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    Pesticidi tossici rinvenuti nella pioggia: lo studio in Giappone

    Pesticidi vietati in Europa, ma trovati nell’acqua piovana, quindi nell’ambiente. La scoperta in uno studio condotto in Giappone, che fa tornare attuale il dibattito sui neonicotinoidi, una classe di insetticidi sintetici, nata tra gli anni ’80 e ’90 che in pochi anni sono diventati tra i pesticidi più utilizzati a livello mondiale. Ma l’Ue ha deciso di vietarli a partire dal 2018, nonostante le pressioni esterne ed i ricorsi ai tribunali. La diffusione massiccia dei neonicotinoidi è legata all’utilizzo nella protezione delle colture agricole, e nel controllo dei parassiti negli animali domestici. Le sostanze chimiche contenuti in questi pesticidi sono neurotossiche ed agiscono sul sistema nervoso degli insetti, causando paralisi e infine la morte.

    Salute e ambiente

    Pfas nel vino 100 volte superiori rispetto all’acqua potabile

    di Paola Arosio

    30 Maggio 2025

    Una delle caratteristiche che ne ha determinato il successo globale è che sono sistemici, cioè una volta applicati vengono assorbiti dalla pianta e si diffondono in tutti i suoi tessuti: foglie, fusto, radici e anche nel polline e nettare. Questo li rende efficaci contro gli insetti che si nutrono della pianta, ma rappresenta anche un grosso problema per gli organismi non bersaglio.

    Infatti, nonostante la loro indubbia efficacia, i neonicotinoidi sono stati oggetto di forti critiche (e divieti) proprio a causa dell’impatto ambientale, in particolare nei confronti di api, bombi e altri insetti impollinatori. Anche a dosi non letali, i neonicotinoidi possono causare gravi problemi al sistema nervoso degli impollinatori, disorientandoli, compromettendo la loro capacità di ritrovare l’alveare. Alcuni studi hanno persino suggerito che le api possano sviluppare una sorta di “dipendenza” da queste sostanze.

    Biodiversità

    Riscaldamento globale e agricoltura intensiva: un cocktail letale per le api

    di Simone Valesini

    20 Maggio 2025

    Altro fattore negativo è la contaminazione ambientale. Usati sulle piante, possono raggiungere facilmente ed intossicare le acque sotterranee, i pozze, i fiumi, mettendo a rischio anche gli organismi acquatici, con ricadute sulla catena alimentare; ci sono rischi anche per diverse specie di fauna selvatica, come le farfalle ed i coleotteri, con possibili ripercussioni per gli uccelli. L’Unione Europea, in tempi recenti, ha riconosciuto i gravi rischi associati ai neonicotinoidi e ha adottato misure restrittive imponendo un divieto quasi totale sull’uso di alcuni neonicotinoidi per tutti gli impieghi esterni su colture. Vietata anche l’esportazione, che avveniva in special modo verso i paesi più poveri, così come l’importazione di alimenti per le api, contaminati da neonicotinoidi. Ed a buona ragione, visto che quello che è stato scoperto da uno studio in Giappone, il primo al mondo, che ha svelato la sua presenza nell’acqua piovana.

    Infatti dal 1993, gli insetticidi neonicotinoidi sono ampiamente utilizzati anche in Giappone, principalmente per la coltivazione del riso e la protezione delle pinete. Fino ad oggi, però, si ipotizzava che la diffusione dell’insetticida nell’ambiente avvenisse principalmente attraverso il deflusso idrico dai terreni agricoli, essendo le sostanze che lo compongono poco volatili, cioè poco inclini all’evaporazione e per questo non si potessero trovare nell’aria o nella pioggia.

    Ambiente e Salute

    Nelle case europee quasi 200 pesticidi “invisibili”: “Mix potenzialmente tossico”

    di Pasquale Raicaldo,

    18 Aprile 2025

    Al contrario, la ricerca condotta dal professor Masumi Yamamuro dell’Università di Tokyo ha dimostrato, che si trovano anche nella acqua, che scende dalle nuvole; lo studio nipponico quindi, ha rivelato che le precipitazioni potrebbero diventare un potenziale mezzo di inquinamento ambientale del tutto incontrollato. Per lo studio, sono stati raccolti campioni di acqua provenienti da due città del Giappone, Tsukuba e Kashiwa, analizzati in diversi mesi del 2023 e 2024.

    I risultati non hanno lasciato dubbi. Il 91% dei campioni conteneva neonicotinoidi, con la concentrazione totale più alta di 1,72 ng/L rilevata ad agosto 2024. Tra le sostanze contenute l’acetamiprid si è classificato al primo posto con una frequenza di rilevamento dell’82%, seguito da thiacloprid, 73% e dinotefuran 45%, alcune delle quali sono le sostante vietate in Ue dal 2018.

    E di fatto la ricerca giapponese è il primo rapporto scientifico che dimostra la presenza di neonicotinoidi nelle precipitazioni, mentre uno studio precedente, sempre giapponese, ma datato 2019 aveva evidenziato che questa classe di pesticidi avrebbe avuto un contribuito impattante nella morte di massa di diverse specie di pesci, crostacei e plancton in un lago situato nella regione meridionale del Paese.

    Ora la questione degli effetti dei neonicotinoidi potenzialmente riguarda anche la salute umana, per questo ci sono ancora ricerche in corso, non potendo escludere rischi per l’uomo, soprattutto a seguito di esposizioni prolungate o in determinate condizioni, come la gravidanza. Infatti a preoccupare l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, è il potenziale effetto neurotossico che potrebbe avere nella fase di sviluppo dell’embrione, il feto e il bambino. Ragioni sufficienti per l’EFSA che ha suggerito di abbassare alcuni livelli guida per l’esposizione e ha richiesto che gli studi sulla neurotossicità in fase di sviluppo diventino parte integrante delle richieste di autorizzazione per la commercializzazione di questi prodotti.

    Questa ricerca dunque, per la prima volta al mondo dimostra in modo chiaro che i neonicotinoidi, possono viaggiare nell’aria e cadere a terra con la pioggia, che potenzialmente può raggiungere anche luoghi molto lontani dai campi dove vengono usati. LEGGI TUTTO

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    Clima, le foreste della Nuova Zelanda assorbono il 60% in più di CO2

    Le foreste della Nuova Zelanda stanno assorbendo una quantità più anidride carbonica superiore di quanto inizialmente stimato. Addirittura la capacità di assorbimento del carbonio delle foreste native potrebbe essere al 60% maggiore di quanto calcolato fino adesso dagli scienziati. A rivelare il ruolo cruciale di queste foreste è uno studio pubblicato sulla rivista Atmospheric Chemistry […] LEGGI TUTTO

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    Le startup di ZERO, l’acceleratore cleantech di Cdp Venture

    Il cleantech si conferma uno dei settori più promettenti dell’innovazione in Italia. Nel 2024, pur in un contesto di investimenti pressoché stabili, il comparto ha registrato un numero record di 72 operazioni di venture capital per oltre 177 milioni di euro raccolti. A livello early-stage, l’ecosistema mostra grande fermento, ma per competere su scala europea è fondamentale accelerare l’adozione industriale delle tecnologie sviluppate dalle startup. In questo scenario, modelli come Zero, l’acceleratore Cleantech della Rete Nazionale Acceleratori di CDP Venture Capital – con Eni attraverso Joule, la sua scuola per l’impresa – capaci di coordinare capitali, industria e ricerca, rappresentano una leva strategica per rafforzare la competitività sostenibile del nostro sistema produttivo. Nel corso della quarta edizione del Demo Day, l’evento di presentazione delle startup accelerate, ZERO ha rafforzato il proprio approccio ‘industry-driven’, selezionando startup capaci di rispondere alle sfide industriali attuali. Su oltre 260 candidature ricevute, 12 startup sono state ammesse al programma. Tra queste, 5 startup hanno concluso il percorso di accelerazione con risultati importanti: 4 hanno ottenuto un investimento pre-seed; 3 hanno realizzato un proof of concept (PoC) con i partner dell’acceleratore mentre una startup ha portato a termine una sperimentazione industriale con una PMI del network di SACE, nell’ottica di abilitare l’innovazione Cleantech di filiera.

    “L’Acceleratore Zero è diventato un punto di riferimento per l’innovazione in Italia, in particolare per le soluzioni a supporto della transizione energetica” – racconta Stefano Molino a Green&Blue – Senior Partner e Responsabile del Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital. “Nelle quattro edizioni del programma, anche grazie alle sinergie sviluppate con i partner di Zero, abbiamo contributo alla nascita di nuove imprese con grandi prospettive di crescita. In questa quarta edizione ci siamo concentrati sulle applicazioni industriali di queste tecnologie e siamo convinti che le cinque startup accelerate porteranno benefici diffusi a tutto il settore”.

    I settori
    I settori delle soluzioni presentate spaziano dall’economia circolare, alla sostenibilità delle operations a livello industriale fino alle nuove fonti di energia e alle soluzioni tecnologiche in ottica smart city. Il programma ha incluso anche fasi strutturate di definizione di use case e studi di fattibilità, favorendo un processo di integrazione graduale delle tecnologie nelle operations aziendali. “Con il programma Zero ormai da diversi anni mettiamo al centro non solo la ricerca di soluzioni tecnologiche legate alle nuove energie – in ambito smart city e mobilità sostenibile – ma anche l’integrazione nella nostra filiera: questo ci consente di valorizzare i talenti imprenditoriali e generare impatto economico, sociale e ambientale. È il caso di Koalisation, la startup climate tech che sviluppa progetti di compensazione carbonica su larga scala e che ha testato una soluzione nel Programma Clean Cooking di Eni volto a migliorare l’efficienza dei fornelli in Africa. Un percorso di collaborazione con Eni che sta proseguendo con successo, accrescendo l’ambito di azione”, ha raccontato Antonietta De Sanctis, Head of Accelerator Program of Joule, la Scuola di Eni per l’impresa.

    Zero promuove la crescita sostenibile delle startup, attraverso strumenti avanzati di valutazione dell’impatto. Grazie al supporto di Elis, Eni Joule e di Open Impact, sono stati mappati oltre 187 indicatori di performance ambientale raggiunti dalle startup ed è stato calcolato lo SROI (Social Return on Investment), ovvero il ritorno sociale prodotto rispetto al capitale investito. Per le 5 startup accelerate, il valore medio dello SROI è risultato pari a 2,61: un impatto sociale di circa tre volte rispetto all’investimento iniziale.

    “ZERO, punto di riferimento per l’innovazione Cleantech in Italia”
    L’acceleratore ZERO si conferma una piattaforma d’innovazione cruciale in Italia, capace di attivare collaborazioni concrete tra startup, investitori e grandi aziende. Al fianco di CDP Venture Capital ed Eni, partecipano all’iniziativa Zest ed Elis in qualità di co-investitori e gestori del programma di accelerazione, leader della ricerca come il CNR ed ESA, oltre a importanti partner industriali come Acea, Microsoft, SACE, Saipem e Vodafone. Una rete che mette a sistema capitali pre-seed, metodologie per lo sviluppo d’impresa, anche in chiave di sostenibilità, know-how tecnico-scientifico e asset industriali per sostenere la crescita delle startup Cleantech e guidare l’innovazione lungo le filiere produttive italiane.

    “Crediamo che il modello di partenariato attivato da Zero rappresenti l’evoluzione naturale dell’accelerazione: non più un semplice programma, ma una piattaforma di sviluppo che opera lungo tutta la catena del valore industriale. Unendo venture capital, corporate e mondo della ricerca, abilitiamo una transizione cleantech concreta, strutturata e scalabile. Questo approccio di filiera può rappresentare il modello di acceleratore del futuro”, ha aggiunto Antonella Zullo, Ceo di Zest Innovation. “Con Zero abbiamo contribuito a costruire un nuovo modello di accelerazione che unisce ricerca, corporate e venture capital per sviluppare soluzioni Cleantech ad alto impatto, pronte per il mercato. Oltre alla validazione tecnica e di business, abbiamo portato strumenti di misurazione dello SROI, aiutando le startup a valorizzare il proprio impatto sociale, ambientale ed economico. Crediamo che il futuro dell’innovazione passi da piattaforme che attivano le filiere e le eccellenze italiane – università, centri di ricerca, territori – per una transizione davvero sistemica e scalabile”, ha affermato Luciano De Propris, Director Open Innovation di ELIS Innovation Hub.

    Le startup CleanTech
    Dall’economia circolare, alla sostenibilità delle operations a livello industriale fino alle nuove fonti di energia e alle soluzioni tecnologiche in ottica smart city. Ecco le cinque giovani imprese che hanno completato il programma di accelerazione, dimostrando il potenziale industriale delle loro soluzioni innovative per la transizione ecologica del Paese. Le startup presentate al Demo Day 2025 di Zero sono:

    Bufaga: startup che sviluppa dispositivi IoT per la rimozione di inquinanti dall’aria e raccolgono dati ESG, offrendo alle aziende soluzioni di sostenibilità misurabili e nuove opportunità di business tramite modelli pubblicitari su veicoli e infrastrutture. Co-founder e CEO Serena Mignucci.

    Climate Charted: startup che aiuta banche e assicurazioni a ridurre il rischio climatico collegando clienti con soluzioni di mitigazione per alluvioni e terremoti, abbassando premi assicurativi e migliorando le condizioni di prestito. Co-founder, Lorenzo e Giovanni Campana.

    EXE Engineering: startup che automatizza la raccolta di biogas dalle discariche, aumentando l’efficienza fino al 70% e riducendo le emissioni di metano, ottimizzando così la produzione di energia rinnovabile e la sicurezza operativa. CFO & Managing Director Davide Cecchini.

    Heiwit: startup che produce batterie al sodio come alternativa sostenibile al litio, riducendo i costi e la dipendenza da materiali critici, con applicazioni in energia rinnovabile, mobilità elettrica e settori industriali. CEO & Founder Alessandro Gallani.

    Overlab: startup che ha sviluppato Greenverse, una piattaforma IoT che misura in tempo reale l’impronta ambientale dei processi industriali, aiutando le aziende a ridurre costi, emissioni di CO? e rischi di greenwashing. CEO & Founder Giovanni Fracasso. LEGGI TUTTO

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    Campanula: varietà, fiore, coltivazione e cura

    In bilico tra la grazia delle sue corolle e la forza della sua adattabilità, la campanula è una delle piante più versatili e amate dai giardinieri, professionisti e dilettanti. Fiorisce generosa in ambienti diversi, dalle altitudini alpine ai balconi cittadini, e si adatta con sorprendente facilità a terreni e climi differenti. La sua forma a campana e i suoi colori che virano dal blu intenso al viola la rendono un punto fermo nei giardini ornamentali, nei vasi da balcone e persino nelle aiuole urbane.
    Varietà di campanula: una per ogni angolo verde
    La famiglia delle Campanulaceae è vasta e affascinante, con varietà che si distinguono per forme, colori e abitudini di crescita. Ecco alcune delle più comuni e ornamentali:

    Campanula portenschlagianaConosciuta anche come “campanula delle mura”, è perfetta per crescere tra le fessure dei muri o nei giardini rocciosi. Resistente e infaticabile, forma cuscini fioriti che si espandono con tenacia;
    Campanula poscharskyanaUna varietà tappezzante con fiori a stella che si presta alla copertura del suolo o alla decorazione di bordure e sentieri. Un vero tappeto fiorito dal tocco fiabesco;
    Campanula glomerataProduce fiori raccolti in infiorescenze dense e vistose, in tonalità dal viola al blu. Ideale per chi cerca un effetto scenografico;
    Campanula carpaticaOriginaria dei Carpazi, si distingue per la delicatezza dei suoi fiori viola o bianchi. Si adatta bene alla coltivazione in vaso;
    Campanula latifoliaLa più grande tra le sorelle: i suoi fiori ampi e la sua altezza la rendono adatta alla creazione di piccole siepi o fondali per aiuole miste.

    Come coltivare la campanula in casa: bellezza accessibile
    Non serve avere un giardino per godere dello spettacolo delle campanule. Queste piante si prestano benissimo alla coltivazione in vaso. Basta qualche accortezza e il gioco è fatto. Intanto, scegliere vasi di terracotta o ceramica si rivelerà utilissimo (ricordarsi di tenere un diametro di circa 20 cm), ma non solo. Dopo avere scelto il vaso in questione, sarà importante aggiungere argilla espansa sul fondo per favorire il drenaggio. Infine, ma non per importanza, fare sempre un piccolo check sui fori di scolo: le radici temono il ristagno d’acqua. Non è una novità, ma è bene ricordarselo.
    Dove posizionare le campanule in casa
    Amano la luce, ma non quella cocente del mezzogiorno. L’ideale è una finestra schermata da una tenda leggera o una stanza ben illuminata, ma lontana da fonti di calore. In inverno, resistono bene al freddo, ma le gelate notturne possono danneggiarle: meglio tenerle al riparo, magari con un leggero strato protettivo di foglie secche.
    Come coltivare la campanula in giardino
    Le campanule non sono piante capricciose. Crescono bene in terreni leggeri, umidi, ricchi di nutrienti e anche leggermente calcarei. Da evitare, invece, i suoli argillosi e compatti. Ecco alcuni consigli pratici per la coltivazione in giardino:

    Piantare da metà aprile, dopo il rischio di gelate;
    Mantenere 30 cm di distanza tra una pianta e l’altra;
    Preferire zone semi-ombreggiate, magari sotto alberi o tra altre perenni.

    Fioritura: quando sbocciano le campanule
    Uno dei motivi per cui questo fiore è tanto amato è la sua lunga fioritura. Da aprile fino ad agosto, le campanule colorano con eleganza ogni angolo verde. Il periodo di semina migliore va da marzo a maggio, ma nelle zone a clima temperato anche l’autunno, tra ottobre e novembre, può essere indicato.
    Cura della campanula: irrigazione e concimazione
    Il segreto è mantenere il terreno costantemente umido, senza esagerare. L’acqua va versata direttamente alla base, evitando fiori e steli, fragili e sensibili a pioggia e annaffiature aggressive.
    Per quanto riguarda la concimazione, invece, vi basta sapere che la campanula si accontenta davvero di poco. Tuttavia, se lo scopo è avere una fioritura prolungata e piena, sarebbe utile nutrirla ogni 2-3 settimane con concimi specifici per piante fiorite, meglio se naturali, come quelli contenenti guano. Il risultato? Fiori fino a settembre, con colori che si intensificano con l’arrivo del fresco.
    La campanula deve essere potata? I consigli
    Per avere sempre una pianta bella rigogliosa e in salute, sarebbe meglio prendersi l’abitudine di potare la campanula. In realtà i passaggi da fare sono pochi, ma restano efficaci. Intanto, come prima cosa sarebbe meglio rimuovere tutti i fiori appassiti con regolarità. Questo step è essenziale per la stimolazione di nuove fioriture. Inoltre, a fine stagione si consiglia di tagliare la pianta appena sopra il terreno e, se dopo qualche anno la fioritura tende a diminuire, il consiglio è preciso: dividere la zolla a settembre e ripiantare le parti in un terreno nuovo. Infine, in vista dell’inverno, si consiglia di proteggere la base della campanula con foglie secche. Una prevenzione molto semplice che però lascia il segno. LEGGI TUTTO

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    Rifiuti domestici, sconto sulla Tari per chi fa compostaggio

    Scadenza in vista per chi vuol risparmiare sulla Tari impegnandosi al compostaggio domestico. Utilizzare il concime prodotto con gli scarti alimentari per fertilizzare le proprie piante consente infatti di ottenere uno sconto sulla Tariffa per lo smaltimento dei rifiuti e in diversi capoluoghi di provincia è fissato al 30 giugno il termine ultimo per presentare […] LEGGI TUTTO

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    Perché vediamo sempre più “pesci della fine del mondo” risalire in superficie?

    Dalle profondità degli abissi, dicono le leggende, il grande pesce del giorno del giudizio universale arriva sino a noi in superficie per portarci un segnale. Dicono sia il messaggero del Dio del mare. Potrebbe essere l’annuncio di un terremoto, uno tsunami o una catastrofe, narrano tutte quelle storie di folklore intorno al pesce remo, che però tali rimangono, leggende senza prove scientifiche. Ma quando l’inusuale si trasforma in usuale – come sta accadendo quest’anno – inevitabilmente anche le leggende finiscono per fare un po’ paura. Negli ultimi tempi infatti il pesce della fine del mondo, il pesce remo, o “oarfish” se preferite, è stato avvistato sempre di più nelle acque di tutto il mondo: dalla California al Messico dove un esemplare di 4 metri è stato ripreso con lo smartphone sino all’India o a varie coste dell’Oceania. In quest’ultima settimana proprio tra le coste di Australia, Tasmania e Nuova Zelanda, gli avvistamenti di questo animale che solitamente vive tra i 200 e i 1000 metri di profondità si stanno ripetendo in maniera sorprendente.

    Prima uno, poi due, tre e quattro in poco più di sette giorni fra le spiagge dell’Oceania: un numero elevato di avvistamenti se si pensa che nella sola Australia finora in tutta la storia delle segnalazioni di pesce remo ci sono stati appena 70 casi. In questi ultimi episodi alcuni dei pesci remo recuperati erano morti e senza testa, come quelli vicino a Christchurch in Nuova Zelanda. La particolarità di questa affascinante specie sta nella sua lunghezza: alcuni esemplari superano perfino gli otto metri e i 200 chilogrammi e, anche se non ci sono prove documentate, in alcuni casi potrebbero arrivare anche a 11 metri. Studiare questi animali, i pesci ossei più lunghi al mondo, è però estremamente complesso perché sono rarissimi da incontrare, soprattutto ancora in vita. Eppure, tra oarfish spiaggiati, recuperati dai pescatori e altri ripresi dal vivo mentre nuotavano, nell’ultimo anno c’è stato un vero e proprio boom di avvistamenti. Lungo le coste della California, dove dal 1901 ad oggi erano stati registrati solo 20 avvistamenti, da agosto 2024 fino ad ora ci sono stati almeno tre casi comprovati fra gli Usa e il Messico. Poi all’improvviso un pesce remo è stato ritrovato anche in India, nella zona del Tamil Nadu, recuperato dai pescatori: ci sono volute più persone per poterlo alzare e mostrarlo in immagini diventate subito virali.

    La viralità, soprattutto in Asia, è anche collegata alle credenze. Nel folklore giapponese, ma anche filippino, si pensa che il pesce remo sia presagio di catastrofi come terremoti oppure tsunami, una credenza che è andata rafforzandosi dopo alcune di quelle che per molti scienziati sono solo coincidenze ed episodi difficili da comprovare scientificamente, ma che per il popolo nipponico sono qualcosa di più. Nel 2011 c’è stata infatti una serie di strani ritrovamenti di pesce remo in Giappone che hanno anticipato, per tempistiche, il grande terremoto e lo tsunami che ha sconvolto il paese del Sol Levante. Stessa cosa per le Filippine nel 2017 prima del grande sisma di magnitudo 6.6. La scienza però è chiara: non ci sono prove evidenti di alcun collegamento tra gli avvistamenti di pesci remo e un imminente disastro naturale. Per esempio alcuni pesci furono avvistati in California nel 2013 ma poi non seguì nessun sisma o evento naturale particolare. Al massimo, come sostiene Neville Barrett dell’Istituto di Studi Marini dell’Università della Tasmania “un grande terremoto potrebbe portare alcuni pesci a risalire in superficie, ma questo dovrebbe accadere praticamente nello stesso istante della catastrofe, non prima”. Allo stesso tempo, ha ricordato Nick Ling, ecologo ittico dell’Università di Waikato, si hanno ancora pochissime informazioni su questi pesci che vivono “a profondità considerevoli e per questo sono difficilissimi da studiare. Sappiamo per esempio che restano sospesi verticalmente nell’acqua probabilmente in attesa di prede”. Così come è noto che i pesci remo siano in grado di praticare l’autotomia, l’auto amputazione della coda forse per avere un risparmio delle energie nei movimenti. Meno chiaro è invece il perché di questi recenti incontri e ritrovamenti, fattori che gli scienziati intendono tentare di studiare senza escludere per esempio la possibilità con altri collegamenti: con la crisi del clima che rende le acque più calde, con la presenza di inquinanti (come le microplastiche) trovate persino nella Fossa delle Marianne o con tutte quelle criticità, dall’acidificazione alle azioni dell’uomo sul mare, che potrebbero favorire la loro risalita in superficie. LEGGI TUTTO

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    Fiere sostenibili: quando l’alluminio riciclato incontra l’economia circolare

    Ogni anno, migliaia di stand fieristici vengono costruiti e smantellati in tutto il mondo. Una pratica che, secondo le stime, porta quasi il 90% dei materiali convenzionali direttamente in discarica dopo un singolo evento. Un paradosso dell’economia moderna che l’azienda tedesca Octanorm, con una forte presenza in Italia, ha deciso di sfidare attraverso un approccio radicalmente diverso.

    “La sostenibilità è per noi non solo una responsabilità aziendale, ma un vero e proprio approccio mentale che pratichiamo in ogni aspetto del nostro business”, spiega Antonio Jurkovic, Managing Director e Marketing Director di Octanorm Italia. Una filosofia che si traduce in scelte concrete, a partire dai materiali utilizzati.

    L’alluminio che non si consuma mai
    Il segreto di Octanorm sta nell’alluminio secondario, ovvero riciclato, che costituisce la base di tutte le sue estrusioni. Un materiale dalle caratteristiche uniche: può essere riutilizzato all’infinito senza perdere qualità e richiede appena il 5% dell’energia necessaria per produrre alluminio primario. Il risultato? Una drastica riduzione delle materie prime, dei rifiuti e delle emissioni di CO2.”Tutto l’alluminio che utilizziamo è alluminio riciclato”, racconta Jurkovic. Non solo: anche il sistema di pavimento Octaeco è interamente realizzato con polipropilene riciclato, completando il quadro di un’azienda che ha fatto della circolarità il proprio DNA.
    Modularità contro spreco
    La vera rivoluzione di Octanorm è però concettuale. Dal 1969, quando introdusse il primo sistema a serratura a tensione, l’azienda ha puntato sulla modularità. I suoi profili sono progettati per durare decenni e per essere riconfigurati infinite volte, trasformando l’allestimento da prodotto usa-e-getta a investimento a lungo termine. “I nostri profili, in termini di sostenibilità, vengono utilizzati per mediamente 25-30 anni prima di essere smaltiti – precisa Jurkovic -. Octanorm ha puntato sulla modularità e su un sistema basato su una gola particolare nella quale si innescano un po’ tutti i nostri profili. Quindi chi acquista un profilo da noi, ho acquistato un profilo 40 anni fa, è ancora in grado di utilizzarlo e integrarlo anche con le strutture nuove. Diciamo che non si butta via niente.”
    La rete globale che riduce l’impronta carbonica
    Oltre ai materiali e alla progettazione, Octanorm ha ripensato anche la logistica. La rete Ospi conta circa 120 partner in oltre 40 paesi e opera secondo il principio “Designed here. Built there”. In pratica, invece di spedire i materiali dall’altra parte del mondo, si inviano solo i progetti. “Abbiamo un network che si chiama Ospi che consente di produrre dove serve: se si deve fare un allestimento in America, non si manda il materiale in America, ma si manda solo il progetto perché lì c’è un licenziatario Octanorm esattamente come noi, che ha gli stessi nostri prodotti e che quindi lo può realizzare lì, con un impatto sull’ambiente decisamente minore”.
    L’azienda ha così ottenuto una riduzione delle emissioni di CO2 fino al 65% e una diminuzione dello spazio di trasporto a un quinto rispetto agli allestimenti tradizionali, grazie anche alla leggerezza dell’alluminio e alla possibilità di smontare e impilare i profili. LEGGI TUTTO

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    “La crisi climatica è già nei nostri campi”. L’agricoltura europea tra rischi e opportunità

    “La crisi climatica non è un concetto astratto. È già nelle nostre case, nelle nostre città, si può toccare nei nostri campi”. A dirlo sono gli agricoltori che hanno partecipato a “Back to Growth”, l’evento che Bayer ha organizzato a Bruxelles il 10 e l’11 giugno. Sono passati ormai due anni dall’inizio della “rivolta dei trattori”, che ha visto gli agricoltori protestare contro le politiche europee, ma le criticità che coinvolgono il settore, come emerge dalla due giorni, sono lontane dall’esser risolte.

    Le sfide
    Al centro del dibattito, l’industria europea delle scienze della vita. Nonostante sia stato un motore di innovazione, il settore sta infatti perdendo terreno rispetto a competitor come Stati Uniti e Cina. Le sfide sono molte: rafforzare l’economia senza compromettere la sostenibilità, colmare il divario di produttività e innovazione mantenendo gli obiettivi climatici, stimolare le industrie della salute e dell’agricoltura garantendo al contempo prezzi accessibili per i consumatori. Per quanto riguarda l’agricoltura, soddisfare l’aumento di domanda di prodotti, alla luce del cambiamento climatico e degli obiettivi di sostenibilità, è una sfida economica che continua in molti casi a scontrarsi con le esigenze pratiche degli agricoltori. La chiave, secondo gli esperti che hanno partecipato all’incontro può essere riassunta in una parola: innovazione.

    Nicolas Lobet PRYZM  LEGGI TUTTO