Roberto Danovaro: “Nessun futuro senza gli oceani”
Passato ancestrale e futuro remoto, è tutto lì: negli oceani. Il 40% della popolazione mondiale vive entro i 100 chilometri dal mare: va da sé che la grande sfida che attende l’umanità sia legata al destino della grande distesa blu che ci circonda, e di chi la abita. “Proprio così, l’umanità non può che guardare agli oceani quando si interroga sul suo futuro, perché sono loro a ospitare i servizi ecosistemici che ci consentiranno di vivere meglio e sfamarci e perché è lì che si giocherà una grande partita geopolitica per gli equilibri del pianeta”, sottolinea Roberto Danovaro, già presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn, oggi docente di ecologia all’Università Politecnica delle Marche, tra gli esperti più influenti al mondo sullo studio del mare.
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Il 90% dello spazio abitabile della Terra è, del resto, negli oceani: 250 mila specie catalogate, molte ancora da scoprire. “Un patrimonio da tutelare attraverso la limitazione degli impatti antropici, in particolare degli effetti dei cambiamenti climatici, e la tutela della biodiversità, ma soprattutto con il restauro degli ecosistemi marini, argomento nuovo ma già dominante, e che continuerà ad esserlo fino al 2050. – aggiunge Danovaro – Bisogna recuperare servizi ecosistemici, ma anche ridare vita a potenziali stock ittici e garantire continuità all’attività di sequestro di carbonio che assicura la vita a tutti noi. Per farlo, va sviluppata una nuova economia generativa e di recupero, in grado di contrastare i fenomeni, preoccupanti, degli ultimi decenni”.
Tra questi, naturalmente, la cosiddetta marine litter (“la concentrazione delle microplastiche aumenterà di 4 volte nei prossimi 25 anni, malgrado i nostri sforzi”) e gli ultimi report sulla salute delle barriere coralline. “Per la quarta volta in 25 anni stiamo assistendo allo sbiancamento di massa dei coralli, con la perdita del 25% dei coral reef a livello globale, fenomeno legato direttamente ai cambiamenti climatici. – annota Danovaro – Se non si interviene, entro il 2050 avremo perso o trasformato il 50% delle barriere coralline”. Un fenomeno che non è così lontano da noi. “Prova ne è lo sbiancamento di specie come la madrepora a cuscino, la Cladocora caespitosa, vittima delle ondate di calore nelle ultime estati, chissà cosa accadrà ora tra fine giugno e inizio luglio. – prosegue l’ecologo – E lo stesso accade con le foreste di gorgonia del Mediterraneo”.
I numeri parlano chiaro, del resto: complice la sua stessa conformazione, il Mare Nostrum si è riscaldato più degli oceani, fino a +0,4 °C ogni 10 anni rispetto a +0,2 °C. Qui più che altrove è in atto il fenomeno di acidificazione delle acque, con effetti nocivi sulla salute degli ecosistemi. “Viene meno la dinamica di raffreddamento del nostro mare. – annota Danovaro – Del resto non c’è da sorprendersi, se – come temperatura globale – abbiamo già superato nel 2024 la soglia di 1,5° C in più rispetto ai livelli pre-industriali, prevista dall’accordo di Parigi”.
La buona notizia è nella resilienza di molte specie marine: “Quando si interviene con politiche ragionevoli, anche facendo il minimo, le risposte non tardano ad arrivare: è accaduto negli anni passati con le Caretta caretta, sta avvenendo con il ritorno della foca monaca. E la biodiversità marina ha risvolti ancora in larga parte incompresi anche in termini economici: i paesaggi sommersi vanno considerati alla stregua di attrattori come Grand Canyon o Sequoia Park”.
Va, tuttavia, regolamentato l’impatto dell’overtourism: “Per il bene delle specie marine, ma anche dello stesso turismo, che ha bisogno di luoghi godibili, e dunque regolamentati”.
E il futuro degli oceani è anche negli abissi: “Nelle profondità, ancora in larga parte ignote, si gioca una parte del nostro futuro: anzitutto in ragione della ricchezza biologica, ancora in larga parte ignota, che potrà migliorare le nostre vite: penso alle scoperte future per la medicina, legate ai batteri che popolano gli ambienti più estremi. E poi per le risorse che vi si trovano: idrocarburi e metalli come nichel e manganese, ma anche oro. Il mondo è pronto a una continua corsa, che va regolamentata: l’impatto delle attuali tecnologie è stato sin qui devastante. E ancora: negli ambienti profondi c’è il 90% del potenziale pescato di tutto il mondo. Capire come prelevarlo, e in che misura, è uno degli obiettivi del Sustainable Blue Economy Partnership, partenariato internazionale istituito dalla Commissione europea, coordinato proprio dall’Italia”. LEGGI TUTTO