroga sul suo futuro, perché sono loro a ospitare i servizi ecosistemici che ci consentiranno di vivere meglio e sfamarci e perché è lì che si giocherà una grande partita geopolitica per gli equilibri del pianeta”, sottolinea Roberto Danovaro, già presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn, oggi docente di ecologia all’Università Politecnica delle Marche, tra gli esperti più influenti al mondo sullo studio del mare.

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    20 Maggio 2025

    Il 90% dello spazio abitabile della Terra è, del resto, negli oceani: 250 mila specie catalogate, molte ancora da scoprire. “Un patrimonio da tutelare attraverso la limitazione degli impatti antropici, in particolare degli effetti dei cambiamenti climatici, e la tutela della biodiversità, ma soprattutto con il restauro degli ecosistemi marini, argomento nuovo ma già dominante, e che continuerà ad esserlo fino al 2050. – aggiunge Danovaro – Bisogna recuperare servizi ecosistemici, ma anche ridare vita a potenziali stock ittici e garantire continuità all’attività di sequestro di carbonio che assicura la vita a tutti noi. Per farlo, va sviluppata una nuova economia generativa e di recupero, in grado di contrastare i fenomeni, preoccupanti, degli ultimi decenni”.

    Tra questi, naturalmente, la cosiddetta marine litter (“la concentrazione delle microplastiche aumenterà di 4 volte nei prossimi 25 anni, malgrado i nostri sforzi”) e gli ultimi report sulla salute delle barriere coralline. “Per la quarta volta in 25 anni stiamo assistendo allo sbiancamento di massa dei coralli, con la perdita del 25% dei coral reef a livello globale, fenomeno legato direttamente ai cambiamenti climatici. – annota Danovaro – Se non si interviene, entro il 2050 avremo perso o trasformato il 50% delle barriere coralline”. Un fenomeno che non è così lontano da noi. “Prova ne è lo sbiancamento di specie come la madrepora a cuscino, la Cladocora caespitosa, vittima delle ondate di calore nelle ultime estati, chissà cosa accadrà ora tra fine giugno e inizio luglio. – prosegue l’ecologo – E lo stesso accade con le foreste di gorgonia del Mediterraneo”.

    I numeri parlano chiaro, del resto: complice la sua stessa conformazione, il Mare Nostrum si è riscaldato più degli oceani, fino a +0,4 °C ogni 10 anni rispetto a +0,2 °C. Qui più che altrove è in atto il fenomeno di acidificazione delle acque, con effetti nocivi sulla salute degli ecosistemi. “Viene meno la dinamica di raffreddamento del nostro mare. – annota Danovaro – Del resto non c’è da sorprendersi, se – come temperatura globale – abbiamo già superato nel 2024 la soglia di 1,5° C in più rispetto ai livelli pre-industriali, prevista dall’accordo di Parigi”.

    La buona notizia è nella resilienza di molte specie marine: “Quando si interviene con politiche ragionevoli, anche facendo il minimo, le risposte non tardano ad arrivare: è accaduto negli anni passati con le Caretta caretta, sta avvenendo con il ritorno della foca monaca. E la biodiversità marina ha risvolti ancora in larga parte incompresi anche in termini economici: i paesaggi sommersi vanno considerati alla stregua di attrattori come Grand Canyon o Sequoia Park”.

    Va, tuttavia, regolamentato l’impatto dell’overtourism: “Per il bene delle specie marine, ma anche dello stesso turismo, che ha bisogno di luoghi godibili, e dunque regolamentati”.

    E il futuro degli oceani è anche negli abissi: “Nelle profondità, ancora in larga parte ignote, si gioca una parte del nostro futuro: anzitutto in ragione della ricchezza biologica, ancora in larga parte ignota, che potrà migliorare le nostre vite: penso alle scoperte future per la medicina, legate ai batteri che popolano gli ambienti più estremi. E poi per le risorse che vi si trovano: idrocarburi e metalli come nichel e manganese, ma anche oro. Il mondo è pronto a una continua corsa, che va regolamentata: l’impatto delle attuali tecnologie è stato sin qui devastante. E ancora: negli ambienti profondi c’è il 90% del potenziale pescato di tutto il mondo. Capire come prelevarlo, e in che misura, è uno degli obiettivi del Sustainable Blue Economy Partnership, partenariato internazionale istituito dalla Commissione europea, coordinato proprio dall’Italia”. LEGGI TUTTO

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    Impatto ambientale e distruzione dei ghiacciai, anche il turismo deve essere sostenibile

    Il 2024 ha registrato in Italia 458,4 milioni di presenze turistiche negli esercizi ricettivi e per l’anno in corso questa cifra è destinata ancora salire. Un popolo di vacanzieri nostrani e stranieri arrivato in ogni angolo della Penisola dove ha mangiato, bevuto e dormito sfruttando al massimo quello che gli stava intorno, generando una spesa stimata in 62 miliardi di euro. Secondo Eurispes gli arrivi internazionali aumenteranno, nel mondo, di 43 milioni in media all’anno e raggiungeranno 1,8 miliardi entro il 2030. Di fronte a questa invasione il tema dei dibattiti nei Consigli comunali, nelle assemblee piccole e grandi di residenti e degli addetti ai lavori è come convivere e non essere fagocitati dalla gentrificazione delle città che cambiano sotto la spinta irrefrenabile del turismo che diventa “overturism”.

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    20 Maggio 2025

    “Quello che sta accadendo con questo tipo di turismo non programmato, perché la linea viene dettata solo dagli imprenditori, è la trasformazione in luoghi inabitabili. Innanzitutto, perché i residenti schiacciati dai prezzi e dalle politiche degli affitti brevi non possono stare più in quei luoghi” sottolinea Cristina Nadotti, autrice di Il turismo che non paga (Edizioni Ambiente). Nel suo libro Nadotti racconta come questa importante voce dell’economia non abita ma consuma, generando “una ricaduta terribile sulle comunità dal punto di vista del consumo vorace di suolo, risorse e capitale naturale e tutto il valore aggiunto si concentra nella mani di pochi grandi gruppi”. Perché dei proventi delle attività economiche ai residenti arriva sempre una minima parte e alle amministrazioni ancor meno. E anche i servizi pubblici come assistenza sanitaria, raccolta rifiuti e controllo del territorio vanno in tilt. Perché con la sanità in ritirata e i tagli ai bilanci degli enti locali l’eredità di arrivi fuori controllo è un’enorme bolletta pubblica per garantire servizi essenziali a residenti e non.

    “Il turismo che non paga” (Edizioni Ambiente, 2025)  LEGGI TUTTO

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    Bertrand Piccard, un esploratore al servizio della lotta per l’ambiente

    Di sfide estreme appassionato da sempre e ne ha affrontate, e vinte, tante. Forse per questo che Bertrand Piccard ha deciso di cimentarsi in un’altra battaglia che molti ritengono impossibile ma che va necessariamente vinta: la difesa di un pianeta sempre pi minacciato dalle attività degli umani. Piccard la chiama “esplorazione al servizio della sostenibilità” ed convinto che possa essere un tassello importante per spingere il mondo verso la transizione ecologica. “Grandi sfide attendono l’umanità — dice — sfide che apriranno la scienza a nuovi orizzonti: ma l’obiettivo non sarà tanto la conquista di territori sconosciuti, quanto riuscire a preservare il Pianeta di fronte alle minacce che incombono, per poterci vivere meglio”.

    L’esplorazione il filo rosso che lo collega al nonno Auguste e al padre Jacques, il primo a scendere con un batiscafo nella Fossa delle Marianne a 11 mila metri di profondità, peraltro scoprendo un pesce laddove si credeva ci fosse il deserto e che con questo bloccò lo sversamento di rifiuti tossici e radioattivi negli oceani. Bertrand all’esplorazione classica del XX secolo aggiunge l’impronta ecologica e così il 27 luglio 2016, a poco pi di un anno dalla partenza, atterra ad Abu Dabi con Solar Impulse, un aereo a propulsione solare “senza nemmeno una goccia di carburante”, smentendo tutte le previsioni. “Quando presentai questo progetto al mondo dellaviazione – racconta – impiegarono 6 minuti per dirmi che era impossibile”.

    Oggi commenta:

    Il pubblico pronto a entusiasmarsi per grandi avventure. Un aereo a propulsione solare che vola fino a completare il giro del mondo senza carburante era un simbolo potente. Se era possibile fare a meno dei combustibili fossili in cielo, nessuno avrebbe pi potuto sostenere che fosse impossibile farlo a terra, nella nostra società, per le nostre macchine, le nostre case.

    Ma da buon esploratore Piccard non si fermato qui. Ha deciso di fare un ulteriore passo in avanti con Climate Impulse, una nuova sfida tecnologica e umana: il giro del mondo, senza scali e senza emissioni, a bordo di un aereo alimentato a idrogeno. “Il Climate Impulse non è solamente un aereo, una prova di futuro – spiega – l’obiettivo è stimolare entusiasmo in favore di tecnologie pulite, che consentano di risparmiare energia, e generare emozioni positive intorno alle rinnovabili. Bisogna attirare l’attenzione sui cambiamenti indispensabili per assicurare il futuro energetico ed ecologico del nostro pianeta, dare un’immagine positiva e stimolante della difesa dell’ambiente, dimostrare che fonti di energie alternative, alleate a nuove tecnologie, possono consentire risultati che sembrano impensabili in partenza”.

    Ottimismo e consapevolezza. “Questi voli – continua l’esploratore – sono dei simboli: improbabile che un giorno un aereo a propulsione solare possa trasportare 300 passeggeri o che ci sia bisogno di fare il giro del mondo senza scali. Ma sono simboli che riguardano tutti. Perché in fondo non siamo tutti, qui sulla Terra, nella situazione del pilota del Solar Impulse o del Climate? Se questi apparecchi non hanno le tecnologie giuste, o sperperano la loro energia, non saranno in grado di realizzare la loro missione. E se noi non investiremo nei mezzi scientifici che consentono di sviluppare nuove fonti di energia, se i nostri politici e i nostri industriali continueranno a non avere capacità di visione, ci ritroveremo in una crisi gravissima, che ci impedir di trasmettere il pianeta alla prossima generazione”.

    Utopie? Non per Piccard che di smentire abitudini stratificate ha fatto uno stile di vita: “Non più dell’idea di lanciare un programma spaziale per mandare uomini sulla Luna all’inizio degli anni 60. Ma per intravedere una possibilità di successo bisogna trasformare in un’avventura grande ed entusiasmante quello che tanti vedono come un fastidioso obbligo di rinunciare alle loro certezze e alle loro abitudini”.

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