La grande sfida della convivenza con la fauna selvatica
La biodiversità globale sta attraversando una crisi drammatica, causata dell’azione distruttiva delle attività umane. Negli ultimi 50 anni, le popolazioni di animali selvatici sono crollate del 73%, come documenta il rapporto biennale Living Planet prodotto dal WWF e dalla Zoological Society di Londra. La perdita di biodiversità minaccia non solo gli ecosistemi, ma anche il benessere e lo sviluppo delle nostre comunità, perché la nostra vita dipende in larga parte dalla natura.Per invertire questo andamento non basta proteggere una parte del pianeta, come aveva proposto Edward O. Wilson nel suo libro Half-Earth: Our Planet’s Fight for Life dove il grande scienziato aveva lanciato la proposta di proteggere almeno il 50% del Pianeta, per garantire la sopravvivenza delle specie selvatiche. Oltre a creare aree protette, è fondamentale portare la conservazione più vicina a noi: ai margini dei nostri campi agricoli, nelle periferie urbane e perfino dentro le città. In un paese come l’Italia, modellato da millenni di attività umana, immaginare una netta separazione tra spazi naturali e spazi antropizzati è irrealistico.
A differenza del Nord America, dove esistono vasti parchi (la superficie del parco dello Yellowstone è maggiore dell’Umbria), senza insediamenti, l’Italia è un mosaico di paesi, città, campi coltivati e boschi strettamente interconnessi. Questo contesto spiega gli incontri sempre più frequenti con cinghiali, caprioli, lupi e orsi ai margini dei centri abitati. Presenze che suscitano curiosità e meraviglia, ma anche paura e conflitti. Un esempio emblematico è quello degli orsi reintrodotti in Trentino dalla Slovenia alla fine degli anni ’90. Il Trentino, pur essendo ricco di aree naturali, è anche una regione densamente abitata e ad alta pressione turistica. Le interazioni tra orsi e uomini sono inevitabili, e la coesistenza richiede interventi complessi per contenere i rischi e prevenire i conflitti. A differenza del Nord America o della Tanzania, dove è possibile una separazione tra aree riservate alla fauna selvatica e altre destinate all’agricoltura e al pascolo dove i predatori vengono spesso rimossi, in Italia – e in gran parte d’Europa – la convivenza è più intricata e impegnativa.
Non è una sfida solo italiana. I conflitti tra animali selvatici e comunità umane sono in crescita ovunque. Tanto che questo tema è formalmente incluso nel Global Biodiversity Framework, il programma di azioni adottato dalle Nazioni Unite, che nel 2022 ha incluso l’obiettivo 4, che chiede ai Paesi del mondo di arrestare l’estinzione delle specie, di tutelare la diversità genetica della vita e – appunto – di ridurre i conflitti tra l’uomo e gli animali, come strada obbligata per tutelare le specie selvatiche e la sicurezza delle comunità. L’espansione urbana e agricola porta a un numero crescente di interazioni: elefanti che devastano coltivazioni, leopardi che entrano nelle città indiane, orsi che rovistano nei rifiuti, o cinghiali che cercano nei cassonetti a Roma. Solo in India, ogni anno più di 500 persone muoiono in scontri con elefanti, tigri, orsi labiati e leopardi — e spesso, anche gli animali pagano i conflitti con la vita uccisi dagli agricoltori o dagli abitanti delle zone rurali. Come sottolinea Alexandra Zimmermann, una delle principali esperte mondiali di conflitti uomo-fauna, affrontare il problema richiede più della sola gestione ecologica: servono approcci sociali, culturali e partecipativi. È necessario costruire fiducia, basarsi su dati scientifici solidi e coinvolgere le comunità nella ricerca di soluzioni condivise. Se vogliamo proteggere la biodiversità dobbiamo affrontare le sue fragilità alla radice – compresi i conflitti tra fauna e uomo. La convivenza non è un ideale romantico, ma una sfida concreta, fatta spesso di decisioni difficili.
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