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    L’auto a zero emissioni costruita secondo i principi dell’economia circolare

    Con l’obiettivo di creare un polo produttivo di mini car e veicoli commerciali nel cuore delle Marche sul modello delle kei car giapponesi (che in questo periodo stanno catalizzando l’attenzione di molti produttori e consumatori), Mole Urbana è una startup che offre veicoli a zero emissioni, compatti ed efficienti, destinati a chi si deve muovere in città, che si tratti di mobilità privata o di professionisti. Il primo sito di produzione, in Piemonte, è una nano factory frutto di un’operazione di recupero immobiliare. La struttura è stata ripristinata architettonicamente con soluzioni ecologiche, come la riqualificazione del tetto, prima in amianto, ora sostituito con otto mila metri quadri di pannelli solari. Analogamente, il secondo sito produttivo, localizzato nel territorio di Fabriano, avrà caratteristiche architettoniche mirate all’autoproduzione di energia elettrica. Si tratta di veicoli compatti ed efficienti progettati per ottimizzare spazio ed energia, la startup mira infatti a creare un prodotto totalmente green.

    Nel dettaglio, il progetto Mole Urbana ha analizzato l’evoluzione dell’automobile, dalla Ford Model T ai modelli contemporanei, osservando come si sia persa la missione originaria: trasportare persone e cose in modo essenziale. La continua ricerca di comfort estremo, spesso in contrasto con i reali bisogni, ha evidenziato la necessità di tornare alla semplicità anziché alla complessità.

    I veicoli utilizzano alluminio riciclato da lattine
    L’attenzione alla sostenibilità si riflette sia nei materiali impiegati sia nei processi produttivi. I veicoli utilizzano alluminio riciclato da lattine, acciaio inox proveniente da metalli di recupero, ABS riciclato per i componenti termoplastici e legno recuperato per finiture interne. Inoltre, tutti i componenti sono facilmente disassemblabili, evitando collanti o schiume, per favorire il riciclo a fine vita.

    Anche i processi produttivi sono progettati per essere poco energivori: non vengono utilizzate presse per stampaggio o stampi a iniezione per i polimeri, preferendo tecniche come trafilatura, estrusione e termoformatura. Inoltre, è stata posta particolare attenzione all’utilizzo dell’acqua, adottando metodi innovativi che ne limitano gli sprechi, distinguendosi così dalle pratiche tradizionali del mondo automotive. Queste metodologie garantiscono un importante valore green all’intera catena produttiva. Nella Regione Marche si è progressivamente consolidata una stretta collaborazione con un gruppo di industriali, finanziari e risparmiatori. Tant’è che è stato possibile creare una filiera di fornitori che ha preso origine nelle Marche per poi espandersi in tutta Italia. Partner industriali, anche provenienti da settori al di fuori dell’automotive, hanno contribuito allo sviluppo di un concept produttivo innovativo e sostenibile.

    I primi modelli nel 2025
    Oggi, Mole Urbana si inserisce in un mercato in forte espansione, con una crescita del 30% nel 2023 rispetto all’anno precedente e un ulteriore incremento del 35% registrato nel primo semestre del 2024. La gamma di veicoli è stata progettata per rispondere alle diverse esigenze quotidiane: include modelli per 2 o 4 persone, oltre a 4 versioni specifiche per il mondo del lavoro. Per ottimizzare gli investimenti, gli 11 modelli in sviluppo condividono telaio, meccanica ed elettrificazione. Si tratta di un progetto fortemente made in Italy, con veicoli disegnati, progettati e costruiti in Italia, utilizzando il 99% di componenti italiani (ad eccezione delle celle di origine cinese). La sicurezza è uno degli elementi centrali, grazie a una carrozzeria dotata di solidi roll-bar ispirati alle auto da corsa e a un avantreno progettato per collassare in caso di impatto, evitando di coinvolgere gli occupanti. I primi modelli secondo il cronoprogramma saranno messi in vendita nel 2025.

    Gli investimenti in Mole Urbana
    MU-Fabriano srl, la startup che produce i veicoli elettrici della gamma Mole Urbana, disegnata e progettata dal designer Umberto Palermo e il suo team di lavoro, ha appena chiuso un aumento di capitale di 3,5 milioni di euro, sottoscritto da CDP Venture Capital (tramite il Fondo Green Transition), dal Piemonte Next e da un gruppo di industriali e investitori marchigiani. CDP Venture Capital ha sottoscritto l’aumento di capitale attraverso il Fondo Green Transition che utilizza risorse stanziate dalla UE tramite l’iniziativa da Next Generation EU con l’obiettivo di stimolare la crescita di un ecosistema di innovazione nei settori della transizione green, e attraverso il co-investimento del fondo PiemonteNext, istituito e gestito da CDP Venture Capital e sottoscritto dalla finanziaria regionale FinPiemonte per massimizzare gli investimenti in innovazione destinati al territorio. LEGGI TUTTO

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    L’ardisia, come curare la pianta dalle bacche rosse

    L’ardisia è un genere di arbusti sempreverdi che comprende numerose specie, tra le quali, la crenata (o crispa) è una delle più diffuse per la coltivazione a scopo ornamentale. L’ardisia appartiene alla famiglia delle primulacee e le sue origini sono da ricercare principalmente tra le aree calde dell’Asia e l’Africa. Il suo habitat naturale è soprattutto all’interno delle foreste, ma anche nelle zone collinari: in questo ambiente, l’arbusto può raggiungere un’altezza di diversi metri. L’ardisia è contraddistinta dalle foglie alterne di color verde scuro e coriacee, nonché da una bella fioritura a pannocchia, che talvolta è resa ancor più spettacolare dalla presenza contemporanea delle bacche dai colori vivaci.

    È una pianta da esterno o interno?
    Per rispondere a questa domanda, consideriamo che la temperatura ideale di coltivazione dell’ardisia durante il periodo compreso tra la primavera e l’estate è di 20 gradi. Se esponiamo l’arbusto a temperature più elevate, provochiamo l’appassimento e la perdita di foglie e bacche. Durante l’autunno e l’inverno, invece, l’ardisia dev’essere riposta in un ambiente dove la temperatura è costantemente attorno ai 15 gradi. A seconda delle condizioni climatiche della regione in cui viviamo, l’ardisia è principalmente coltivabile all’interno del nostro appartamento o casa.

    L’esposizione
    Scegliamo un ambiente interno molto luminoso per coltivare con successo la nostra ardisia. Ricordiamoci però di non esporre l’arbusto al soleggiamento diretto, almeno nel periodo primaverile-estivo, poiché i raggi solari provocano la comparsa di macchie sulle foglie. Tra l’autunno e l’inverno, invece, l’esposizione al sole diretto non risulta essere troppo problematica. Evitiamo infine che l’ardisia sia esposta alle correnti d’aria fredda o alle fonti di calore diretto.

    Il terreno suggerito per la coltivazione
    L’ardisia predilige i terreni fertili, con una buona quantità di materia organica, nonché soffici e con un drenaggio ottimale. Per evitare che si verifichi il ristagno idrico, possiamo quindi aggiungere della sabbia dalla granulometria elevata al terreno di coltivazione. L’arbusto è caratterizzato da una crescita molto lenta, motivo per il quale dovremo preoccuparci di rinvasare l’ardisia circa ogni 3 anni. Quando sostituiamo il vaso, scegliamo un contenitore dal diametro di un paio di centimetri più ampio rispetto al precedente. Nel periodo che intercorre tra un rinvaso e l’altro, possiamo anche prevedere di sostituire i primi 2 centimetri di terriccio superficiale, così da assicurare all’arbusto un terreno di coltivazione ben fertile.

    L’innaffiatura, la concimazione e la potatura
    Durante la primavera e l’estate, ricordiamoci di mantenere costantemente umido il terreno, senza però inzupparlo: possiamo attendere che sia asciutto in superficie prima di innaffiare nuovamente. In caso di periodi di caldo particolarmente intenso e secco, nebulizziamo le foglie con dell’acqua demineralizzata. Nel periodo tra l’autunno e l’inverno, l’ardisia non ha bisogno di annaffiature regolari: anche in questo caso, possiamo aspettare che il terreno sia asciutto prima di innaffiare nuovamente l’arbusto. Per favorire lo sviluppo della pianta, tra la primavera e l’estate possiamo aggiungere del fertilizzante liquido all’acqua di innaffiatura, almeno 3 volte al mese. Infine, possiamo prevedere una potatura primaverile qualora la nostra ardisia si sviluppasse in modo poco ordinato: eliminiamo i rami che tendono a svettare troppo, mantenendo come riferimento l’altezza del fusto. Per evitare di provocare danni all’arbusto, accertiamoci sempre di aver disinfettato accuratamente i nostri utensili.

    La propagazione per talea
    Per propagare l’ardisia, attendiamo sempre il periodo primaverile. Ricaviamo delle talee lunghe circa 10 centimetri a partire dai germogli dei rami secondari. Ricordiamoci sempre di tagliare al di sotto del nodo e, soprattutto, di rimuovere le foglie che si trovano alla base della talea. Per favorire l’attecchimento, possiamo utilizzare la polvere che stimola lo sviluppo delle radici. Riponiamo quindi le nostre talee in vasi di circa 10 centimetri di diametro, scegliendo una miscela di torba e sabbia. Manteniamo costantemente umido il terreno e ricoveriamo i nostri vasi in un ambiente molto luminoso e dove ci siano almeno 25 gradi. Se le nostre talee si svilupperanno correttamente, dopo circa 2 mesi vedremo comparire i primi germogli.

    La fioritura e i frutti
    L’ardisia crenata produce delle particolari infiorescenze a pannocchia, con fiori a forma di stella di colore bianco e dal profumo delicato, che di solito fanno la loro comparsa tra i mesi di giugno e luglio. Nel periodo autunnale, l’arbusto ci regala anche delle bacche rosse vivide e lucide, le quali possono restare sull’ardisia addirittura fino alla fioritura dell’anno seguente.

    I parassiti
    L’ardisia può essere attaccata dalla cocciniglia farinosa: se notiamo la presenza dei caratteristici fiocchi sulle foglie, possiamo utilizzare un batuffolo di ovatta imbevuto di alcool per rimuoverli. Se l’infestazione è già abbastanza estesa, usiamo un antiparassitario ad hoc. L’arbusto può essere anche colpito dagli afidi, soprattutto sulle parti più giovani: per eliminarli, usiamo un prodotto fitosanitario specifico. Se ci accorgiamo che l’ardisia perde le foglie o le ha secche, significa che l’arbusto è esposto a temperature troppo elevate: ricoveriamolo in un ambiente con al massimo 20 gradi. LEGGI TUTTO

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    Antartide, con la diminuzione dei ghiacci aumentano le tempeste

    Un effetto domino, per cui, facendo cadere una sola tessera, a seguire cadono anche tutte le altre. E’ quanto si osserva quando, sul nostro Pianeta, vengono alterate alcune condizioni climatiche. Nel caso specifico: quando il ghiaccio marino diminuisce, la conseguenza è (anche) la crescita delle tempeste. Un effetto domino di cui non conosciamo ancora l’entità, ma sarebbe quanto mai opportuno porre rimedio a queste lacune per capire quello che ci attende nel prossimo futuro, se il trend attuale dovesse mantenersi.

    A raccontare tutto questo è una ricerca pubblicata su Nature, che ha analizzato i dati meteorologici e satellitari delle acque antartiche. Oggetto del lavoro, guidato dai ricercatori del National Oceanography Centre di Southampton (nel Regno Unito), è stato analizzare la portata e le conseguenze della drammatica perdita di ghiaccio marino osservata in Antartide negli ultimi anni, specialmente nel 2023 (un anno da record anche per l’aumento delle temperature). Finora infatti, scrivono gli scienziati, la ricerca si era concentrata più sulle cause che avevano determinato la perdita di ghiaccio che nel cercare di capire quali conseguenze questo avrebbe avuto. In particolare, come la perdita di ghiaccio altera gli scambi di calore tra mare e aria? Nel 2023, nel periodo tra giugno e luglio, si sono osservate estese riduzioni nella copertura del ghiaccio marino, rispetto alla media dello stesso periodo tra 1991–2020 (in alcuni casi le stime parlano dell’80%). Queste riduzioni hanno riguardato il mare di Weddell, il mare di Ross, quello di Bellingshausen e le acque di fronte alla terra di Enderby. Ma questo non è stato che il primo effetto osservato.

    Riscaldamento globale, si scioglie la calotta in Antartide: manca un pezzo grande quanto l’Argentina

    a cura della redazione Cronaca nazionale

    30 Luglio 2023

    Gli autori riportano anche una netta perdita di calore da parte delle acque e un cambiamento nelle tempistiche: il massimo di questa perdita di calore si è spostato da aprile a giugno, a sua volta contrastando la formazione di ghiaccio che si osserva nell’inverno antartico. Ma c’è, ancora, dell’altro. “Gli eventi importanti di perdita di calore sono fondamentali per avviare la convezione oceanica e influenzare le tempeste atmosferiche – scrivono infatti gli autori – Pertanto, il passaggio a eventi estremi più frequenti nel 2023 ha il potenziale per influenzare sostanzialmente sia l’oceano che l’atmosfera”. E così è stato, secondo quanto osservato. In particolare, tralasciando un attimo gli effetti sulle acque, a livello atmosferico questa perdita di calore avrebbe causato più tempeste. Nel dettaglio, le stime parlano per il periodo di giugno-luglio dello scorso anno di circa 2,5 giorni in più di turbolenza (storminess) rispetto alla media del periodo compreso tra il 1990 e il 2015, ovvero prima che cominciasse la perdita dei ghiacci marini, ricordano gli esperti, con aumenti che hanno riguardato soprattutto il mare di Weddell e di Ross.

    L’ingente perdita di calore da parte delle acque oceaniche però potrebbe avere anche un effetto domino sulle acque stesse, come puntualizzano Laura L. Landrum e Alice. K. DuVivier dell’University Corporation for Atmospheric Research di Boulder (Usa), in una news che accompagna l’uscita della ricerca. La perdita di ghiaccio infatti altera anche la salinità, la temperatura e la densità delle acque, influenzando la circolazione oceanica e la capacità dell’Oceano antartico di assorbire l’anidride carbonica. “È troppo presto – si legge nel paper – per capire se il 2023 segnerà l’inizio di un cambiamento di regime a lungo termine, ma quanto osservato è indicativo delle condizioni di estrema perdita di calore invernali che ci si può aspettare nei prossimi anni coni scarsa ricrescita di ghiaccio”. Con ripercussioni, concludono gli esperti, che potranno spingersi ben oltre l’oceano Antartico e interessare anche l’emisfero settentrionale. LEGGI TUTTO

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    Fuochi di Capodanno, un “botto” per l’ambiente

    È proprio vero, come dice un’indagine della Doxa che il 94% degli italiani sia contrario ai fuochi d’artificio per Capodanno e che il 63% sia pronto a rinunciarvi? Forse la percentuale non sarà proprio così alta, visto quanto ancora in Italia si spende per stelline, mortaretti e fontane di luci (secondo l’Associazione Pirotecnica Italiana il giro di affari è di 600 milioni di euro), ma di sicuro il settore in tutta Europa è in crisi. Secondo Eurostat, infatti le importazioni di fuochi d’artificio extra-Ue sono calate di quasi tre volte rispetto al 2019.

    Una tradizione che divide
    Nel 2023, l’UE ha importato 29.200 tonnellate di fuochi d’artificio da paesi asiatici, per un valore di 90 milioni di euro. Una cifra più di tre volte inferiore quella registrata nell’anno pre-pandemia del 2019: 105.000 tonnellate per 264 milioni di euro. Per la verità, il calo era già evidente nel 2020 con 79.700 tonnellate di fuochi d’artificio importati, per un valore di 190 milioni di euro. Senza dubbio, pesa il fatto che sempre più Comuni vietano ai cittadini di sparare i fuochi d’artificio a Capodanno, (anche se in alcune città come ad esempio Venezia è previsto uno spettacolo di fuochi d’artificio a mezzanotte), ma senza dubbio contribuisce una diversa percezione ambientalista pure tra chi era appassionato. Si perché petardi, mortaretti, fontane e “bombe Maradona” hanno pesanti effetti sull’ambiente. Soprattutto sull’aria che respiriamo.

    Pochi minuti di luci, ma un grande impatto
    Fuochi d’artificio, fumogeni, cascate di luci sparate in poche ore sono causa di inquinamento. Per farsi un’idea del problema, basta andare sul sito della Regione Lombardia dove si legge: “Nelle ore immediatamente successive all’utilizzo di fuochi d’artificio si registra un peggioramento dei valori della qualità dell’aria, anche con elevati picchi in atmosfera, in particolare di polveri sottili (PM10). La tipologia degli inquinanti prodotti dagli scoppi è nociva e contiene tra l’altro valori non trascurabili di potassio, stronzio, bario, magnesio, alluminio, zolfo, titanio, manganese, rame, bromo, piombo. Poiché l’incremento delle concentrazioni degli inquinanti in atmosfera e la loro permanenza nel tempo dipendono anche dalle condizioni meteorologiche, è particolarmente importante nel periodo invernale limitare al massimo i fuochi d’artificio”. In pratica a Milano, il primo gennaio vengono registrate concentrazioni di PM10 da 2 a 5 volte superiori rispetto ai giorni immediatamente precedenti e successivi, e di 2-3 volte al di sopra del valore limite giornaliero stabilito dall’Ue per la tutela della salute.

    “Senza botti è meglio per gli animali”
    Anche quest’anno il Wwf ha lanciato un appello per evitare l’uso dei fuochi pirotecnici la notte di San Silvestro “per dare un segnale di attenzione verso la Natura”, invitando i sindaci “ad intervenire per vietare l’uso di quei prodotti che per dimensioni, rumore e gittata rappresentano un grave rischio e disturbo non solo per l’uomo ma anche per gli animali domestici e selvatici, tra cui tanti uccelli”. Si stima che ogni anno in Italia almeno 5 mila animali muoiano a causa dei botti di fine anno. Spiega ancora il Wwf: “Di questi circa l’80% sono animali selvatici, soprattutto uccelli, anche rapaci, che spaventati perdono il senso dell’orientamento e fuggono istintivamente rischiando di colpire un ostacolo a causa della scarsa visibilità. Altri abbandonano il dormitorio invernale (alberi, siepi o tetti), vagano al buio alla cieca e non trovando altro rifugio muoiono per il freddo a causa dell’improvviso dispendio energetico a cui sono costretti in una stagione caratterizzata dalla scarsità di cibo che ne riduce l’autonomia”.

    I residui nei corsi d’acqua
    Sempre il Wwf fa sapere che la concentrazione e il numero di petardi fatti esplodere nella notte di San Silvestro sono talmente elevati che l’impatto non si ferma all’aria, ma vanno a finire nel terreno e nei corsi d’acqua. La causa sono i residui dei petardi non esplosi e i frammenti di materiali pirotecnici difficilmente biodegradibili, che si accumulano al suolo, contaminando l’ambiente.
    Fuochi d’artificio silenziosi
    Nonostante siano così criticati rimangono, soprattutto per i bambini, uno spettacolo affascinante e spettacolare. Curiosando in rete si scopre cosi che i fuochi artificiali sono investiti da una vera e propria rivoluzione tecnologica per cercare di essere più sostenibili. Obiettivo: preservarne la spettacolarità spingendoli verso una sostenibilità avanzata. La ricerca sta dunque puntando su composti chimici nuovi e materiali biodegradabili, ma si comincia a fare strada l’uso di alternative luminose che potrebbero davvero ridefinire la percezione tradizionale dei fuochi d’artificio. Spettacoli pirotecnici, ma di luci.
    La sfida: via la plastica e le sostanze tossiche
    In Germania ad esempio, si sta lavorando alla creazione di fuochi artificiali utilizzando una quantità ridotta di plastica sostituendola con cartone riciclato e con una rumorosità ridotta utilizzando inneschi modificati, a bassa velocità di combustione. Si sta anche cercando di sostituire le tradizionali sostanze chimiche utilizzate nei fuochi d’artificio, come il clorato di potassio, con composti a base di nitrato di bario, che emettono meno sostanze inquinanti e polveri colorate a base di solfati dovrebbe poi offrire colori più vividi senza inquinare. Si sta poi esplorando la possibilità di utilizzare involucri compostabili e biodegradabili, riducendo la quantità di rifiuti. Una sfida.
    Droni luminosi, led e giochi di luci
    Ma la vera alternativa è quella che comincia a far capolino in alcuni festival in giro per l’Europa. Si stanno utilizzando come alternative ai fuochi d’artificio tradizionali, proiettori laser, sistemi di illuminazione led e droni luminosi. Le coreografie non saranno molto complicate, ma ci consentiranno comunque di restare meravigliati con il naso all’insù. Respirando anche un’aria migliore. LEGGI TUTTO

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    Fumare fa male al Pianeta (oltre che alla salute)

    Dal primo gennaio a Milano non si potrà più fumare all’aperto. O meglio: il divieto, in vigore già dal gennaio del 2021 in parchi, fermate dei mezzi pubblici, aree gioco per bambini, aree per i cani, cimiteri e strutture sportive, verrà esteso a tutte le aree pubbliche, incluse le strade. Uniche eccezioni: le aree isolate […] LEGGI TUTTO

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    Le proteine sostenibili che vengono dalle lumache

    “La sostenibilità è sempre stata il valore condiviso da tutti noi, un ideale che ha guidato il nostro progetto sulle proteine alternative a base di chiocciole con l’obiettivo di avere un impatto positivo sul mondo, soprattutto considerando le sfide ambientali globali”, questa la visione di Simone De Maria (CEO), Ubaldo De Santis (COO) e Andrea Catto (CTO) fondatori di Snelix, startup salentina di allevamento sostenibile di chiocciole che offre prodotti di alta qualità a basso impatto ambientale.

    In un mondo in cui le risorse naturali sono sempre più limitate e la domanda di proteine è in costante crescita, Snelix si propone di ridefinire il concetto di produzione alimentare, mettendo al centro innovazione, tecnologica e rispetto per il Pianeta. Le sue farm automatizzate per l’allevamento di chiocciole rappresentano il cuore di questa transizione. Attraverso l’uso di sistemi avanzati per il controllo del microclima e una piattaforma software basata su dati IoT, Snelix garantisce un’ottimizzazione mai vista prima nel settore dell’elicicoltura. Questo approccio ha tre vantaggi sostanziali, riduce la mortalità: le condizioni ambientali ottimali per ogni fase della vita delle chiocciole abbattono drasticamente le perdite rispetto agli allevamenti tradizionali. Aumenta la produttività: grazie alla destagionalizzazione, Snelix è in grado di moltiplicare i cicli produttivi, portando raccolti più frequenti e abbondanti durante tutto l’anno. Capitalizza le risorse: l’ottimizzazione energetica e idrica rende il sistema non solo efficiente ma più sostenibile per l’ambiente.

    I fondatori della startup Snelix  LEGGI TUTTO

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    Il cactus di Natale, come curare la pianta che rende gioiose le nostre case

    La Schlumbergera è una pianta appartenente alla famiglia delle cactaceae, ed è conosciuta per la sua spettacolare fioritura e la presenza di fusti succulenti piatti e privi di spine. Questi, che spesso si confondono per le foglie della pianta, in realtà sono chiamati correttamente cladodio e sono come un ramo, ma con l’aspetto e la funzione di una foglia. Il cactus di Natale è soprattutto conosciuto come pianta da tenere in casa ed è molto apprezzata in concomitanza delle festività natalizie. Questa pianta, originaria delle foreste pluviali brasiliane e delle coste che si affacciano sull’oceano Atlantico, apprezza condizioni di elevata luminosità e di umidità. È una pianta che in natura si adatta a qualunque luogo, crescendo anche negli incavi dei rami e delle rocce. Questo cactus si presenta come un cespuglio con “foglie” che si riversano a cascata verso il basso. Si tratta di una pianta di dimensioni ridotte, poiché non supera i 40-50 centimetri di altezza. I fusti di questa pianta si presentano separati a segmenti, con terminazioni ugualmente piatte.

    Il colore di questi elementi è verde scuro o brillante, a seconda della varietà che si acquista. I fiori del cactus di Natale sono allungati, con più petali ad artiglio e pistilli molto evidenti. Sono fiori di grande dimensione che possono variare nel loro colore: infatti, troviamo fiori rosa, rossi, viola, arancione e bianco. La fioritura di questa pianta è proprio in concomitanza del Natale, anche se a volte il periodo di fioritura è anticipato con l’arrivo delle temperature più fredde.

    Il cactus di Natale può stare fuori?
    Come capita per molte piante succulente, anche il cactus di Natale non può stare fuori: infatti, non si tratta di una pianta da esterno, poiché non gradisce temperature che vanno sotto i 10°C. La coltivazione ideale di questa pianta richiede temperature di circa 15-20°C, mai superiori a 25°C e, soprattutto, lontano da fonti di calore o correnti d’aria. Se si decide di coltivare la pianta in appartamento è importante non collocarla in prossimità delle finestre. Il suggerimento è di sistemare il cactus di Natale vicino al davanzale delle finestre rivolte a est oppure nord. Potrà stare anche in bagno, visto che apprezza l’umidità moderata.
    Qual è la terra migliore per la pianta?
    Questo cactus gradisce un mix di terra pensato proprio per le pianta cactacea con composto organico. Inoltre, è importante considerare che apprezza il terreno umido, ma non i ristagni idrici. Proprio per questo, è necessario accertarsi che il terreno sia asciutto prima di procedere con l’annaffiatura.
    Come farlo fiorire?
    Esistono delle condizioni che favoriscono la fioritura del cactus di Natale: la prima cosa da tenere a mente riguarda l’esposizione che non dovrà mai ricevere luce diretta dei raggi solari. Dovrà ricevere luce tra le 12-14 ore al dì. È importante offrire una temperatura compresa tra i 13°C e i 18°C durante la stagione autunnale e invernale. Inoltre, è importantissimo evitare il ristagno d’acqua e nutrire la pianta con un fertilizzante. Durante la fioritura è necessario eliminare i fiori secchi, così da favorire la comparsa di nuovi boccioli. La fioritura durerà alcune settimane e sarà particolarmente bella.
    Quando e come annaffiarlo?
    Le annaffiature del cactus di Natale devono essere fatte in maniera moderata, ma regolare. È importante controllare con le dita se il primo strato del terreno è asciutto ed è pronto per essere nuovamente bagnato. In questo modo, si evitano tutti i problemi che possono derivare dall’eccesso di acqua. Con l’arrivo della stagione invernale, le annaffiature devono essere ridotte.
    La concimazione del cactus di Natale
    Per concimare il schlumbergera è necessario selezionare un concime specifico per le piante cactacee, succulente o grasse. Si può dare il concime alla pianta circa due volte a settimana, diluendolo con l’acqua dell’innaffiatura. Questo prodotto dovrà contenere elevate percentuali di fosforo e potassio, elementi nutritivi che sono importanti per la cura del cactus di Natale.
    È possibile ottenere delle talee?
    Per proteggere la specie che avete in casa si può decidere di ottenere delle talee: è necessario piantare in un vaso con torba e sabbia 2-3 segmenti dei fusti. Nel giro di qualche settimana metterà le radici e si potrà procedere con il rinvaso in un contenitore più grande.
    Che fare se le foglie sono molli?
    Quando il cactus di Natale presenta foglie molli significa che è stato annaffiato troppo e potrebbe essere già compromessa la sua vita. È importante intervenire per tempo, salvando i fusti sani e realizzando una talea per dare vita a una nuova pianta.
    Il rinvaso e la potatura
    Il rinvaso del cactus di Natale dovrebbe avvenire generalmente nel giro di 2-3 anni, durante la stagione primaverile lontano dalla fioritura giacché si potrebbe rischiare di far cadere i fiori. È necessario selezionare un vaso con diametro leggermente più grande rispetto a quello iniziale. Per quanto riguarda la potatura, invece, è importante togliere i fiori secchi per favorire la crescita di nuovi boccioli. Si potranno togliere anche i fusti morti e danneggiati, così da pulire bene la pianta e stimolarne la crescita.
    Le malattie e i parassiti in cui può incorrere
    Anche questa pianta soffre di alcuni problemi causati da malattie o da parassiti che la possono attaccare. Oltre al marciume radicale provocato dall’eccesso di acqua, citiamo la cocciniglia e il ragnetto rosso. Entrambi i problemi possono essere prevenuti offrendo le giuste condizioni climatiche alla pianta natalizia. LEGGI TUTTO

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    Il vischio, la pianta parassita che adorna il Natale

    Il vischio, nome scientifico viscum, è un genere di pianta cespugliosa di cui ne esistono decine di specie, tra le quali, il viscum album è quella più diffusa. Il vischio appartiene alla famiglia delle santalacee ed è una pianta presente in gran parte delle nazioni con clima temperato, dall’Europa all’area del sud-est asiatico, ma anche in paesi dell’Africa e in Australia. Il suo habitat ideale si trova in modo particolare nei boschi con conifere e diverse latifoglie, dove il vischio nasce e si sviluppa come un parassita delle altre piante. Il viscum raggiunge solitamente dimensioni modeste, comprese tra i 40 centimetri e un metro di altezza. La pianta si contraddistingue per le foglie coriacee di colore verde chiaro, nonché per le piccole infiorescenze e le bacche di colore bianco. Il vischio è anche noto per la tossicità, a causa della presenza della viscumina: le sue bacche rappresentano in modo particolare un rischio importante per la nostra salute.

    Qual è l’esposizione ideale e dove cresce in Italia?
    Il vischio è una pianta dal buon livello di rusticità: può quindi crescere senza problemi anche nelle aree che sono soggette alle gelate invernali. Per vegetare in modo ottimale, la pianta ha però bisogno di una buona quantità di luce e di soleggiamento diretto. Negli ambienti boschivi che offrono queste caratteristiche non è difficile trovarlo anche ad un’altitudine di un migliaio di metri. Nel nostro paese, il viscum si trova un po’ in tutte le regioni, con una presenza più marcata soprattutto nel territorio dell’arco alpino.

    Si può coltivare la pianta di vischio in vaso?
    Non abbiamo la possibilità di far crescere il vischio in vaso, proprio perché si tratta di una specie epifita e parassita. Per la coltivazione del viscum nel nostro giardino, dobbiamo scegliere una pianta che funga da ospite. Nel suo habitat naturale, il vischio cresce soprattutto sulle latifoglie come le querce, i salici, i pioppi, le betulle, i tigli e gli aceri, ma anche sulle conifere come i pini. Anche sui tronchi o i rami di meli, robinie e susini non è difficile scorgere la presenza del viscum. Ricordiamoci che il vischio è particolarmente tenace: se decidiamo di coltivarlo su una pianta ospite nel giardino di casa nostra, teniamo presente che una sua eventuale rimozione futura è molto difficile. In tanti casi, dobbiamo eliminare in modo definitivo il ramo che lo ospita.

    La coltivazione e la moltiplicazione della pianta
    Per prima cosa, procuriamoci dei semi di viscum: li troviamo all’interno delle bacche bianche che il vischio è solito produrre nel periodo autunnale e, soprattutto, a ridosso di Natale. Per quanto possibile, accertiamoci di selezionare solo le bacche più mature. Preoccupiamoci quindi di scegliere una pianta ospite che abbia delle fessure nella corteccia, o comunque, delle tracce di muschio o di licheni sul tronco. In questo modo, potremo inserire il seme di viscum in uno spazio ideale per favorirne l’attecchimento. Il miglior momento per dare il via alla coltivazione del vischio è agli inizi del periodo invernale, idealmente dopo le festività natalizie. Dovremo attendere almeno fino all’inizio della primavera per sapere se il nostro esperimento avrà avuto successo: la germinazione richiede infatti diversi mesi. Per capire se il vischio ha attecchito, ci basterà osservare il punto in cui abbiamo messo a dimora i semi: se si sono formate delle protuberanze, abbiamo ottenuto una nuova pianta.

    La crescita e la cura del vischio
    Il viscum è una pianta dal ritmo di crescita particolarmente lento. Oltre a richiedere alcuni mesi per germinare, il vischio ha bisogno di diversi anni per raggiungere il suo massimo sviluppo. Poiché la pianta si sviluppa in modo parassitario su un altro vegetale, non richiede particolari attenzioni nella coltivazione. Il viscum ricava infatti dalla linfa della pianta ospite l’acqua e i minerali di cui ha bisogno per crescere. Teniamo ben presente questo aspetto quando scegliamo dove coltivare il vischio, soprattutto se viviamo in aree dal clima particolarmente caldo e siccitoso: la presenza del viscum sarà infatti un ulteriore fattore di stress per la pianta che lo ospita.

    La fioritura e i frutti
    Il vischio è una pianta dioica: in natura troviamo esemplari maschili e femminili. Solo queste ultime producono i tipici frutti tondeggianti e bianchi, che appaiono solitamente nel corso dell’autunno. La fioritura invece si concentra nel periodo primaverile, quando sul viscum si sviluppa una gran quantità di fiori bianco-giallastri.

    I parassiti
    La pianta ha una buona rusticità, grazie alla quale non è particolarmente soggetta ai parassiti: ricordiamoci però di eliminare le parti secche o danneggiate del vischio, per prevenire qualsiasi potenziale problematica. LEGGI TUTTO