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    La batteria green che nasce dagli alberi. L’idea di un giovane colombiano

    Il mondo ha sempre più bisogno di energia elettrica ed è noto che la produzione da fonti rinnovabili abbiano il grande vantaggio di essere ecologiche ed adatte alla transizione energetica, verso cui l’Europa ed il mondo stanno andando. Ma allo stesso tempo sono fonti energetiche intermittenti, per cui c’è necessità di conservare l’energia prodotta in batterie sempre più capienti ed efficienti. E se la risposta, ancora una volta, venisse dalla natura? Anzi dagli alberi? Questa l’idea di Samuel Bedek, un giovane colombiano di appena 20 anni, che abbiamo incontrato al GItex Global, una delle fiere di tecnologia e startup più grandi del mondo, che si è tenuta a Dubai dal 13 al 17 ottobre.

    Dalla linfa una gomma naturale
    In uno dei padiglioni dell’Expand North Star – l’evento parallelo del Gitex, esclusivamente dedicato alle startup – abbiamo scovato questa piccola grande idea, di un ventenne e minuto colombiano, con le idee molto chiare: aiutare il mondo a trovare soluzioni sostenibili, partendo proprio dalle comunità più povere del suo paese, la Colombia. “Dal mio paese sono andato a studiare negli Stati Uniti e ho avuto la possibilità di sviluppare quello che pensavo da molto tempo. Lì è nato il prototipo di Elastic Energy, una batteria che può immagazzinare l’energia prodotta da qualsiasi fonte, grazie alla linfa degli alberi”, spiega Bedek. Si, perché è dalla linfa degli alberi che viene prodotto il biopolimero elastico, una gomma naturale, usata per creare energia elastica. “Quando l’energia rinnovabile ha raggiunto un alto livello, viene attivato un motore che girando allunga un elastico di gomma da 100 fino a 1000 metri, convertendo energia elettrica in energia elastica. Dopodiché quando viene richiesta elettricità, il sistema di controllo converte il motore elettrico in generatore di corrente” ci spiega Bedek.

    Il biopolimero elastico, una gomma naturale, prodotto dalla linfa degli alberi  LEGGI TUTTO

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    Pianta del caffè: i consigli per coltivarla in vaso o in giardino

    La pianta del caffè ammalia con il suo portamento leggero e il suo meraviglioso fogliame ed è nota per le sue bacche nelle quali sono racchiusi i preziosi chicchi da cui si produce il caffè, bevanda amata e bevuta in tutto il mondo. Originaria dell’Africa orientale, in particolare dell’Etiopia, si tratta di una pianta sempreverde, che può essere coltivata sia per la produzione del caffè, ma anche a scopo ornamentale.

    Dove posizionare la Pianta del caffè
    Chiamata a livello botanico Coffea arabica, la pianta del caffè fa parte della famiglia delle Rubiaceae, è presente in numerose varianti ed è contraddistinta da un portamento arbustivo. Coltivata a scopi produttivi nelle zone tropicali e subtropicali, in altre aree è impiegata come pianta decorativa in giardini, terrazzi e appartamenti.

    Dalla coltivazione semplice, essendo un arbusto tropicale, il freddo è il suo nemico numero uno e, pertanto, bisogna evitare di collocare la pianta in ambienti con climi sotto i 14 gradi, prediligendo temperature tra i 18 e i 21 gradi. Durante il periodo estivo, resiste alle alte temperature, potendo essere posizionata all’aperto in un luogo ventilato e con un buon ricambio d’aria, per scongiurare l’attacco di eventuali parassiti. Bisogna anche sottolineare come la pianta del caffè richieda un alto tasso di umidità e una buona illuminazione, evitando tuttavia i raggi del sole diretti che potrebbero bruciarne le foglie. In caso di sole diretto, durante la stagione estiva la pianta soffre e sulle foglie possono comparire delle macchie marroni.

    Coltivazione in vaso e in giardino della pianta del caffè
    Se si coltiva la pianta di caffè in giardino è necessario posizionarla in una zona soleggiata oppure in mezz’ombra, controllando che il terreno sia acido, ricco e nutriente. Le piantine dovranno essere posizionate a mezzo metro di distanza tra loro, per garantirne uno sviluppo veloce, e a una profondità di semina tra un centimetro e un centimetro e mezzo. La pianta può essere moltiplicata anche per talea. Solo in determinate condizioni può fiorire, ma questo accade dopo 3 anni dalla sua messa a dimora.

    Grazie alle sue splendide foglie lucide e al portamento leggero, la pianta del caffè è molto ornamentale: in appartamento l’arbusto mantiene piccole dimensioni, raggiungendo un’altezza massima di 120 centimetri, e non produce né frutti, né fiori. Per coltivare in vaso la pianta del caffè è necessario ricorrere a un contenitore di circa 25 centimetri, evitando quelli troppo grandi, in quanto le sue radici tendono a rimanere strette, senza espandersi troppo. All’interno del recipiente va inserito del terriccio drenante con pH acido e del fertilizzante. I semi, dodici ore prima di essere piantati in vaso, vanno lasciati in ammollo in acqua a temperatura ambiente, aumentando così la loro capacità di produrre germogli ed evitando che si gonfino. Dopo questo passaggio, vanno posizionati nel terriccio a un centimetro di profondità per poi collocare il vaso in un ambiente luminoso e caldo.

    Per far crescere al meglio la pianta del caffè, il terreno va mantenuto umido, evitando però di bagnarlo eccessivamente, in quanto in caso di ristagni d’acqua le radici tendono a marcire: durante il periodo estivo può essere conservata all’esterno, mentre da settembre in avanti è cruciale riportarla in casa. La pianta del caffè può essere anche piantata in una tazza da posizionare vicino alla finestra, ma evitando la luce solare diretta: quando l’arbusto cresce è necessario travasarlo in un vaso più grande.

    Quanta acqua richiede la pianta del caffè
    Per quanto riguarda la cura della pianta del caffè l’irrigazione è un aspetto a cui prestare particolare attenzione: infatti, l’arbusto richiede molta acqua, ma gli stress idrici sono suoi nemici. Il terreno va mantenuto sempre umido, controllando che non diventi arido. Quando risulta asciutto è necessario annaffiarla con dell’acqua non troppo fredda, inoltre, nel momento in cui le foglie appaiono appassite e abbassate significa che c’è la necessità di darle da bere.
    La concimazione della pianta del caffè deve essere eseguita regolarmente durante la primavera e l’estate, stimolando così la crescita delle foglie. L’arbusto richiede una potatura periodica, che è più che altro un’operazione di pulizia volta a rimuovere le parti secche e quelle diventate troppo lunghe, consentendo di garantire la corretta ventilazione all’interno del fogliame e di mantenere la sua chioma compatta. La pianta del caffè è molto sensibile e potrebbe essere attaccata da parassiti come afidi, ragnetto rosso e cocciniglia, dovendo intervenire con prodotti ad hoc per contrastarli in modo tempestivo. Tra i problemi più comuni che possono colpirla spiccano la ruggine, l’antracnosi e la clorosi, dettata da microelementi carenti.

    Pianta del caffè: fioritura e semi
    La fioritura della pianta del caffè coincide con la primavera, periodo in cui presenta meravigliosi fiori bianchi a forma di stella. In seguito fanno la loro comparsa i frutti, chiamati drupe: si tratta di bacche dapprima verdi che, con la maturazione, diventano di un rosso intenso. Simili alle ciliegie, al loro interno sono custoditi dei semi che una volta lavorati e tostati si trasformano nel caffè. Per far sì che i suoi semi vengano generati è necessario un clima caldo e umido, tipico delle zone tropicali ed equatoriali. LEGGI TUTTO

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    Dal clima alla biodiversità: al via la 40esima spedizione scientifica italiana in Antartide

    Dal clima alla biodiversità. Questi i grandi settori di ricerca della 40esima spedizione italiana in Antartide, il luogo che da circa 15 milioni anni contribuisce in modo essenziale al bilancio termico della Terra. Nei giorni scorsi il primo gruppo di tecnici sono arrivati alla stazione Mario Zucchelli sul promontorio di Baia Terra Nova, che fino a febbraio 2025 vedrà impegnati 140 tra ricercatori, ricercatrici e tecnici in progetti di glaciologia, climatologia, sismologia, geomagnetismo e biodiversità. Le attività di ricerca si svolgeranno anche a bordo della nave rompighiaccio Laura Bassi salpata in questi giorni verso la nuova Zelanda, dove arriverà a fine novembre e da lì inizierà il suo viaggio verso l’Antartide il 9 dicembre con a bordo 28 unità di personale tecnico-scientifico.

    Perchè l’Antartide
    Le missioni italiane in Antartide vanno avanti da quasi 40 anni. Sono infatti iniziate il 23 dicembre 1985, con il Programma Nazionale di Ricerche (Pnra), finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca (Mur) e gestito dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) per il coordinamento scientifico, da Enea per la pianificazione e l’organizzazione logistica delle attività presso le basi antartiche e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) per la gestione tecnica e scientifica della nave rompighiaccio “Laura Bassi”.

    La nave italiana rompighiaccio Laura Bassi  LEGGI TUTTO

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    Cop16 sulla biodiversità in Colombia, ultima chiamata per proteggere il Pianeta

    Ci sono decisioni, che verranno prese nel giro di un mese, che sulla carta hanno la potenzialità di rimodellare gli equilibri naturali del nostro Pianeta e salvare il futuro dell’umanità. Oggi in Colombia inizia a Cali la Cop16, grande Conferenza delle Parti sulla Biodiversità guidata dalle Nazioni Unite, seguita poi dalla Cop29 sul clima in Azerbaijan a Baku (dall’11 novembre).

    A Cali si ritroveranno i rappresentati di 196 Paesi, oltre 12 mila delegati e circa dieci capi di stato, che avranno un compito: trasformare in realtà le promesse e gli impegni presi due anni fa durante l’accordo di Kunming-Montreal, alla Cop canadese, dove sono stati stabiliti 23 target e quattro obiettivi per tentare di preservare la natura in questo decennio. Il primo passo alla Cop15 di Montreal del 2022 era stato riconoscere l’enorme perdita di biodiversità mondiale nell’ultimo secolo, una distruzione della natura senza precedenti, che sta andando oltre i limiti mettendo a rischio gli equilibri naturali e dunque anche il futuro della nostra specie.

    Conferenza Onu

    Finanza climatica e taglio alle emissioni: ecco cosa chiederà l’Ue alla Cop29 a Baku

    di  Luca Fraioli

    15 Ottobre 2024

    Tutela ecosistemi: strategie e impegni
    Perché il punto centrale è proprio questo: con o senza di noi la natura sopravviverà ai cambiamenti in atto, come ha fatto per milioni di anni, ma siamo noi che rischiamo di non fare più parte di questo progetto se continuiamo ad agire interrompendo i cicli naturali di piante, animali ed ecosistemi. Primo obiettivo: piani nazionali per proteggere il 30% di terre e mari. Come è stato deciso in Canada ogni Paese del mondo dovrà ora impegnarsi, ed è scritto nero su bianco nei target, a proteggere il 30% della terra e dei mari, a ridurre i rischi legati all’abuso di pesticidi e a ripristinare il 30% delle aree degradate in modo da arginare la perdita di specie ed ecosistemi entro il 2030. In sostanza, un impegno ad agire con “urgenza” prima che – come sta già accadendo a causa della crisi climatica – certi processi diventino irreversibili.

    Solo 29 Stati su 196 hanno un Piano sulla biodiversità
    Il vertice di Cali dovrebbe certificare proprio questo: quanto stiamo agendo con urgenza? Ci stiamo realmente preparando? Per ora, in attesa delle decisioni che verranno prese alla Cop16, le risposte appaiono insufficienti. Il tema centrale della Conferenza colombiana è infatti l’attuazione dell’accordo del 2022, ma sono pochissimi i Paesi che hanno davvero pianificato per riuscirci: solo 29 stati su 196 sono quelli che a metà ottobre hanno presentato strategie nazionali sulla biodiversità. Quasi l’80% dei Paesi non ha ancora avviato iter concreti. Per cui a Cali ci si attende, anche se non è scontato, che altri Stati facciano un passo avanti presentando e pubblicando i loro piani. Come intendono, le varie nazioni, proteggere davvero il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030? Una domanda chiave, visto che finora secondo gli ultimi dati pubblicati dal Wwf, elaborati in base alle cifre delle Nazioni Unite, a settembre solo l’8,35% dei mari e il 17,5% delle terre emerse sono considerabili “protetti”.

    Biodiversità

    Le piante “emigrano” e si spostano verso Ovest

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    15 Ottobre 2024

    Finanziamenti e risorse genetiche
    Un secondo obiettivo chiave per la Cop16 è capire a che punto sono i finanziamenti, da parte dei Paesi più sviluppati, per aiutare quelli in via di sviluppo. L’impegno preso due anni fa era di stanziare 20 miliardi di dollari l’anno per la biodiversità entro il 2025 e 30 miliardi entro il 2030. Le ultime stime, dell’Ocse, parlano di raccolte intorno ai 15,4 miliardi di dollari ma mancano certezze sia per lo sblocco dei finanziamenti, sia per la creazione di un fondo autonomo che i Paesi in via di sviluppo chiedono da tempo.
    Anche alla Cop16 dunque, come in quella del clima che si terrà a Baku, la questione finanziamenti sarà centrale: senza fondi, sarà complesso soprattutto per i Paesi meno abbienti poter centrare i loro obiettivi.

    Come ha spiegato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres in un messaggio in apertura della Cop16 servono dunque “investimenti significativi” perché bisogna “onorare le promesse fatte in termini di finanziamenti e di accelerare il sostegno ai Paesi in via di sviluppo. Il collasso delle risorse naturali, quali l’impollinazione e l’acqua potabile, causerebbe una perdita annuale di trilioni di dollari per il mondo dell’economia globale”.

    Cop16

    In Colombia 115 comunità indigene diventano “autorità ambientali”

    di  Fiammetta Cupellaro

    17 Ottobre 2024

    Altro punto chiave sarà poi quello relativo alle risorse genetiche e il consenso, di queste, da parte di chi preserva le conoscenze tradizionali: il protocollo di Nagoya sull’Accesso alle Risorse Genetiche e l’equa condivisione dei benefici derivanti da loro stabilisce che vanno “tenuti in considerazione tutti i diritti riguardanti quelle risorse e quelle tecnologie e i fondi opportuni, contribuendo in tal modo alla conservazione della diversità biologica e all’uso sostenibile dei suoi componenti”.

    In sostanza, i soggetti che forniscono tali risorse devono beneficiare dei vantaggi anche economici, per esempio nella cosmesi e la farmaceutica, derivanti dal loro utilizzo, ma per ora buona parte di queste risorse – soprattutto in termini di sequenze genetiche digitalizzate (DSI, Digital Sequence Information) – sono a beneficio quasi esclusivo delle economie più forti. La speranza è che a Cali si trovi un’intesa per stabilire un sistema globale di condivisione degli utili.

    La tutela e il coinvolgimento dei popoli indigeni cruciale cruciali per la sfida sul clima  LEGGI TUTTO

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    Cop16, un’occasione cruciale per salvare la natura

    Da oggi fino al primo novembre i governi di tutto il mondo si riuniranno a Cali, Colombia, per la sedicesima conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (COP16), con l’obiettivo di fare progressi sugli impegni concordati nel quadro globale per la biodiversità adottato nel 2022 durante la COP15. Greenpeace sarà presente all’incontro per chiedere di implementare correttamente e urgentemente questo accordo, che rappresenta una grande opportunità per proteggere e ripristinare ecosistemi fondamentali per la salute del pianeta, in modo equo e giusto.“Stiamo per scoprire quanto i governi del mondo siano realmente intenzionati a fermare la drammatica perdita di biodiversità sul nostro pianeta. È il momento di mostrare le proprie carte: vedremo chi agirà concretamente e chi ostacolerà i progressi necessari. La COP16 è un momento decisivo”, ha dichiarato An Lambrechts, responsabile della delegazione di Greenpeace alla COP16.

    “La lotta contro i cambiamenti climatici è strettamente legata alla protezione della natura. Le azioni previste dalle convenzioni sulla biodiversità devono andare di pari passo con quelle per la protezione del clima ed essere riconosciute come fondamentali per proteggere le persone e il pianeta. Non possiamo permetterci ulteriori ritardi: i governi devono arrivare a Cali pronti a mantenere le promesse”.Greenpeace chiede l’attuazione del quadro globale sulla biodiversità di Kunming-Montreal, che impegna i paesi a stanziare 20 miliardi di dollari entro il 2025, destinati a diventare 30 miliardi entro il 2030, garantendo l’accesso diretto ai finanziamenti a popoli indigeni e comunità locali.Inoltre, secondo Greenpeace sarà essenziale arrivare a un accordo formale che metta in sinergia gli impegni assunti per la protezione del clima e quelli per la protezione della biodiversità, a livello internazionale e nazionale, e che riconosca la protezione dell’integrità degli ecosistemi come misura centrale. L’associazione ambientalista, infine, chiede l’implementazione ambiziosa delle strategie e dei piani nazionali per la biodiversità (NBSAPs) e la creazione di un meccanismo per l’identificazione e la protezione delle aree marine ecologicamente e biologicamente significative, che tenga conto degli interessi e dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Definire queste aree sarà cruciale per rispettare l’obbligo di proteggere il 30% degli oceani del mondo entro il 2030, così come previsto dal quadro globale sulla biodiversità di Kumming-Montreal, e per una rapida e positiva attuazione del nuovo Trattato ONU sugli oceani, una volta entrato in vigore.

    Per mandare un messaggio chiaro ai governi in vista della COP16, nei giorni scorsi, attivisti e attiviste di Greenpeace hanno organizzato manifestazioni pacifiche in 13 paesi in tutto il mondo chiedendo di smettere di finanziare la distruzione della biodiversità e di proteggere e ripristinare la natura. A Cali, attivisti di Greenpeace Andino hanno srotolato uno striscione alto 70 metri con il messaggio: “Action for Nature, Now” (Azione per la Natura, Ora), un forte appello ai governi per un’azione globale urgente a tutela della biodiversità. LEGGI TUTTO

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    Il caso Madrid e le ondate di calore in città: quali sono i quartieri più a rischio

    Soprattutto in città, le ondate di calore sono un pericolo crescente per la nostra salute. Ma quali sono i quartieri più a rischio? E quali lo saranno in futuro? La risposta arriva da un gruppo internazionale di ricercatori che ha utilizzato Madrid come caso di studio per individuare le zone più vulnerabili all’aumento delle temperature. Lo studio – pubblicato su Earth’s Future – mostra che il livello di vulnerabilità alle ondate di calore può variare in modo sostanziale all’interno dei centri urbani: un elemento che dipende dalla distribuzione di specifici sottogruppi della popolazione come anziani, donne e persone con basso status socio-economico.

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    Cosa possono fare le città per combattere il caldo estremo

    di Giacomo Talignani

    16 Agosto 2023

    “Per capire come distribuire e dove concentrare le azioni di lotta e mitigazione del cambiamento climatico nelle città è fondamentale avere informazioni dettagliate a livello locale, su singole aree e quartieri”, spiega Raya Muttarak, professoressa al Dipartimento di Scienze Statistiche “Paolo Fortunati” dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “Per questo – aggiunge Iulia Marginean, ricercatrice di CICERO (Center for International Climate Research, Oslo, Norway), prima autrice dello studio – abbiamo sviluppato un metodo che, a partire da una serie di dati spaziali e demografici, permette di prevedere i livelli di vulnerabilità alle ondate di calore con un’elevata risoluzione geografica”.

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    Cosa possono fare le città per combattere il caldo estremo

    di Giacomo Talignani

    16 Agosto 2023

    Oggi sappiamo che l’aumento delle temperature e delle ondate di calore è associato a un aumento delle malattie e delle morti premature. Sappiamo che più di un terzo dei decessi legati alle alte temperature (nel 2023 sono stati oltre 47 mila solo in Europa) può essere attribuito al cambiamento climatico causato dall’uomo. E sappiamo anche che le città sono più calde delle aree rurali circostanti. Se a tutto questo aggiungiamo che le aree urbane diventeranno sempre più popolose e che la popolazione diventerà sempre più anziana, è evidente la necessità di adottare misure efficaci per contrastare gli effetti del cambiamento climatico.

    Per capire quali sono e quali saranno le zone più a rischio, gli studiosi hanno preso in considerazione le principali caratteristiche socio-demografiche connesse a una maggiore vulnerabilità alle temperature elevate. Tra queste, emergono in particolare l’età avanzata, il sesso femminile e un basso status socio-economico. Il modello è stato poi applicato al caso di Madrid: la Spagna è infatti uno dei paesi europei con il più elevato tasso di mortalità connessa alle alte temperature e la sua capitale è stata colpita anche quest’anno da prolungate ondate di calore.

    Clima

    Basta poco per rendere più fresche le nostre città

    di Viola Rita

    12 Settembre 2024

    “Dalla nostra analisi è emerso che ci sono importanti differenze nel livello di vulnerabilità all’aumento delle temperature tra diverse aree della città e anche tra zone diverse di singoli quartieri”, dice Muttarak. “Le popolazioni più vulnerabili si trovano già oggi nelle aree più svantaggiate della città e la loro condizione è destinata a peggiorare nei prossimi anni se non arriveranno interventi mirati per promuovere una traiettoria di sostenibilità in grado di ridurre le dinamiche di vulnerabilità a favore di un cambiamento più uniforme e resiliente”. Dall’analisi è emerso ad esempio il caso di El Goloso, quartiere periferico a nord di Madrid abitato per il 73% da persone con più di 65 anni: un dato che rende l’area la più vulnerabile alle alte temperature rispetto al parametro dell’età. Se si considera invece lo status socio-economico, sono i quartieri nell’area sud-est della città, ad esempio Villa de Vallecas, i più vulnerabili.

    “Per ridurre la vulnerabilità alle ondate di calore è fondamentale seguire un percorso di sviluppo sostenibile che punti a una rapida diminuzione delle emissioni”, conclude Marginean. “In questo contesto, le soluzioni più efficienti sono quelle che coinvolgono in modo mirato i gruppi sociali più colpiti dagli effetti negativi del cambiamento climatico e aumentano la loro capacità di resilienza”, conclude Muttarak.

    Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Earth’s Future con il titolo “High-resolution Modelling and Projecting Local Dynamics of Differential Vulnerability to Urban Heat Stress”. Per l’Università di Bologna ha partecipato Raya Muttarak, professoressa al Dipartimento di Scienze Statistiche “Paolo Fortunati” e Principal Investigator del progetto ERC-Consolidator POPCLIMA – Population Dynamics under Global Climate Change. LEGGI TUTTO

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    Perché le pompe di calore convengono al portafogli e all’ambiente

    Il futuro del riscaldamento in Europa è elettrico, e le pompe di calore in prospettiva dovranno essere l’unica tipologia di impianto da installare nel rispetto della direttiva “case green”. Le pompe di calore, infatti, sono in grado di contribuire in maniera significativa alla riduzione delle emissioni di CO2, e per questo saranno ulteriormente incentivate mentre dal 2025 scatta lo stop agli incentivi fiscali per le caldaie a gas e il divieto di utilizzo dal 2040. Per fare il punto sulle potenzialità delle pompe di calore in funzione di transizione energetica è stata istituita per il 21 ottobre la prima Giornata Mondiale delle Pompe di Calore (Heat Pump Day), coordinata dall’EHPA, l’European Heat Pump Association. Emanate dalla Commissione Ue anche le linee guida per gli incentivi.

    Pompe di calore e riduzione delle emissioni
    Secondo i dati dell’EHPA, ci sono attualmente 24 milioni di pompe di calore installate in Europa, Complessivamente evitano il consumo di 5,5 miliardi di metri cubi di gas e di 45 megatonnellate di emissioni di anidride carbonica ogni anno. Gli impianti di questo tipo, infatti, si basano su un sistema di scambio di calore con l’ambiente esterno, sfruttando non solo l’energia elettrica. Le prestazioni sono misurate dai parametri COP e EER. Il COP, Coefficient Of Performance, indica l’efficienza elettrica di un climatizzatore mentre funziona in riscaldamento ed è dato dal rapporto tra resa termica (calore ceduto al mezzo da riscaldare) ed energia elettrica consumata, mentre l’EER, Energy Efficiency Ratio indica l’efficienza elettrica di un climatizzatore mentre funziona in raffreddamento. Un climatizzatore con valori di EER e COP uguali a 4 produrrà quattro unità di energia termica per ogni unità di energia elettrica prelevata dalla rete, in quanto le altre tre unità vengono dal prelievo dall’ambiente esterno.

    Fisco verde

    Riscaldamento, tapparelle, elettrodomestici e pannelli solari: come risparmiare in casa entro fine anno

    di  Antonella Donati

    25 Settembre 2024

    La rete e i combustibili da fonti rinnovabili
    Proprio in vista delle novità in vigore dal 1° gennaio 2025 la Commissione Ue ha varato le linee guida agli Stati membri per la graduale eliminazione degli incentivi finanziari per le caldaie alimentate solo da combustibili fossili, lasciando la possibilità di mantenere, in via transitoria, solo quelli per gli impianti ibridi. Quando si tratta di caldaie con un solo generatore di calore, il documento specifica che rientrano in questa categoria solo gli impianti che al momento della loro installazione vengono alimentati dalla rete locale con un mix di combustibili che provengono anche da fonti rinnovabili come biometano e idrogeno verde. Ossia i combustibili verdi debbono già essere presenti nella rete, mentre non si deve tener conto delle potenzialità future.

    Fisco verde

    Riscaldamento, torna il bonus per rinnovare l’impianto con biomassa o pompa di calore

    di Antonella Donati

    11 Settembre 2024

    Impianti ibridi con gli incentivi ma solo se la quota di rinnovabili è rilevante
    Maggior favore, invece, può essere riservato agli impianti autonomi che abbinano una caldaia a gas con pompe di calore e/o solare termico, ossia che presentano due generatori di calore in grado di attivarsi indipendentemente. La caldaia a gas in questo caso interverrà solo a fronte di temperature troppo basse per garantire un funzionamento ottimale della pompa di calore. L’incentivo per l’installazione potrà comunque essere ancora consentito solo se la quota di energia rinnovabile utilizzata è rilevante. Spetta ai singoli Stati fare i conteggi in merito alla quota in questione, ma comunque poiché l’obbiettivo finale della direttiva è quello di eliminare l’uso di combustibili fossili nelle caldaie, i sistemi di riscaldamento ibridi dovrebbero essere incentivati ??solo come soluzione transitoria. Per questo il documento della Commissione invita a prevedere incentivi proporzionali alla quantità di energia rinnovabile utilizzata, prevedendo le agevolazioni più significative solo per quelli basati al 100% su energia rinnovabile, ossia a quelli che si basano solo sulle pompe di calore. LEGGI TUTTO

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    Un nuovo tessuto con polimero e lana ci salverà dal caldo riflettendo le radiazioni

    Le temperature globali continuano a crescere e la fetta di popolazione mondiale esposta alle ondate di calore, che investono con particolare forza le aree urbane, aumenta ogni anno. Secondo uno studio pubblicato nel 2019 su The Lancet Planetary Healtg dal 2000 al 2019 in tutto il mondo si sono verificati circa 489 mila decessi all’anno a causa del caldo. In questo contesto è importante agire per risolvere il problema a monte, riducendo cioè le emissioni di gas serra. Dall’altro lato, prosegue la ricerca per la messa a punto di materiali e capi di abbigliamento che aiutino a disperdere il calore corporeo e, magari, anche quello degli ambienti interni di case, uffici e altri luoghi di lavoro.

    Cambiamento climatico

    Copernicus: “Dopo settembre, probabile che il 2024 sia l’anno più caldo di sempre”

    08 Ottobre 2024

    Secondo uno studio pubblicato su Science Bulletin, un gruppo di ricercatori della Zhengzhou University (Cina) e della University of South Australia ha descritto una nuova stoffa pensata proprio per riflettere i raggi solari e disperdere in modo efficace il calore. “A differenza dei tessuti convenzionali che trattengono il calore, questi tessuti sono composti da tre strati progettati per ottimizzare il raffreddamento”, spiega Yangzhe Hou, uno dei coordinatori dello studio. Lo strato più esterno, spiegano ancora i ricercatori, è fatto di fibre di polimetil pentene, un polimero che aiuterebbe a disperdere efficientemente il calore.

    Unione Europea

    Pfas, le nuove regole Ue sulle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute

    di  Cristina Bellon

    24 Settembre 2024

    Come funziona
    Lo strato intermedio, costituito da nano-fibre di argento, è stato invece pensato per riflettere le radiazioni del sole e ridurre quindi la quantità di calore che raggiunge il corpo. Infine, lo strato più interno è fatto di lana, un materiale utilizzato anche in alcuni tipi di abbigliamento tecnico e che dovrebbe permettere la traspirazione della pelle senza trattenere una quantità eccessiva di calore.

    “Nel nostro esperimento – prosegue Hou -, se posizionato verticalmente, il tessuto è risultato più fresco di 2,3°C rispetto ai tessuti tradizionali e fino a 6,2°C rispetto all’ambiente circostante se utilizzato come rivestimento orizzontale”. Attualmente, spiegano i ricercatori, il processo di produzione di questa stoffa è abbastanza costoso e saranno necessarie ulteriori indagini per verificare la durata a lungo termine del materiale prima che possa essere commercializzato.
    Non solo abbigliamento
    Recentemente, un altro studio pubblicato su Science, un altro gruppo di ricercatori aveva proposto un materiale con uno scopo simile. In entrambi i casi, l’obiettivo futuro degli autori dei due studi sarebbe quello di implementare anche versioni leggermente modificate di questi materiali, che possano essere utilizzate non solo nel contesto dell’abbigliamento, ma anche per esempio nella costruzione di edifici, automobili o nel settore del packaging alimentare. Con lo scopo appunto di ridurre il calore all’interno di uffici e abitazioni o la necessità di refrigerazione per il trasporto di alimenti sensibili al calore. LEGGI TUTTO