Ci sono decisioni, che verranno prese nel giro di un mese, che sulla carta hanno la potenzialità di rimodellare gli equilibri naturali del nostro Pianeta e salvare il futuro dell’umanità. Oggi in Colombia inizia a Cali la Cop16, grande Conferenza delle Parti sulla Biodiversità guidata dalle Nazioni Unite, seguita poi dalla Cop29 sul clima in Azerbaijan a Baku (dall’11 novembre).
A Cali si ritroveranno i rappresentati di 196 Paesi, oltre 12 mila delegati e circa dieci capi di stato, che avranno un compito: trasformare in realtà le promesse e gli impegni presi due anni fa durante l’accordo di Kunming-Montreal, alla Cop canadese, dove sono stati stabiliti 23 target e quattro obiettivi per tentare di preservare la natura in questo decennio. Il primo passo alla Cop15 di Montreal del 2022 era stato riconoscere l’enorme perdita di biodiversità mondiale nell’ultimo secolo, una distruzione della natura senza precedenti, che sta andando oltre i limiti mettendo a rischio gli equilibri naturali e dunque anche il futuro della nostra specie.
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Tutela ecosistemi: strategie e impegni
Perché il punto centrale è proprio questo: con o senza di noi la natura sopravviverà ai cambiamenti in atto, come ha fatto per milioni di anni, ma siamo noi che rischiamo di non fare più parte di questo progetto se continuiamo ad agire interrompendo i cicli naturali di piante, animali ed ecosistemi. Primo obiettivo: piani nazionali per proteggere il 30% di terre e mari. Come è stato deciso in Canada ogni Paese del mondo dovrà ora impegnarsi, ed è scritto nero su bianco nei target, a proteggere il 30% della terra e dei mari, a ridurre i rischi legati all’abuso di pesticidi e a ripristinare il 30% delle aree degradate in modo da arginare la perdita di specie ed ecosistemi entro il 2030. In sostanza, un impegno ad agire con “urgenza” prima che – come sta già accadendo a causa della crisi climatica – certi processi diventino irreversibili.
Solo 29 Stati su 196 hanno un Piano sulla biodiversità
Il vertice di Cali dovrebbe certificare proprio questo: quanto stiamo agendo con urgenza? Ci stiamo realmente preparando? Per ora, in attesa delle decisioni che verranno prese alla Cop16, le risposte appaiono insufficienti. Il tema centrale della Conferenza colombiana è infatti l’attuazione dell’accordo del 2022, ma sono pochissimi i Paesi che hanno davvero pianificato per riuscirci: solo 29 stati su 196 sono quelli che a metà ottobre hanno presentato strategie nazionali sulla biodiversità. Quasi l’80% dei Paesi non ha ancora avviato iter concreti. Per cui a Cali ci si attende, anche se non è scontato, che altri Stati facciano un passo avanti presentando e pubblicando i loro piani. Come intendono, le varie nazioni, proteggere davvero il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030? Una domanda chiave, visto che finora secondo gli ultimi dati pubblicati dal Wwf, elaborati in base alle cifre delle Nazioni Unite, a settembre solo l’8,35% dei mari e il 17,5% delle terre emerse sono considerabili “protetti”.
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Finanziamenti e risorse genetiche
Un secondo obiettivo chiave per la Cop16 è capire a che punto sono i finanziamenti, da parte dei Paesi più sviluppati, per aiutare quelli in via di sviluppo. L’impegno preso due anni fa era di stanziare 20 miliardi di dollari l’anno per la biodiversità entro il 2025 e 30 miliardi entro il 2030. Le ultime stime, dell’Ocse, parlano di raccolte intorno ai 15,4 miliardi di dollari ma mancano certezze sia per lo sblocco dei finanziamenti, sia per la creazione di un fondo autonomo che i Paesi in via di sviluppo chiedono da tempo.
Anche alla Cop16 dunque, come in quella del clima che si terrà a Baku, la questione finanziamenti sarà centrale: senza fondi, sarà complesso soprattutto per i Paesi meno abbienti poter centrare i loro obiettivi.
Come ha spiegato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres in un messaggio in apertura della Cop16 servono dunque “investimenti significativi” perché bisogna “onorare le promesse fatte in termini di finanziamenti e di accelerare il sostegno ai Paesi in via di sviluppo. Il collasso delle risorse naturali, quali l’impollinazione e l’acqua potabile, causerebbe una perdita annuale di trilioni di dollari per il mondo dell’economia globale”.
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Altro punto chiave sarà poi quello relativo alle risorse genetiche e il consenso, di queste, da parte di chi preserva le conoscenze tradizionali: il protocollo di Nagoya sull’Accesso alle Risorse Genetiche e l’equa condivisione dei benefici derivanti da loro stabilisce che vanno “tenuti in considerazione tutti i diritti riguardanti quelle risorse e quelle tecnologie e i fondi opportuni, contribuendo in tal modo alla conservazione della diversità biologica e all’uso sostenibile dei suoi componenti”.
In sostanza, i soggetti che forniscono tali risorse devono beneficiare dei vantaggi anche economici, per esempio nella cosmesi e la farmaceutica, derivanti dal loro utilizzo, ma per ora buona parte di queste risorse – soprattutto in termini di sequenze genetiche digitalizzate (DSI, Digital Sequence Information) – sono a beneficio quasi esclusivo delle economie più forti. La speranza è che a Cali si trovi un’intesa per stabilire un sistema globale di condivisione degli utili.
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