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    Francesco Broccolo: “Quando le piante sono stronze”

    Non tutto il verde luccica, al contrario. Ci sono piante pericolose per noi e per l’ecosistema, altre che avvelenano il terreno o vivono alle spalle di grandi alberi. Poca poesia e tanta cattiveria. Sono stronze per natura per dirlo con le parole di Francesco Broccolo, il giovane insegnante di agraria molto conosciuto sui social che ha dedicato un erbario divulgativo a questo curioso genere Piccolo erbario delle piante stronze, in uscita ai primi di settembre per Rizzoli Illustrati. Una guida per raccontare con ironia, e la mano di Marina Cremonini, 22 piante comuni che quando possono giocano brutti scherzi.

    Cosa significa pianta stronza?
    “È quella che cresce dove non vuoi, anche al decimo piano, dove a stento ci arriva l’ascensore, e si riproduce a velocità record. Hanno spine o arpioni, tossine o pollini super allergenici, e radici invadenti che sfasciano marciapiedi e fondamenta delle abitazioni. Ci sono specie che addirittura avvelenano il terreno attorno per eliminare la concorrenza. Sono di certo furbe, senza dubbio fastidiose e decisamente stronze”.

    Si comportano peggio con noi o tra di loro?
    “Con noi sicuramente, ma anche tra di loro spesso non sono certo amichevoli. Capita che molte piante celebrate sotto il profilo estetico abbiano poi un lato oscuro che pochi conoscono. A quel punto, hai voglia a dire che sia bella”.

    La più stronza di tutte.
    “Il podio spetta all’ailanto, un albero invasivo che può arrivare fino a trenta metri. Dalle radici rilascia un diserbante naturale che impedisce ad altre specie di crescere mentre dalle foglie emette un repellente per tenere alla larga ospiti indesiderati. Crea il deserto. Eppure, dal momento che è una mellifera, alcuni l’hanno sdoganato. Anche se il miele è buono la pianta è quello che ho definito un unno vegetale”.

    Nel tuo erbario hai inserito anche un albero con un forte simbolismo come il cipresso parlando di magia nera. Perché?
    “In realtà è fastidioso per tutti. Il diavolo, in questo caso, si nasconde nei suoi fiori maschili: quei piccoli conetti gialli che rilasciano però una strabordante quantità di polline. La magia nera botanica è questa. Il cipresso non si limita a una modesta spruzzatina: al culmine della stagione sembra quasi fumare. Basta qualche minuto perché gli occhi di chiunque inizino a bruciare”.

    Queste piante avranno anche qualche comportamento più virtuoso.
    “Nella loro arroganza vegetale hanno spesso un ruolo fondamentale negli ecosistemi e persino nella nostra vita quotidiana. L’acacia o l’olmo sono infestanti ma ci aiutano a stabilizzare i terreni e le scarpate oltre a fornire riparo e nutrimento a molti insetti e animali”.
    Non è tutto da buttare allora.
    “Non confondiamoci, le specie invasive vanno tenute sotto controllo perché non diventino un problema come è accaduto per l’ailanto”.
    All’appello del tuo erbario mi sembra mancare il forasacco di Gussone ma in compenso c’è lo stracciabraghe (Smilax aspera) e la carota selvatica che definisci “La gentile adesiva dal tocco irritante”. Cosa significa?
    “Dopo una passeggiata estiva in campagna o su un sentiero capita di trovarsi minuscoli pallini spinosi aggrappati a pantaloni, lacci delle scarpe, tra i capelli, sulle gambe e sulle braccia. Sono le infiorescenze della carota selvatica, la responsabile di questa aggressione”.
    Ci sono specie che hanno creato enormi danni economici?
    “Le orobanche che i contadini nostrani chiamano succiamele: è sufficiente un numero ristretto di esemplari per rendere un campo inutilizzabile per la coltivazione delle fave per un periodo tra i venti e i venticinque anni. Sono storicamente il terrore dei coltivatori di legumi: in Etiopia è diventata talmente invasiva che molti agricoltori hanno dovuto abbandonare. Si ritiene che la piaga sia stata introdotta in quelle zone attraverso aiuti umanitari: semi di orobanche mescolati accidentalmente a partite di legumi distribuite come cibo durante le carestie degli anni Ottanta”.
    Cosa abbiamo in comune con queste piante?
    “Tutti gli esseri viventi sulla Terra vogliono sempre di più. Pensa alle piante rampicanti come l’edera: arrivata in cima a una quercia, che cosa fa? Emette le foglie e fa nuovi germogli fino a quando non avvolge tutta la chioma della quercia e, di conseguenza, le toglie luce e spazio. La quercia, quindi, muore di fame. Significa letteralmente, sputare sul piatto dove mangi. Ma l’edera è giustificata perché la natura non ha morale, solo strategia”. LEGGI TUTTO

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    Non solo i ghiacciai, sulle Alpi è a rischio anche il permafrost

    Quarta tappa Carovana dei Ghiacciai, la campagna di Legambiente che da sei anni monitora i ghiacciai alpini in collaborazione con CIPRA Italia e la partnership scientifica della Fondazione Glaciologica Italiana. Per la prima volta la campagna varca la soglia del permafrost alpino, entrando nel suggestivo tunnel del permafrost della Zugspitze, la montagna più alta della Germania. Un passaggio inedito che non solo amplia lo sguardo della campagna oltre i ghiacciai in superficie, ma mette in luce anche le profondità nascoste della montagna, dove i cambiamenti climatici stanno lasciando segni silenziosi ma profondi. A più di 2.800 metri di quota, dietro una porta di metallo e lungo corridoi scavati nella roccia, si conserva un archivio naturale straordinario: il permafrost, il terreno che resta congelato per anni, spesso per secoli. Non è solo ghiaccio: dentro ci sono rocce, sabbia e materia organica. Nelle Alpi agisce come una colla invisibile che tiene insieme i versanti. Ma qui, tra le pareti umide e i sensori disseminati nei cunicoli, si legge un’altra storia: quella di un equilibrio che si spezza. Le temperature in aumento non solo fondono i ghiacciai in superficie, ma degradano anche il cuore dendritico delle Alpi, il permafrost destabilizzando interi versanti e mettendo a rischio valli e comunità com’è accaduto di recente a Blatten in Svizzera. A questa fragilità nascosta si aggiunge un altro fattore: i ghiacciai non sono soltanto scenari di bellezza alpina, ma anche masse che da secoli esercitano una pressione meccanica sulle pareti rocciose. Quando arretrano, quel sostegno viene meno, e le montagne perdono un argine naturale, esponendosi a slittamenti, frane e crolli spettacolari. Lo scorso anno, in Valpelline, Valle d’Aosta, abbiamo potuto osservare gli effetti del collasso di una grande morena glaciale, innescato da intense precipitazioni: milioni di metri cubi di detriti hanno travolto sentieri, sbarrato corsi d’acqua e minacciato l’equilibrio dell’intera valle.

    Lo studio

    Dove c’era il ghiacciaio ora crescono più fiori: il fenomeno del greening in alta quota

    di Fabio Marzano

    15 Luglio 2025

    Tornando alla montagna tedesca, lo scenario che si apre davanti ai nostri occhi dalla terrazza della funivia dello Zugspitze è grandioso nella sua drammaticità: la roccia nuda ha ormai sostituito il ghiaccio e, salvo pochi rimasugli di ghiacciaio, resta soltanto terra spoglia, punteggiata qua e là dagli impianti sciistici. Unica eccezione è il ghiacciaio Höllentalferner che, come il nostro Montasio in Friuli, resiste ancora con sorprendente tenacia. Ma questa resistenza è più simbolica che reale: è l’anticipazione di ciò che accadrà un po’ ovunque nelle Alpi italiane, dove dopo il 2050 i ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri sono destinati a scomparire quasi del tutto. Tuttavia, la Zugspitze è una montagna che, pur svestita dei ghiacci, conserva tutto il suo fascino. Un fascino che, per chi come me nutre passione per la ricerca scientifica, si amplifica ulteriormente, raggiungendo un livello speciale: quello della scienza d’eccellenza. Durante la nostra escursione, grazie al professor Michael Krautblatter, abbiamo avuto l’opportunità di entrare nel tunnel del permafrost e osservare da vicino il grande lavoro di modellizzazione scientifica che esperti all’avanguardia come lui stanno portando avanti sul permafrost e non solo. Il lavoro di Krautblatter è cruciale non solo per anticipare e mitigare i rischi naturali, ma anche per fornire dati e modelli essenziali alla gestione sostenibile delle risorse e alla protezione delle comunità montane.

    Svizzera, l’agonia del ghiacciaio più grande delle Alpi. L’Aletsch perde 40 metri l’anno dal 2000

    20 Agosto 2025

    Sempre durante il viaggio in carovana ci siamo imbattuti in esempi concreti di come la scienza e la prevenzione possano fare la differenza. A Blatten, in Svizzera, abbiamo potuto toccare con mano l’efficacia dei monitoraggi avviati negli anni dal Servizio cantonale dei rischi naturali. Grazie a un’attenta osservazione e a dati precisi, le autorità hanno seguito l’evoluzione dell’area a rischio passo dopo passo e sono riuscite a evacuare il villaggio nove giorni prima del crollo, salvando così vite umane. Questi esempi mostrano come la ricerca possa trasformarsi non solo in prevenzione, ma anche in una speranza concreta per le comunità: la possibilità di anticipare i pericoli, proteggere le persone e costruire un senso di sicurezza in più. Non si tratta di casi isolati: anche in Italia, il prezioso lavoro del CNR/IRPI, delle Arpa e di altri enti di ricerca offre un contributo fondamentale alla riduzione dei rischi naturali. Tuttavia, si tratta ancora di interventi puntuali su scala europea, che non consentono una visione completa e integrata, né una piena traduzione degli studi in azioni concrete sul territorio.

    Come sottolineiamo nel Manifesto per una governance dei ghiacciai e delle risorse connesse, è necessario adottare un approccio sistemico, che unisca conoscenza, monitoraggio e decisioni responsabili, trasformando l’impegno scientifico in azioni concrete e durature. Il mondo della ricerca sta affrontando sfide enormi: dal negazionismo alla scarsa attenzione dei decisori, questi ostacoli rischiano di tradursi in conseguenze gravissime per le comunità e per gli ambienti naturali. Ai decisori chiediamo quindi di ascoltare e comprendere un monito semplice ma potente: come ci ha ricordato il grande esperto Michael Krautblatter, quando perdiamo un ghiacciaio non perdiamo solo ghiaccio, ma molto di più.
    * (l’autrice è Responsabile Alpi di Legambiente e presidente di CIPRA Italia) LEGGI TUTTO

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    L’amore impossibile di Ned, la lumaca mancina

    Talvolta la ricerca del vero amore potrebbe essere un questione lunghissima, ma in certi casi perfino impossibile. Soprattutto se si parla di una rara lumaca mancina. Ned, questo il nome dato a una lumaca scovata nel giardino di Wairarapa in Nuova Zelanda dall’illustratrice Giselle Clarkson, è un gasteropode davvero particolare: lo si potrebbe infatti definire mancino. Non a caso è stato chiamato così in onore di Ned Flanders, famoso personaggio mancino dei Simpson. La sua conchiglia infatti si avvolge a spirale in senso antiorario (a sinistra) a partire dal suo punto più piccolo, una rarità nel mondo delle chiocciole, tant’è che si stima 1 caso su 40mila di lumache con questa caratteristica. Una peculiarità che però rischia di non dare la possibilità a Ned di trovare un partner adatto alla riproduzione: la conformazione del guscio “mancino” è infatti un problema perché la logistica fisica per l’accoppiamento indica che Ned debba trovare un’altra lumaca con la stessa caratteristica per potersi riprodurre. Nonostante lo strano senso della sua spirale Ned potrebbe però avere una chance per riuscire a trovare l’amore: l’intera Nuova Zelanda si sta infatti mobilitando per aiutarla.

    La sorte ha infatti voluto che a ritrovarla nel giardino di casa mentre sollevava pietre e faceva giardinaggio sia stata Giselle Clarkson che lavora per New Zealand Geographic. Proprio la sua passione per gli animali le ha permesso di identificare quella inusuale caratteristica e, con l’aiuto di altri colleghi, Clarkson ha poi deciso di lanciare una campagna online per trovare il “vero amore” di Ned, in sostanza una chiocciola con la stessa spirale con cui potersi riprodurre. Le lumache sono ermafrodite ma per riuscire ad accoppiarsi hanno bisogno di incastrarsi come fossero pezzi di un puzzle: a una mancina serve un’altra mancina. Con una probabilità estremamente bassa di trovare un partner adatto per Ned Clarkson ha deciso così di invitare le persone ad “esplorare i propri giardini o i parchi locali” e a cercare fra i posti umidi e i vasi in mezzo alla vegetazione. “Dovrebbero esserci delle lumache lì, vedi se riesci a trovarne una mancina e poi contatta subito New Zealand Geographic” si legge nell’appello che si conclude con una frase ad effetto, del tipo “non siamo crudeli non neghiamo la possibilità di amare” scrive l’illustratrice ricordando come altrimenti la lumaca sarebbe condannata a vagare per giardini e orti tutta la vita senza mai probabilmente accoppiarsi.

    Attualmente, Ned sta aspettando in una boccia di vetro per pesci, adattata alle sue esigenze, che qualcuno l’aiuti a trovare un partner. Non è la prima volta che avviene questo tipo di operazione: nel 2017 ci fu una campagna anche per aiutare Jeremy, esemplare mancino trovato a Londra. Furono scovati due esemplari con spirale a sinistra idonei, ma inizialmente si accoppiarono fra loro. Solo dopo, fu il turno di Jeremy che generò una prole con guscio a spirale a destra. Dettagli e petizioni, queste sul mondo animale, che potrebbero apparire curiose o irrilevanti ma che secondo Catherine Woulfe del New Zealand Geographic sono molto importanti se viste in un’ottica diversa: abbiamo infatti bisogno di “mettere in contatto le persone con l’ambiente. Questo tema può apparire leggero e divertente, ma speriamo che sia anche un’apertura verso argomenti più profondi come la comprensione del mondo naturale e le strane complessità della riproduzione” ha affermato. Del resto, tra urbanizzazione ed evoluzione della società, con sempre più persone che vivono all’interno di grandi metropoli e abbandonano campagne e montagne, il nostro rapporto con la natura è cambiato. Tanto che le parole della natura sono perfino scomparse dalla letteratura.

    Uno studio appena pubblicato su Earth da Miles Richardson, professore dell’Università di Derby, spiega infatti come negli ultimi 220 anni la natura sia uscita dalla vita delle persone. Per sostenerlo usa dati sull’urbanizzazione, sulla perdita di fauna selvatica nei quartieri e anche sul fatto che i genitori non trasmettono più ai figli il coinvolgimento con la natura. Una trasmissione che manca anche perché la natura sta uscendo dai libri dove termini come fiume, fiore, muschio e altri sono in costante calo. Lo studio alla fine si conclude con una stima: negli ultimi due secoli il legame fra natura ed esseri umani è calato del 60% e Richardson sostiene come solo avvicinare i bambini alla natura potrà contribuire a invertire questo declino. Ecco dunque che, dicono da New Zealand Geographic, la campagna per aiutare Ned andrebbe vista anche in questo senso: uno stimolo a tornare in natura, a immergere le scarpe nel fango e sporcarsi le mani per aiutare sia un gasteropode a trovare l’amore, sia noi stessi a riabbracciare il nostro rapporto con le altre specie. LEGGI TUTTO

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    Junior Water Prize, due studenti tedeschi premiati per l’allarme anti alluvione

    Un sistema di allarme anti alluvione è valso lo Stockholm Junior Water Prize 2025. Ad aggiudicarselo sono stati i due studenti tedeschi Niklas Ruf e Jana Spiller, autori dell’app che tramite sensori permette di monitorare lo stato delle acque dei corsi più piccoli favorendo la prevenzione. Lo Stockholm Water Prize quest’anno andrà al professore austriaco […] LEGGI TUTTO

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    La nuova Pac e i dazi Usa: così l’Europa rischia di restare indietro

    “Facite ammuina”, ovvero “fate confusione”. Così recitava l’articolo 27 dei Regolamenti della Real Marina del Regno delle Due Sicilie del 1841: un ordine per creare disordine, fumo negli occhi più che sostanza. Una formula che torna in mente leggendo le prime indiscrezioni sulla nuova Politica agricola comune (Pac) 2028-2034.

    Era stata promessa una rivoluzione silenziosa e ha finito per deludere e preoccupare tutti, intimoriti dal veder creare un unico contenitore che non finanzierà più soltanto l’agricoltura, ma anche coesione, lavoro, migrazioni e persino difesa. Alla fine, facendo confusione, si scava sempre più il solco delle differenze tra gli Stati membri, ancor di più con un bilancio di programma che perde quasi 90 miliardi di euro rispetto alla precedente programmazione. E gli slanci verso un riarmo generale sembrano riportare l’Europa indietro nel tempo e nella storia.

    Che fine hanno fatto le ambizioni di tutela dell’ambiente, di cambio di paradigma, di neutralità carbonica? Che fine ha fatto l’idea di un sistema di produzione agroalimentare capace di preservare gli ecosistemi da ogni tipo di dissesto, favorendo l’agroecologia e i modelli sostenibili, guardando alla biodiversità come strumento di resilienza? La deriva produttivistica, finalizzata a un sistema globale sostenuto dalla massimizzazione dei profitti sulle spalle di agricoltori responsabili e di cittadini ancora troppo spesso ignari, torna a farsi dominante, affievolendo quel processo che con la Farm to Fork aveva preso consistenza e che, con pochi colpi di spugna, è quasi scomparso.

    Il tema chiave di cui oggi si discute di più sono i dazi, che hanno spento l’attenzione sulla crisi climatica. Mentre, da un lato, le innovazioni tecnologiche hanno abbattuto in tempi rapidissimi le barriere culturali, linguistiche e sociali tra i popoli del pianeta, da un altro lato il balzello dei dazi ha messo l’Europa di fronte a una politica tanto anacronistica quanto ridicola. Per i prossimi anni, almeno tre, i dazi rappresenteranno un’arma di ricatto, variabile quanto gli umori di chi li brandisce, e sarà complesso venirne a capo. Oggi si mettono, domani si levano, oggi alti, domani bassi, gestendoli con la stessa facilità con cui abbiamo visto ritirare le firme dagli accordi internazionali sul clima, impegni di lungo periodo che sono l’unica vera scommessa per il nostro futuro.

    E se li guardassimo al contrario? Se i dazi li pagasse chi inquina e non mitiga, chi non si impegna a compensare? Alziamo il tono, facciamo sentire la voce di chi è consapevole che un sistema produttivo estrattivistico e noncurante degli effetti sugli ecosistemi non è più accettabile. Chi continua ad applicarlo paghi un dazio che finirà per abbassare i profitti reali e forse determinerà l’esigenza di ripensare il paradigma.

    L’Europa, con la nuova Pac, rischia di prendere la strada della debolezza, invece di rafforzare il settore primario e dare un futuro agli ecosistemi, in barba ai dazi.

    Oggi, sembra voler scegliere una strada con ambizioni agroambientali al lumicino, pur in presenza di modelli di gestione sostenibile delle aziende che si basa, in una visione olistica, sull’integrazione di pratiche ambientali, sociali ed economiche (i pilastri ESG) per creare valore nel lungo periodo senza compromettere le risorse e gli equilibri futuri.

    Ci vuole coerenza, ci vuole coraggio, ci vuole capacità di discernere ciò che garantisce il futuro delle comunità che vivono questo pianeta dal tentativo continuo di indirizzare le politiche a beneficio di pochi. Ci vuole rispetto sociale, rispetto per le culture dei popoli e dei territori. Lasciare che qualunque comunità, ancorché piccola, resti indietro per le ferite inferte dall’inequità sarà un peso e una perdita di immenso valore per le future generazioni. Come far conciliare questa prospettiva in un regime globale complesso appare un rebus, ma fare ‘ammuina’ serve oggi probabilmente solo a confondere i cittadini, a porgere una mano da un lato ritirando l’intero braccio dall’altro, spegnendo ogni entusiasmo in chi quotidianamente resiste con impegno.

    (Francesco Sottile è Vicepresidente di Slow Food Italia) LEGGI TUTTO

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    La lotta all’inquinamento da plastica parte dall’ufficio

    Ci sono pause che fanno bene alle persone. E all’ambiente. È con questa visione che Flaskk, startup innovativa nel campo della sostenibilità e del welfare aziendale, debutta con il suo sistema integrato per l’idratazione funzionale e personalizzata. Nato per rivoluzionare il modo in cui le aziende si prendono cura dei propri dipendenti, il progetto Flaskk si compone di dispenser intelligenti connessi alla rete idrica, in grado di erogare acqua microfiltrata e personalizzabile con mix aromatici naturali e ingredienti funzionali studiati con esperti nutrizionisti. “Flaskk non è solo un erogatore di acque funzionali: è un nuovo modo di vivere il benessere in azienda”, ci racconta Filiberto Sola, founder e Ceo di Flaskk. “Siamo partiti da una domanda semplice: perché l’acqua, il bene più essenziale, è ancora così poco valorizzata nei luoghi di lavoro? La nostra risposta è un sistema smart, personalizzabile e sostenibile, che rende più semplice e naturale prendersi cura di sé e dell’ambiente anche in ufficio”.

    “Un piccolo gesto, per un grande impatto”
    Diversi studi dimostrano che anche una leggera disidratazione può ridurre la concentrazione, aumentare il senso di affaticamento e causare mal di testa, con un impatto diretto sulle performance cognitive e sul benessere al lavoro. Eppure, secondo alcune ricerche, ben il 60% dei lavoratori non riesce ad idratarsi in modo adeguato durante la giornata in ufficio. In parallelo, cresce anche l’attenzione verso la qualità dell’idratazione e le sue implicazioni sulla salute: secondo il Global Wellness Institute, le persone cercano sempre più esperienze personalizzate e con un’attenzione alla sostenibilità.

    Anche le aziende stanno ridefinendo le proprie priorità. La qualità dell’ambiente lavorativo, dall’attenzione al benessere dei dipendenti fino alla riduzione dell’impatto ambientale, è oggi un asset strategico per attrarre talenti, ridurre il turnover e migliorare la produttività. Tra le aree più trascurate ma ad alto potenziale c’è proprio l’idratazione, basti pensare che ogni giorno, solo in Italia, negli uffici si consumano oltre 3 milioni di bottiglie di plastica monouso (fonte Greenpeace Italia).

    Come funziona il sistema IOT
    Il progetto si basa su una tecnologia proprietaria brevettata e si articola su tre elementi interconnessi. Il primo è Flaskk One, un distributore intelligente collegato alla rete idrica, che eroga acqua microfiltrata personalizzabile nel livello di temperatura, frizzantezza e gusto, grazie all’aggiunta di mix aromatici naturali e di ingredienti funzionali, pensati per sostenere energia, concentrazione, digestione e altri bisogni legati alla routine quotidiana. Grazie alla combinazione di reminder soft, gusti piacevoli e tracciamento personalizzato, Flaskk aiuta concretamente le persone a bere di più durante la giornata: un’azione semplice ma spesso trascurata, che può contribuire a ridurre sintomi comuni della disidratazione come stanchezza, mal di testa e difficoltà di concentrazione, soprattutto nelle ore pomeridiane. Il sistema è cloud-based, touchless e connesso tramite SIM LTE proprietaria.

    Il secondo elemento è composto dall’ app personale. Una volta scaricata, ogni utente ha accesso a un’area dedicata dove può monitorare i propri consumi, configurare le preferenze di gusto e accedere a contenuti sul benessere. La piattaforma include funzionalità di tracciamento ambientale e meccanismi di gamification, pensati per stimolare comportamenti virtuosi. Il terzo elemento è la bottiglia smart Flaskk. In pratica ogni bottiglia è associata all’utente tramite tecnologia NFC o QR code, ed è riutilizzabile e personalizzabile. In alternativa, qualsiasi borraccia può diventare una Flaskk tramite l’inserimento di una chiave digitale. Una soluzione concreta per eliminare le bottiglie usa e getta, ridurre i consumi e monitorare in modo trasparente i dati ambientali legati agli obiettivi ESG.

    “Ogni goccia conta”
    Flaskk è interamente progettata e assemblata in Italia, con sede di produzione a Pinerolo (TO) e una rete di fornitori tra Piemonte e Lombardia. Guidata da Filiberto Sola, giovane imprenditore della Gen Z, la startup si basa su una tecnologia proprietaria brevettata e su un processo produttivo interno che assicura qualità, controllo e rapidità nell’implementazione. I mix funzionali sono sviluppati in collaborazione con esperti nutrizionisti, per offrire un supporto nutrizionale mirato nella quotidianità lavorativa. I mix aromatici naturali, invece, sono realizzati con aziende aromatiche internazionali, per un’esperienza di gusto distintiva e naturale. La startup piemontese ha già ottenuto riconoscimenti internazionali, tra cui il grant europeo EIT Food, il Design Europa Awards e l’accesso ad un programma di accelerazione presso Techstars. LEGGI TUTTO

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    Il colore delle automobili influenza le temperature della città

    Bianca, rossa, nera o grigia. Oltre all’estetica e al gusto personale, il colore dell’automobile andrebbe scelto anche in base all’impatto che potrebbe avere sulla città. A dirlo è un nuovo studio dei ricercatori dell’Università di Lisbona, secondo cui il colore delle automobili può influire notevolmente sulla temperatura dell’aria circostante, un effetto che in una città […] LEGGI TUTTO

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    Jonas Griessler e i colori che rendono l’asfalto meno bollente

    Un cortile colorato per contrastare il riscaldamento globale. E le alte temperature dell’asfalto. Grazie alla vernice multicolore che l’artista austriaco Jonas Griessler – assieme al collettivo Holla Hoop – ha utilizzato negli spazi esterni della collezione privata Heidi Horten, nel centro di Vienna, il caldo torrido di agosto risulta meno opprimente: la temperatura del suolo (misurata con termometro a infrarossi) è scesa da 31° a 20°C. LEGGI TUTTO