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    Riscaldamento globale e agricoltura intensiva: un cocktail letale per le api

    Le api sono insetti fondamentali per la biodiversità, la sicurezza alimentare umana e la salute dell’ambiente. E purtroppo, non se la passano troppo bene: quasi il 10% delle specie di api europee, ad esempio, è considerato oggi a rischio di estinzione, e di un altro 50% non ci sono dati sufficienti per un verdetto. I principali responsabili di questo declino sono il riscaldamento globale e l’agricoltura intensiva, che distrugge l’ambiente delle specie selvatiche e ne mette a rischio la sopravvivenza con pesticidi e monocolture. I pericoli, come detto, sono ben noti. Quello che non si sapeva, invece, è che gli effetti dei cambiamenti climatici e della perdita di habitat sono cumulativi, e possono quindi diventare un binomio ancora più letale per questi impollinatori indispensabili. A dimostrarlo è uno studio dei ricercatori della Julius-Maximilians-Universität di Würzburg, pubblicati di recente sui Proceedings of the Royal Society B.

    Biodiversità

    Il giallo della moria delle api, negli Usa a rischio agricoltura e miele

    03 Aprile 2025

    La ricerca è stata realizzata in Germania, e ha coinvolto 179 siti sul territorio bavarese, rappresentativi di tutti i principali biomi abitati dalle api: foreste, prati, terreni agricoli e aree urbane. Utilizzando delle trappole, gli autori dello studio hanno monitorato l’andamento delle popolazioni di insetti in risposta ai cambiamenti di temperatura, verificando le differenze presenti nei diversi habitat e a diversi livelli della catena alimentare.

    Biodiversità

    Lavori green, l’apicoltore: “Nelle arnie il segreto del cibo sano”

    15 Marzo 2025

    Le api sono risultate tra gli insetti più colpiti dagli aumenti delle temperature e dal cambiamento del loro habitat: nelle foreste, infatti, le giornate più calde non hanno sortito effetti negativi – anzi, sembrerebbero aumentare il numero di esemplari presenti – mentre nelle aree urbane e nelle zone agricole le popolazioni di questi insetti sono diminuite anche del 65% in risposta all’aumento delle temperature. Gli effetti maggiori, però, sono risultati quelli legati all’aumento delle temperature notturne: tutti gli insetti infatti ne hanno risentito negativamente, e in tutti gli ambienti studiati.

    “Il fatto che le temperature notturne abbiano un simile impatto su questi insetti diurni è significativo – sottolinea a proposito Cristina Ganuza, biologa della Julius-Maximilians-Universität che ha partecipato alla ricerca – perché le temperature medie stanno aumentando più velocemente di notte rispetto a quanto avviene con le medie diurne”.

    Biodiversità

    Troppe api per poco nettare: la lotta per sopravvivere tra quelle selvatiche e da miele

    21 Marzo 2025

    A detta dei ricercatori, i risultati sottolineano la necessità di preservare e ripristinare gli ambienti naturali anche all’interno delle aree urbane e dei territori agricoli, perché in questo modo le medie giornaliere più alte possono addirittura risultare benefiche per le popolazioni di api selvatiche (almeno in un paese con un clima come quello della Germania, dove i picchi di calore diurno rimangono ancora relativamente contenuti). Riguardo ai danni provocati dagli aumenti di temperatura nelle ore notturne, invece, serviranno ulteriori ricerche.

    Biodiversità

    Lavori green, l’apicoltore: “Nelle arnie il segreto del cibo sano”

    15 Marzo 2025

    “Questo effetto negativo che hanno le notti più calde sugli insetti era sconosciuto in precedenza – conclude Ingolf Steffan-Dewenter, professore della Julius-Maximilians-Universität che ha coordinato la ricerca – e rivela un nuovo pericolo, che necessiterà ora di ulteriori ricerche che identifichino i meccanismi fisiologici da cui è causato”. LEGGI TUTTO

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    Il “super legno” più resistente dell’acciaio

    Dalla ricerca universitaria al primo impianto industriale. Un legno modificato in laboratorio – grazie ad un processo di trasformazione molecolare – promette di sfidare l’acciaio in resistenza, sostenibilità e stile. Si chiama SuperWood ed è il risultato di anni di lavoro del professor Liangbing Hu dell’Università del Maryland.

    Tutto ha inizio da una ricerca scientifica pubblicata sulla rivista Nature nel 2018. Liangbing Hu, scienziato dei materiali dell’Università del Maryland, inventa un metodo per trasformare il legno tradizionale in un materiale più resistente dell’acciaio. Allora il professor Hu non aveva la possibilità di portare i risultati della sua ricerca a livello industriale, così ha impegnato gli anni successivi a perfezionarne la tecnologia, riducendo – tra l’altro – il tempo necessario per produrre il materiale da una settimana a poche ore. Dando vita ad un legno trattato capace di sopportare carichi e sollecitazioni con una robustezza mai vista prima.

    Quando il materiale si è reso pronto per la produzione, a quel punto, il professore Hu ha deciso di concedere la licenza della sua invenzione a una startup con sede a Frederick, sempre nel Maryland, InventWood, che ha annunciato la fase di commercializzazione dei primi lotti del prodotto a partire dall’ estate 2025.

    L’obiettivo a lungo termine dell’azienda è estendere l’impiego del materiale innovativo alle componenti portanti degli immobili, come travi e pilastri. Una strategia che punta a sostituire cemento e acciaio, responsabili di oltre il 90% delle emissioni di carbonio generate nella fase di costruzione degli edifici. LEGGI TUTTO

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    La strategia per il clima di Henkel: obiettivo 90% di emissioni di gas serra in meno entro il 2045

    Detersivi e adesivi, prodotti come minimo problematici per la sostenibilità ambientale: questo il core business di Henkel, società tedesca nata a fine del XIX secolo e che ha oggi presentato, presso la Fondazione Tog, che sostiene bambini e famiglie che vivono gravi patologie neurologiche, il suo Rapporto Sviluppo Sostenibile 2024.

    Ecco i numeri principali: ridotte del 64% le emissioni di CO2 Prendendo come riferimento il 2017; ridotti del 23% i consumi di acqua e del 39% i rifiuti per tonnellata di prodotti (numeri, questi comparati con il 2010).
    È cresciuto del 47% l’acquisto di energia da fonti rinnovabili, segno di una transizione energetica sempre più marcata.
    Il nuovo obiettivo della strategia climatica di Henkel esplicitato oggi nella roadmap Net-Zero, è la riduzione del 90% delle emissioni di gas serra (Ghg) assolute Scope 1, 2 e 3. etro il 2045 rispetto al 2021. Entro 5 anni prevede però di ridurre del 42% le emissioni Scope 1 e 2 (quelle direttamente controllabili da Henkel) e del 30% delle emissioni Scope 3.

    Lato economia circolare, ha dichiarato Mara Panajia, Presidente e Amministratore Delegato di Henkel Italia “abbiamo raggiunto l’89% di packaging riciclabile ed è cresciuta al 25% la quota media di plastica riciclata negli imballaggi destinati ai consumatori finali, con alcuni prodotti che sono già al 100%.

    Venendo alle esperienze concrete, Luca Pinelli, responsabile Salute, Sicurezza e Ambiente per i siti italiani Henkel Adhesive Technologies, ha raccontato quelle negli stabilimenti di Casarile e Zingonia. Il primo è stato tra gli apripista del progetto NOWA per ridurre o recuperare i rifiuti e gli scarti dei processi produttivi, progetto che verrà gradualmente esteso a tutti gli stabilimenti europei di Henkel Adhesive Technologies. A Casarile (Mi), nel 2024 i rifiuti complessivi sono stati ridotti del 16% e la quota di scarti inviati a riciclo o riuso è stata pari all’88% (il restante 12% è stato avviato ai termovalorizzatori, il che singnifica 0% di rifiuti in discarica). L’obiettivo per il 2025 è l’ulteriore riduzione del 10% dei rifiuti.

    A Zingonia (Bg), invece, si è lavorato soprattutto sull’acqua: “una materia prima della produzione – il 90% dei volumi è rappresentato da adesivi base acqua – usata per diversi processi, tra cui la pulizia dei reattori e degli ambienti in cui si svolgono le produzioni per il settore alimentare, il raffreddamento degli impianti ecc”. Il sito è riuscito a ridurre del 30% i consumi idrici negli ultimi 3 anni, soprattutto grazie alla standardizzazione dei processi – rivedendo i passaggi di lavaggio ed eliminando quelli non necessari – e all’ottimizzazione della produzione: “è stato creato un modello che incrocia le informazioni sui cicli di produzione dei 13 mixer con i lavaggi richiesti al termine di ciascuna lavorazione. Questo ha permesso di pianificare meglio il lavoro e mettere in sequenza le produzioni compatibili che possono essere eseguite in continuità, senza lavare i mixer” ha concluso Pinelli.

    Eleonora Parisella, coordinatrice Salute, Sicurezza e Ambiente presso il sito di Ferentino (Fr), ha sottolineato i risultati di riduzione delle emissioni di CO2 ottenuti grazie a un trigeneratore a biomassa, biogas e pannelli solari, operativo già dal 2007, la cui elettricità prodotta “copre il 90% del fabbisogno del sito. A marzo dello scorso anno, per recuperare l’energia termica proveniente dai processi chimici del reparto di solfonazione ed evitare la dispersione in atmosfera, è stato installato uno scambiatore di calore che genera 400 kg/h di vapore ad alta pressione. Questo ha permesso, solo nel 2024, di emettere 152 ton di CO2 in meno e ridurre le emissioni delle caldaie del 7%”.

    Ma è soprattutto nel campo della depurazione delle acqua reflue che si sono ottenuti risultati di rilievo. “Nei primi mesi del 2024 a Ferentino è entrato in funzione il nuovo depuratore chimico-fisico per le acque di scarto della produzione. Attualmente gestisce circa 50 metri cubi al giorno di residuo del trattamento osmotico dell’acqua e quasi 15 metri cubi al giorno di acque reflue. Il sistema ha una potenzialità di 100 metri cubi per il ritenuto dell’osmosi e di 30 metri cubi per le acque di recupero, e prevede due fasi che impiegano specifici agenti chimici e poi delle filtropresse meccaniche per depurare le acque, separando alcune sostanze sotto forma di fanghi che vengono inviati a una società esterna per lo smaltimento.

    La scorsa estate è stato rinnovato anche il depuratore biologico che tratta ogni giorno più di 150 metri cubi di acqua. Grazie a tecnologie di ultima generazione, il ciclo di depurazione prevede oggi anche l’attivazione di fanghi batterici attivi e un bioreattore a membrana che consentono di ottenere un’acqua trasparente, perfettamente rispondente ai requisiti di legge” ha concluso Parisella. LEGGI TUTTO

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    L’energia geotermica: cos’è e come funziona

    È una delle fonti di energia più importanti per il nostro futuro, specialmente se si guarda la situazione attuale del mondo, tra cambiamento climatico e necessaria corsa all’uso di energie rinnovabili. Questa forma di energia offre una promessa di sostenibilità e continuità, ma come ogni risorsa, porta con sé vantaggi e sfide da considerare attentamente.

    Che cos’è l’energia geotermica
    Nel cuore della Terra c’è una risorsa energetica che l’umanità ha iniziato a sfruttare con crescente interesse: l’energia geotermica. Si tratta di un tipo di energia pulita, rinnovabile e alternativa, che sfrutta il naturale calore della Terra. Questo calore può essere utilizzato sia come fonte di produzione di energia elettrica, sia come fonte di calore diretto, secondo il processo della cogenerazione. Esistono diversi tipo di sorgenti di energia geotermica e la differenza principale risiede nella profondità in cui le rocce scaldano l’acqua e dalla temperatura che si viene a creare.

    Tipologie di energia geotermica
    Esistono due categorie principali di energia geotermica: quella classica e quella a bassa Entalpia. La prima, sfrutta le anomalie geologiche o vulcanologiche e produce energia elettrica e il riscaldamento delle acque termale. La seconda, invece, sfrutta il sottosuolo come serbatoio termico dal quale è possibile estrarre calore durante la stagione invernale per poi “restituirlo” durante la stagione estiva. Il suo utilizzo principale riguarda impianti geotermici domestici o industriali.

    Come funziona l’energia geotermica
    Il funzionamento delle centrali geotermoelettriche è analogo a quello delle centrali termoelettriche a vapore, con la differenza che il vapore non è prodotto da caldaie ma proviene direttamente dai vapori geotermici contenuti nel sottosuolo. Non esiste dunque, in questo tipo di centrali, alcun processo di combustione. Esistono diverse tipologie di impianti geotermici, adattate alle specifiche caratteristiche del sito e alle esigenze energetiche locali. Le pompe di calore geotermiche, ad esempio, sfruttano il calore del sottosuolo per il riscaldamento e il raffrescamento degli edifici, offrendo un’efficienza energetica elevata e una riduzione significativa delle emissioni di gas serra.

    L’energia geotermica in Italia e in Europa
    L’Italia continua a mantenere un ruolo di primo piano nel settore della geotermia, una fonte rinnovabile che affonda le sue radici nel nostro Paese fin dai primi del Novecento. A livello globale, l’Italia è stata pioniera nello sfruttamento dell’energia proveniente dal sottosuolo e ancora oggi conserva una posizione di rilievo, grazie soprattutto alla Toscana, dove si concentra la maggior parte degli impianti. Le principali centrali geotermiche italiane si trovano nelle province di Siena, Pisa e Grosseto, con 35 siti attivi distribuiti tra Larderello, Travale, Radicondoli e il Monte Amiata. Questo sistema garantisce una produzione costante di energia elettrica, destinata poi alla rete nazionale. A livello europeo, la geotermia è presente anche in Germania, Austria, Francia e Portogallo, mentre fuori dai confini dell’UE è la Turchia a distinguersi per un forte sviluppo nel settore. A livello mondiale, i protagonisti assoluti sono l’Indonesia e diversi Paesi africani, che stanno investendo sempre più risorse nella produzione di energia geotermica. Da segnalare anche le Filippine, dove il 27% dell’energia elettrica nazionale proviene esclusivamente da questa fonte rinnovabile.

    Pro e contro dell’energia geotermica
    L’energia geotermica offre una serie di vantaggi significativi. Innanzitutto, è una fonte energetica rinnovabile e sostenibile nel medio-lungo termine se sfruttata in modo razionale con una corretta pianificazione dell’iniezione di fluido esausto. Inoltre, le centrali geotermiche non richiedono combustibili fossili, riducendo le emissioni di gas serra e contribuendo alla lotta contro il cambiamento climatico. Un ulteriore vantaggio è la continuità della produzione energetica, indipendente dalle condizioni meteorologiche, il che consente una fornitura stabile di energia importante e assolutamente positiva. Più sinteticamente, i vantaggi dello sfruttamento dell’energia geotermica sono:

    Sfrutta energia rinnovabile;
    Non inquina e non ha impatto sull’ambiente;
    Non ha bisogno di manutenzione;
    La sua durata è considerevole;
    Consente un risparmio dei costi del sostentamento energetico di un edificio fino all’80%.

    Tuttavia, non mancano alcuni aspetti critici da considerare; non veri e propri svantaggi, ma considerazioni da non dovere dimenticare se si pensa alla scelta di questa tipologia di energia. Il primo aspetto critico riguarda sostanzialmente le centrali geotermiche più che gli impianti in sé per sé. Si parla infatti di impatto paesaggistico, poiché le strutture sono invadenti, occupano molto spazio e sono progettate secondo canoni di funzionalità e non secondo canoni prettamente estetici. Un altro svantaggio da considerare potrebbe essere l’odore sgradevole che si diffonde nell’aria. Questo è dovuto alle emissioni di idrogeno solforato. In linea di massima, però, bisogna ammettere che non si tratta di aspetti così gravi e irrisolvibili, bensì di lati che possono trovare miglioramento. I sistemi e le tecnologie attuali, infatti, sono ancora piuttosto giovani; quindi, il margine per fare meglio in ogni campo c’è ed è notevole.

    Sull’aspetto economico, infine, si dovrebbe compiere un discorso più preciso. Abbiamo visto che uno dei vantaggi dell’energia geotermica sta proprio nel risparmio dei costi del sostentamento energetico, ma bisogna comunque tenere a mente che i costi iniziali di sviluppo per l’installazione degli impianti sono abbastanza elevati. Questo perché l’installazione stessa richiede la perforazione di pozzi profondi, ma soprattutto richiede competenze tecniche specializzate, che ovviamente hanno un costo. LEGGI TUTTO

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    Dal fast fashion alla plastica, a Procida 150 scienziati per l’economia circolare

    Ogni anno finisce in pattumiera più del 75% dei 53 milioni di tonnellate di capi di prodotti nel mondo, spesso creati con l’utilizzo sempre più massiccio di fibre sintetiche come il poliestere, che – se non smaltiti correttamente – possono provocano danni all’ambiente. Si chiama fast fashion ed è uno dei nodi irrisolti della contemporaneità. Per parlarne, e discutere anche di recupero delle risorse dalle acque reflue, di energia ed economia circolare, di potenziali impatti sulla salute e di gestione della plastica si ritrovano sull’isola di Procida, dal 21 al 23 maggio più di 150 ricercatori provenienti da 34 differenti paesi di tutto il mondo. Si chiama “Simposio Internazionale Multidisciplinare sull’Economia Circolare e l’Urban Mining”, l’acrononimo è SUM, l’evento organizzato dall’International Waste Working Group, con il coinvolgimento dell’International Research Association on Circular Economy, giunto alla sua ottava edizione: secondo un format consolidato, chiamerà a raccolta la comunità scientifica internazionale per provare a guidare le scelte amministrative e politiche in chiave futuribile. LEGGI TUTTO

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    Project Newborn, propulsione a idrogeno per l’aviazione Ue

    Il segreto dei futuri aerei di linea a zero emissioni è nella propulsione a idrogeno, almeno secondo Clean Aviation Joint Undertaking – il principale programma di ricerca e innovazione dell’Ue per rendere l’aviazione sostenibile. Si chiama Project Newborn e prevede idealmente (e prima di tutto) lo sviluppo di un sistema di propulsione a idrogeno da 1 Megawatt per aeromobili; poi in seconda battuta ci si occuperà del resto del velivolo. Al momento sono coinvolti 18 partner, fra cui Honeywell, Pipistrel Vertical Solutions, PowerCell Group, Fraunhofer, Siemens e Cira – il Centro italiano ricerche aerospaziali.

    Ad aprile si è tenuta l’ultima Assemblea Generale dedicata al collaudo di diversi sistemi e la preparazione dell’integrazione dei sottosistemi. Questo passaggio ha consentito di programmare i prossimi passi, fra cui i test dedicati alle unità di alimentazione dell’aria e gestione termica di Honeywell, il circuito dell’anodo di Test-Fuchs e lo stack di celle di combustibile di PowerCell. In pratica tutti elementi chiave per la cella di combustibile a idrogeno basata su tecnologia PEM (a membrana di scambio protonico).

    Un impianto propulsivo di questo tipo si basa sulla reazione chimica controllata generata dall’idrogeno e l’ossigeno, capace di produrre elettricità sufficiente per alimentare motori elettrici ad elica. Il risultato è una propulsione totalmente priva di emissioni. La difficoltà è data da tanti elementi, in special il modo il fatto che l’idrogeno ha bisogno di essere stivato in forma liquida a bassa temperatura (-253°) in un crioserbatoio speciale, la pila di celle combustibile deve essere di sicurezza aeronautica, gli scambiatori di calore devono essere iper-efficienti e c’è bisogno di un approccio innovativo per la gestione dell’umidità.

    Innovazione

    Londra-NY in meno di 3 ore, ma il jet supersonico consuma fino a 7 volte di più

    17 Febbraio 2025

    La filiale Honeywell Technology Solutions (HTS) di Brno, in Repubblica Ceca, ad esempio si occuperà dello sviluppo dei sistemi di gestione dell’aria, del sistema termico e di controllo. Siemens invece del gemello digitale e gli strumenti di modeling, la spagnola Aciturri è impegnata sui serbatoi di idrogeno, Fraunhofer sta sviluppando la parte elettrica, mentre University of Nottingham lavora alla propulsione. L’italiana Cira invece è concentrata sulla valutazione dei parametri relativi all’acustica e le vibrazioni: bisogna infatti comprendere in base alle future configurazioni di velivolo il livello di rumore generato e anche eventuali criticità sotto il punto di vista strutturale. LEGGI TUTTO

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    Alocasia: coltivazione in vaso e in giardino, cura e annaffiatura

    Nota anche con il nome di orecchie di elefante, per via delle sue grandi foglie a forma di freccia, l’alocasia è una splendida pianta tropicale originaria dell’Asia sud-orientale. Appartenente alla famiglia delle Araceae, necessita di un ambiente caldo e umido per prosperare, temendo le basse temperature e prestandosi pertanto anche come pianta da appartamento. L’alocasia è semplice da coltivare e mantenere, ma è necessario mettere in atto le giuste cure per farla risplendere.

    Dove posizionare l’alocasia?
    L’alocasia si distingue per la sua bellezza straordinaria, aggiungendo un tocco esotico in qualsiasi ambiente si trovi. Questa pianta arbustiva rizomatosa cresce in natura nelle foreste tropicali e si presenta in numerose specie sempreverdi o decidue: a renderla molto amata sono le sue foglie di grandi dimensioni, che possono svilupparsi in lunghezza fino a un metro e mezzo, rese uniche da venature decorative, che virano dal bronzo al viola, al nero.

    Per quanto riguarda l’esposizione, l’alocasia richiede un luogo simile a quello del suo habitat naturale, che sia quindi molto luminoso, ma senza la presenza del sole diretto, che potrebbe bruciarne le foglie. La luce filtrata è indicata per la sua crescita: per esempio, in appartamento è bene posizionarla vicino a una finestra facendo sì, però, che una tenda bianca possa filtrare i raggi solari. Se il sole diretto non è ottimale, dall’altro lato anche la luce scarsa non è indicata, portando la pianta a sviluppare lunghi steli per avvicinare le sue foglie alla luce.

    Altro aspetto da tenere in considerazione è il fatto che l’alocasia apprezza l’umidità e gli ambienti caldi, dalle temperature comprese tra i 18 e i 25 gradi, soffrendo sotto i 15 gradi. Durante l’estate in giardino resiste in un luogo luminoso, umido e ombreggiato, ma bisogna proteggerla da vento e piogge. La pianta richiede un buon ricambio d’aria, evitando però le correnti fredde che potrebbero danneggiarla.

    Alocasia e la sua coltivazione
    L’alocasia può essere coltivata sia in vaso che in giardino. Il momento migliore per la sua semina va da febbraio ad aprile, per via del clima mite di questi mesi che ne stimolano la germinazione. Nella coltivazione dell’alocasia è necessario assicurarsi che il terreno sia drenato, leggero, poroso, sciolto, morbido, privo di grumi e con molte sostanze nutritive, potendo unire perlite, torba e un mix di terra per le piante d’appartamento e ricorrere a un fondo di argilla espansa per aumentare il drenaggio.

    Se si opta per la semina in vaso, bisogna munirsi di un contenitore pesante, per evitare che la pianta sia instabile, e si possono porre dei pezzi di coccio sul suo fondo per garantire lo scolo dell’acqua. Il recipiente scelto va posto in un luogo luminoso, evitando i raggi solari diretti, collocandolo all’aperto durante la bella stagione e proteggendolo in inverno.

    I semi vanno posti a una profondità di un centimetro, lasciando tra di loro una distanza di 2,5 centimetri, per poi coprirli con il terreno, compattando il tutto. Durante i primi anni di vita, l’alocasia deve essere rinvasata annualmente in vasi più grandi.

    Per quanto riguarda la coltivazione in giardino, è bene non collocare questa pianta tropicale in una depressione del terreno, per far sì che l’acqua non ristagni. Si procede piantando i germogli rivolti verso l’alto, ponendoli a 5 centimetri di profondità, per poi coprirli con il terreno, assicurandosi che crescendo le piante abbiano una distanza di 30-45 centimetri.

    L’irrigazione e altre operazioni da tenere in considerazione
    In seguito alla semina dell’alocasia, è necessario non lasciare mai seccare il terreno, irrigando i semi circa 2-3 volte al giorno con un nebulizzatore, per mantenere il terriccio sempre umido. Questa operazione va ridotta mano a mano che i primi germogli crescono. L’irrigazione dell’alocasia deve essere regolare, diminuendola però in inverno, suo periodo vegetativo: durante l’operazione è cruciale evitare i ristagni liquidi, responsabili del marciume radicale.

    Annaffiature non regolari, sia in eccesso che in difetto, possono portare all’ingiallimento delle foglie, dovendo correggere l’irrigazione. Per verificare se la pianta necessiti di acqua o meno si può porre un dito nel terreno e se questo risulta asciutto dopo qualche centimetro si può procedere con l’innaffiatura.

    Altra operazione cruciale è la concimazione che va eseguita ricorrendo a del fertilizzante liquido ogni 2-3 settimane, intervento da svolgere in primavera ed estate, periodi di crescita della pianta, aggiungendo il concime nell’acqua di irrigazione. Questo intervento può essere interrotto oppure ridotto in inverno.

    La potatura di questa pianta tropicale non è richiesta in modo costante. Basta limitarsi a rimuovere le foglie ingiallite oppure danneggiate, tagliandole alla base del fusto con delle forbici affilate e pulite. Questo intervento previene eventuali malattie, visto che le foglie rovinate potrebbero diventare un loro veicolo, e stimola la crescita di nuove foglie.

    Alocasia e la manutenzione: le problematiche comuni
    L’alocasia richiede particolari attenzioni nella sua cura, essendo incline a svariate problematiche che possono colpirla, come per esempio malattie e parassiti. La pianta è molto sensibile al marciume radicale, criticità che insorge in caso di acqua in eccesso e, proprio per questo, il terreno deve essere sempre ben drenato.

    Inoltre, è soggetta all’attacco di parassiti quali acari, cocciniglie e afidi, che si nutrono della sua linfa, deperendo le foglie e portando perfino alla sua morte. L’alocasia è spesso presa di mira dal ragnetto rosso, che si insedia sul lato inferiore delle foglie, facendole scolorire. Per scongiurare la presenza dei parassiti è importante eseguire ispezioni regolari e qualora venga rilevato un attacco ricorrere a dei pesticidi ad hoc. La pianta può essere poi colpita da oidio, malattia fungina responsabile di una polvere bianca che si sedimenta sulle foglie: per prevenirla è necessario che il flusso d’aria sia ottimale e bisogna dosare con attenzione le irrigazioni. Qualora questa problematica insorga si deve ricorrere a un fungicida ad hoc.

    Le foglie dell’alocasia possono cadere oppure diventare gialle, se non ricevono abbastanza luce, e presentare macchie nere, in caso in cui il clima sia troppo freddo: queste criticità possono essere ovviate ponendo la pianta in un luogo dalla luce filtrata e con temperatura tra i 18 e i 25 gradi. LEGGI TUTTO

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    Global Award for Sustainable Architecture, i progetti premiati in Ecuador e Marocco

    Non sono archistar, ma sicuramente stanno realizzando alcune tra le migliori opere di architettura sostenibile nel mondo: Marie Combette e Daniel Moreno Flores (Ecuador), Salima Naji (Marocco), Hoang Thuc Hao (Vietnam), Marie e Keith Zawistowski (Francia) e Andrea Gebhard (Germania). Garantisce il Global Award for Sustainable Architecture, prestigioso premio che qualche giorno fa ha celebrato a Venezia la sua 18a edizione.

    Fondato nel 2006 dall’architetta e ricercatrice franco-tedesca Jana Revedin – in associazione con quattro facoltà europee di architettura (Parigi, Venezia, Istanbul, Lubiana), con il patrocinio dell’Unesco e la partnership di Saint-Gobain – premia ogni anno architetti, urbanisti e paesaggisti provenienti da tutti i continenti, riconoscendo il loro impegno visionario a favore della sostenibilità e dell’innovazione.

    Tra i cinque premiati di quest’anno, abbiamo selezionato le storie e le opere di due studi lontanissimi geograficamente (uno in Ecuador, l’altro in Marocco), ma uniti dagli stessi princìpi e da metodi di lavoro simili. Con sede a Quito (Ecuador), Marie Combette e Daniel Moreno Flores sono i fondatori de La Cabina de la Curiosidad ed esplorano le risorse geografiche e materiali dell’Ecuador. Si distinguono per un metodo che combina etnografia, processi costruttivi e sensibilizzazione ecologica, con un’attenzione particolare alla gestione dei rifiuti e alla valorizzazione degli ecosistemi naturali.

    La Cabina de la Curiosidad coniuga arte, artigianato, architettura e consapevolezza territoriale, ogni progetto è intriso di una poesia singolare, riflesso del loro impegno verso la preservazione culturale e ambientale. I due architetti, che lavorano in un contesto politico e sociale difficile, possiedono una rara capacità di trasformare le limitazioni locali in opportunità, rivelando la bellezza e l’immenso potenziale di un ambiente naturale ancora intatto. Uno degli esempi è il semplice ma poetico alloggio costruito nella cava Baños de Agua Santa (provincia di Tungurahua, Ecuador), l’architettura scelta, tra l’altro, per rappresentare il premio internazionale di quest’anno. Si tratta di un progetto architettonico che unisce la presenza delle grandi pietre della cava alla leggerezza dei materiali da costruzione (legno, vetro e lamiere d’acciaio) con il valore aggiunto della precisione della composizione architettonica. Le falde della copertura si sollevano anteriormente per aprirsi in una grande finestra sul paesaggio, e posteriormente per ventilare lo spazio abitativo: queste semplici linee inclinate, la cura dei dettagli costruttivi e lo stretto rapporto con l’ambiente naturale delle Ande fanno di questa piccola abitazione una grande opera di architettura sostenibile.

    Global Award for Sustainable Architecture – Centro dell’Artigianato Chaki Wasi, in Ecuador  LEGGI TUTTO