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    Così la microalga bioluminescente sopravvive negli abissi

    Per mare si viaggia in tanti modi. Tralasciando i motori, pinne, muscoli e tentacoli la fanno da padrone. Ma chi non ha niente di tutto questo si deve ingegnare a chiedere un passaggio, affidarsi alle correnti o a trovare altre soluzioni. La microscopica Pyrocystis noctiluca, una specie di fitoplancton (un’alga non mobile, nel dettaglio), ci […] LEGGI TUTTO

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    Uno studio rivela: i delfini respirano microplastiche

    Sono ovunque: sull’Everest e nella neve artica, nella placenta e, naturalmente, nei nostri mari, in quantità stimate in quasi due milioni di tonnellate all’anno. Ora, però, per la prima volta le microplastiche compaiono nel respiro dei delfini, che finiscono fatalmente con inalarle quando salgono in superficie. Con conseguenze potenzialmente nocive sulla loro salute. È quanto certificato da uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. I delfini non sono gli unici animali a “respirare” microplastiche.

    Ricerche precedenti, in Giappone, ha certificato la presenza di microplastiche nei polmoni degli uccelli selvatici. Ma sono proprio i cetacei, che popolano i mari di tutto il mondo, a toccare anche le aree costiere più trafficate: per questo sono considerati dai ricercatori un potenziale indicatore importante sull’inquinamento da plastica.

    Biodiversità

    Anche i delfini sorridono (mentre giocano). E il sorriso è contagioso

    di  Pasquale Raicaldo

    03 Ottobre 2024

    Nello studio in questione, Leslie B. Hart, co-direttrice del Center for Coastal Environmental and Human Health presso il College of Charleston, nella Carolina del Sud, ha raccolto – insieme alla biochimica Miranda K. Dziobak, campioni di aria espirata da undici tursiopi nella baia di Sarasota, in Florida, e nella baia di Barataria, in Louisiana. Per farlo hanno posizionato una capsula di Petri, piccolo recipiente di forma cilindrica, sullo sfiatatoio di ciascun esemplare, durante la fase dell’espirazione. Alla ricerca ha collaborato il Brookfield Zoodi Chicago, che conduce da anni studi sulla salute dei delfini, in particolare quelli catturati e poi rilasciati.

    Biodiversità

    Pesci e tartarughe: nei mari rifiuti e plastica continuano a uccidere gli animali

    di Pasquale Raicaldo

    12 Agosto 2024

    La ricerca ha preso le mosse da alcune evidenze emerse in studi precedenti, che avevano rivelato – nei delfini della baia di Sarasota – la presenza di ftalati, sostanze chimiche utilizzate nella plastica, interferenti endocrini dagli effetti nocivi per la salute umana. Una presenza attestata su livelli sensibilmente superiori a quelli riscontrati negli esseri umani. Forse, naturalmente, il sospetto che si trattasse degli effetti del marine litter, l’inquinamento da plastica.

    I delfini più esposti dell’uomo

    E il campionamento ha confermato in pieno l’ipotesi: l’analisi da laboratorio ha infatti rilevato particelle di microplastica nel respiro di tutti i delfini testati, con presenza di più tipi di polimeri plastici, tra i quali il polietilene tereftalato (PET) e il poliestere, uno dei polimeri più comuni utilizzati nel campo dell’abbigliamento. “E in effetti per ogni bucato i nostri vestiti rilasciano milioni di minuscole fibre di plastica, in grado di viaggiare facilmente nell’acqua e nell’aria”, spiega Dziobak. Fatale che gli animali, come l’uomo, vi siano esposti: “Proprio così. – annuisce Hart – E i delfini, secondo la nostra ipotesi, li respirano in superficie, mentre vengono disperse dalle onde”.

    Longform

    Tutto quello che sappiamo sulle microplastiche e quanto inquinano

    di Paola Arosio

    18 Luglio 2024

    Di più: “l’apnea prolungata dei tursiopi li renderebbe più esposti dell’uomo, in virtù della grande capacità polmonare, all’assunzione involontaria delle microplastiche condotte dall’aria”, annota ancora Hart.

    Quanto alle conseguenze, le microplastiche sarebbero collegate a potenziali infiammazioni e danni a livello cellulare. E, soprattutto, veicolerebbero sostanze chimiche a loro volta direttamente nocive. Ma – spiegano i ricercatori – sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio l’entità delle microplastiche inalate, nonché per esplorarne con maggiore precisione gli impatti, dati i potenziali rischi per la funzionalità polmonare e la salute.Non mancano, nel recente passato, studi sull’inalazione di microplastiche da parte dell’uomo. Che potrebbe respirare circa16,2 frammenti all’ora, l’equivalente di una carta di credito in una settimana, secondo studio condotto dai ricercatori della University of Technology Sydney, della Western Sydney University, della Urmia University, della Islamic Azad University, della University of Comilla e della Queensland University of Technology, pubblicato sulla rivista Physics of Fluids.

    La sfida è comprendere con quali conseguenze, a breve e lungo termine, si muovano nel sistema respiratorio, degli esseri umani come degli animali, delfini compresi. La plastica come vettore di agenti nocivi“Il problema della diffusione delle microplastiche, e in generale delle plastiche, è – con i cambiamenti climatici e la distruzione diretta degli habitat, una delle tre grandi questioni che minacciano la biodiversità. – spiega Antonio Terlizzi, che da direttore del Dipartimento di Ecologia Marina Integrata della Stazione zoologica Anton Dohrn si occupa quotidianamente degli effetti dell’impatto antropico sugli organismi marini –

    Nel Mediteranneo stimiamo un quantitativo di 500 milioni di tonnellate di plastica, l’85% dei quali a noi invisibili, trovandosi soprattutto nei fondali. E troviamo costantemente microplastiche nei mammiferi, nei pesci e in diversi invertebrati, per esempio crostacei, spugne ed echinodermi: le nostre preoccupazioni non sono legate solo agli effetti diretti della plastica ingerita o respirata, quanto a quelli indiretti. Gli animali, delfini compresi, che ingeriscono o respirano microplastiche hanno a che fare con quello che in gergo definiamo ‘carrier’, vale a dire portatori di agenti chimici e sostanze tossiche che penetrano negli organismi attraverso la plastica e influiscono negativamente sulla salute degli animali”. LEGGI TUTTO

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    L’inquinamento da azoto e CO2 distrugge la biodiversità delle praterie

    Una pericolosa combinazione di inquinamento da azoto e di emissioni di anidride carbonica (CO2) sta seriamente mettendo a rischio diverse specie vegetali nelle praterie Usa. È quanto emerge da uno studio guidato dall’Università del Michigan e pubblicato su Nature. La ricerca è durata 24 anni ed è stata condotta su 108 appezzamenti di prateria in […] LEGGI TUTTO

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    Rapporto ASviS: “L’Italia in ritardo sull’Agenda 2030, peggiora la povertà”

    “L’Italia procede su un sentiero di sviluppo insostenibile e, nonostante gli impegni presi a livello internazionale anche con la firma del Patto sul Futuro, le scelte del Paese risultano insufficienti per raggiungere i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030. Non solo. Dei 37 obiettivi legati a impegni sia europei che nazionali, solo otto sono raggiungibili entro il 2030; 22 non lo sono e per altri sette il risultato è incerto”. È quanto emerge dal nono Rapporto ASviS, dal titolo “Coltivare ora il nostro futuro” presentato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile che come ogni anno fa il punto sull’avanzamento degli Obiettivi dell’Agenda 2030, che in Italia non sembrano godere di buona salute. E i dati lo dimostrano. Siamo in drammatico ritardo.

    Target lontani: l’Italia su un sentiero insostenibile

    In particolare, spiega il report redatto da decine di esperti (con la collaborazione della società di consulenza Prometeia), tra il 2010 e il 2023, il Paese ha registrato peggioramenti per cinque Goal: povertà, disuguaglianze e qualità degli ecosistemi terrestri, governance e partnership. Limitati miglioramenti si rilevano per altri sei: cibo, energia pulita, lavoro e crescita economica, città sostenibili, lotta al cambiamento climatico e qualità degli ecosistemi marini. Va meglio su salute, educazione, uguaglianza di genere, acqua e igiene, innovazione. Unico miglioramento molto consistente interessa l’economia circolare.

    Enrico Giovannini  LEGGI TUTTO

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    In Colombia 115 comunità indigene diventano “autorità ambientali”

    Deforestazione, degrado ambientale, perdita di biodiversità. Il legame tra tutela della popolazioni indigene e quello del loro territorio è uno dei grandi temi delle politiche ambientali a livello globale. Alla vigilia della Conferenza internazionale sulla biodiversità dell’Onu, Cop16 che dal 21 ottobre e fino al 1° novembre si terrà a Cali, in Colombia, il governo […] LEGGI TUTTO

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    Mughetto, come coltivarlo in giardino o in vaso

    Emblema della primavera, il mughetto presenta fiori bianchi a forma di campanella, eleganti e profumati, e foglie ovali di color verde chiaro. La pianta è contraddistinta da una grande versatilità, adattandosi a molteplici condizioni. Coltivabile sia a terra in giardino, sia nel vaso in terrazzo, si tratta di una pianta montana che tollera bene il freddo, a differenza del caldo e dell’afa che non apprezza.

    Mughetto: caratteristiche
    Il mughetto fa parte della famiglia delle Asparagaceae e appartiene al genere Convallaria. Il suo nome scientifico è Convallaria majalis: la pianta cresce in ambienti ombrosi e umidi, riempiendo in particolare boschi e prati tra la primavera e l’inizio dell’estate, periodo della sua fioritura. Piccola pianta erbacea, perenne, velenosa e rizomatosa, raggiunge altezze tra i 15 e i 20 centimetri. Per quanto riguarda i suoi significati, il mughetto è considerato un simbolo della primavera, ma anche di buona sorte, ritorno della felicità, verginità e innocenza.

    Come coltivare il mughetto
    Pianta boschiva, che cresce spontaneamente, il mughetto oltre che piantato a terra, dà soddisfazioni anche in vaso: con la sua raffinatezza intrinseca dona un tocco di grazia in ogni spazio in cui viene collocato. Tuttavia, può non essere facile da coltivare in terrazzo in quanto richiede un vaso di grandi dimensioni, in modo tale da consentire alle sue radici di estendersi quanto necessario. Oltre che ampio, il contenitore deve presentare dei fori di drenaggio per scongiurare possibili ristagni d’acqua. Il terreno deve essere ben drenato e, pertanto, si possono aggiungere delle biglie di argilla, da porre sul fondo del vaso, e del concime granulare.

    Per la coltivazione in vaso quando si piantano i semi, questi vanno posizionati a una profondità di 4-5 centimetri per poi essere coperti con uno strato di terra: la germinazione è lenta e può richiedere diversi mesi. Una volta piantati i bulbi è bene lasciare il vaso all’aperto per i primi mesi: si potrà spostare all’interno solo quando la pianta raggiungerà una dimensione più grande idonea per sboccare.

    Se si opta per la coltivazione del mughetto in giardino in piena terra si dovrà scegliere un terreno umido, drenato e ombreggiato. Si procede piantando i rizomi del mughetto, posizionandoli a una distanza tra i 10 e i 15 centimetri l’uno dall’altro e a una profondità di 5 centimetri. È molto importante assicurarsi di collocare la parte concava dei rizomi verso l’alto e di mantenere il terreno sempre umido anche durante la sua crescita, senza esagerare per scongiurare i ristagni d’acqua. I bulbi devono essere interrati nel periodo tra marzo e maggio oppure tra settembre e dicembre.

    Dove posizionare il mughetto?
    Per quanto riguarda il luogo dove collocarlo, il mughetto predilige una posizione soleggiata o semi-ombreggiata, evitando quindi i raggi solari diretti che potrebbero comprometterne le foglie. La pianta ha bisogno della luce indiretta e in caso questa manchi potrebbe non fiorire. Inoltre, per una sua fioritura rigogliosa un ambiente fresco e umido è l’ideale. In merito alle temperature la pianta non patisce il gelo, resistendo anche sotto i -15 gradi, mentre durante le estati molto torride può soffrire: proprio per questo, nel caso si pianti in giardino a dimora in piena terra dovrà essere collocata nella parte più all’ombra.

    Il mughetto richiede un terriccio soffice, calcareo, ben drenato, sabbioso, fertile e ricco di sostanze organiche dal ph neutro: se il substrato deve essere sempre mantenuto umido, bisogna evitare i ristagni d’acqua che potrebbero far patire la pianta. Inoltre, bisogna prestare attenzione se si vive con bambini oppure animali in quanto si tratta di una pianta velenosa e ingerirne anche una piccola porzione è molto pericoloso.

    Mughetto e annaffiatura: cosa sapere
    In merito alla cura del mughetto, è necessario dedicarsi con particolari accorgimenti all’annaffiatura, che deve essere regolare e intensificata durante il periodo estivo e quando il clima è secco. Prima di dare da bere alla pianta è importante controllare che il terreno sia asciutto per scongiurare i ristagni d’acqua: per mantenerla in salute il terreno deve essere leggermente umido, ma non zuppo. L’annaffiatura va evitata nel periodo autunnale, quando la pianta è priva di foglie e in inverno va ridotta, interrompendo la concimazione. Durante la crescita attiva è necessario fertilizzare la pianta una volta mese.

    Potatura del mughetto e altri aspetti da considerare
    Altro aspetto da tenere a mente è la potatura che dovrà essere effettuata durante la primavera, momento in cui il mughetto si trova ancora in stato di dormienza e, pertanto, è perfetto per non stressarlo, riparando eventuali danni generatisi durante il periodo invernale. Si può anche potare la pianta durante la fine dell’estate al termine della sua fioritura. Intervenendo in questi due periodi ci sono più possibilità di mantenere inalterata la forma del mughetto, evitando di rimuovere i suoi meravigliosi fiori. Ogni due anni è necessario effettuarne il rinvaso. Essendo una pianta velenosa, il mughetto è repellente a diversi parassiti e, pertanto, non richiede cure particolari. A metterla in pericolo sono i ristagni idrici che possono generare marciumi radicali e muffa grigia e malattie fungine, come la ruggine, responsabile della comparsa di pustole giallastre sulle foglie e il conseguente disseccamento di quelle maggiormente colpite. LEGGI TUTTO

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    La domanda di elettricità cresce a ritmi da record

    “Nella storia dell’energia, abbiamo assistito all’era del carbone e all’era del petrolio. Ora ci stiamo muovendo rapidamente verso l’era dell’elettricità”. Fatih Birol, direttore esecutivo della Iea, disegna gli scenari energetici futuri presentando il World Energy Outlook 2024, il rapporto annuale redatto dall’Agenzia internazionale per l’energia. “L’uso dell’elettricità è cresciuto a un ritmo doppio rispetto alla domanda energetica complessiva nell’ultimo decennio, con due terzi dell’aumento globale dei consumi di elettricità negli ultimi dieci anni proveniente dalla Cina”, si legge nel report.

    E proprio Pechino continuerà a giocare un ruolo sempre più da protagonista nella transizione: “Che si tratti di investimenti, domanda di combustibili fossili, consumo di elettricità, distribuzione di energie rinnovabili, mercato dei veicoli elettrici o produzione di tecnologie pulite, ora ci troviamo in un mondo in cui quasi ogni storia energetica è essenzialmente una storia cinese”, sottolinea Birol. “Solo un esempio: l’espansione solare della Cina sta procedendo a un ritmo tale che, entro i primi anni del 2030, ovvero meno di dieci anni da oggi, la sola generazione di energia solare della Cina potrebbe superare la domanda totale di elettricità degli Stati Uniti oggi”. Ma se le rinnovabili crescono, aumenta ancor di più la domanda di elettricità nel mondo. La domanda globale di elettricità è destinata ad accelerare: secondo la Iea, ogni anno al consumo totale di elettricità si aggiungerà l’equivalente dell’attuale fabbisogno giapponese. Tra le cause principali, il previsto boom nell’uso globale dell’aria condizionata, dovuto all’innalzamento delle temperature e ai redditi in crescita, con una impennata dei consumi elettrici del 280% da qui al 2050.

    Governo

    Via libera al decreto Ambiente: non solo eolico e fotovoltaico, per la transizione anche nucleare e idrogeno

    di  Luca Fraioli

    10 Ottobre 2024

    Guardando al presente, la Iea nota come “i conflitti regionali e le tensioni geopolitiche stiano evidenziando significative fragilità nell’attuale sistema energetico globale, rendendo chiara la necessità di politiche più forti e maggiori investimenti per accelerare ed espandere la transizione verso tecnologie più pulite e sicure”. Gli anni a venire saranno “caratterizzati da continui pericoli geopolitici ma anche da una fornitura relativamente abbondante di molteplici combustibili e tecnologie”. Nel report si parla di “un eccesso di fornitura di petrolio e gas naturale liquefatto nella seconda metà del decennio in corso, insieme a un’ampia sovrabbondanza di capacità produttiva per alcune tecnologie chiave per l’energia pulita, in particolare il solare fotovoltaico e le batterie”.

    Un surplus di petrolio e gas che, sostiene Birol, “a seconda di come si evolvono le tensioni geopolitiche, ci porterebbe in un mondo energetico molto diverso da quello che abbiamo sperimentato negli ultimi anni, durante la crisi energetica globale”. Nonostante le promesse, i consumi di combustibili fossili continueranno a crescere e il picco si raggiungerà, prevede la Iea, a metà del prossimo decennio, per poi iniziare una lentissima discesa. Con inevitabili conseguenze sul clima. “Sulla base delle attuali politiche climatiche nazionali”, scrivono gli esperti dell’Agenzia con sede a Parigi, “le emissioni globali di anidride carbonica sono destinate a raggiungere il picco, ma l’assenza di un successivo brusco calo significa che il mondo è sulla strada per un aumento di 2,4 °C nelle temperature medie globali entro la fine del secolo, ben al di sopra dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Il World Energy Outlook 2024 sottolinea gli inestricabili legami tra rischi per la sicurezza energetica e cambiamenti climatici. In molte aree del mondo, gli eventi meteorologici estremi, intensificati da decenni di elevate emissioni, stanno già ponendo profonde sfide per il funzionamento sicuro e affidabile dei sistemi energetici, tra cui ondate di calore sempre più gravi, siccità, inondazioni e tempeste”. LEGGI TUTTO

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    La rivoluzione sostenibile dello spazio

    “È il più grande raduno di professionisti dello spazio mai realizzato nella storia, con oltre 11 mila partecipanti, 30 viaggiatori dello spazio e per la prima volta nella storia il Global Space Leaders Summit con la presenza di più di 60 capi e leader di agenzie spaziali di tutto il mondo”.
    Così Clay Mowry, presidente della Federazione Astronautica Internazionale (Iaf), ha aperto la cerimonia inaugurale del Congresso internazionale di astronautica Iac 2024, il principale appuntamento internazionale annuale nel settore spaziale che dopo 12 anni torna in Italia, al Mi.Co di Milano, organizzato dalla Federazione Astronautica Internazionale (Iaf), con l’Associazione italiana per l’Aeronautica e l’Astronautica (Aidaa), l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e Leonardo. Sostenibilità nello spazio e cooperazione internazionale sono i pilastri di questa 75esima edizione (14-18 ottobre) e Mowry ha raccontato come il congresso abbia portato lo spazio a Milano, con la possibilità di vedere dal vivo un campione dell’asteroide Bennu e un campione della Luna prelevato sul lato nascosto dalla missione cinese Change 6. Presente al Convention Centre di Milano anche il presidente Sergio Mattarella. LEGGI TUTTO