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    Digitalizzazione: la strada maestra per una transizione sicura

    La transizione energetica europea è entrata in una nuova fase. Alla corsa per aumentare la produzione di energie rinnovabili si affianca oggi un’altra sfida cruciale: rendere le reti elettriche più resilienti, intelligenti e pronte a rispondere a una domanda in crescita costante. Il tutto in un contesto geopolitico che richiede maggiore indipendenza energetica e minori emissioni. In questo scenario, le tecnologie si stanno affermando come alleati fondamentali. “La digitalizzazione può essere la chiave di volta per evitare nuovi blackout come quelli che nei mesi scorsi hanno colpito Spagna e in Portogallo e che sempre più spesso si verificano nei picchi della domanda, come in estate. Ma la tecnologia – da sola – non è risolutiva: occorre una strategia che sappia far collaborare istituzioni e ricerca d’impresa per garantire la resilienza delle reti”. È la convinzione di Gwenaelle Avice-Huet, senior vice president di Schneider Electric Europa, intervistata nel corso della sua visita a Stezzano (Bergamo) per l’inaugurazione dell’headquarter italiano della multinazionale, che è stato completamente riqualificato dal punto di vista energetico, nell’ambito del progetto di efficientamento e decarbonizzazione del dispositivo industriale italiano della multinazionale, che conta cinque siti.

    Le sfide europee: resilienza, indipendenza e digitalizzazione
    A livello comunitario, la sfida non è solo tecnica, ma anche politica. Dopo anni in cui le strategie hanno puntato principalmente sulla produzione di energia rinnovabile, la Commissione Ue ha iniziato a riconoscere la necessità di rafforzare le reti elettriche. Questo perché una rete fragile può compromettere l’intero sistema, anche se la produzione da fonti rinnovabili è in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione. “Resilienza delle reti, indipendenza energetica e transizione digitale sono temi interconnessi, e il digitale è lo strumento che permette di affrontarli in modo sostenibile, economico e scalabile”, spiega la manager. “Tecnologie come One Digital Grid o le infrastrutture per i data center per l’IA sono esempi concreti di come l’intelligenza artificiale possa supportare una rete più stabile, flessibile e ottimizzata”.

    La strada delle partnership
    “Il blackout che ha colpito la Penisola iberica ha evidenziato ancora di più l’importanza di pianificare la generazione di elettricità e la difficoltà di bilanciare la rete, un aspetto – quest’ultimo – particolarmente delicato quando si tratta di gestire l’energia rinnovabile, che per sua natura è intermittente”, aggiunge la manager. La quale sottolinea che lungo le frontiere dell’innovazione è fondamentale riuscire a stabilire delle partnership con realtà d’eccellenza nei rispettivi settori, in modo da trovare soluzioni innovative. In questa direzione Schneider Electric si muove anche in Italia. È il caso di A2A, che ha adottato una piattaforma digitale per la gestione della rete elettrica e, in collaborazione con Schneider, ha realizzato le prime cabine elettriche digitali underground, un’innovazione che permette di aumentare la capacità della rete in contesti urbani senza occupare spazio in superficie.

    Con Terna, il gestore della rete ad alta tensione, Schneider lavora invece su tecnologie di monitoraggio per garantire la qualità dell’energia erogata e la tenuta della rete in situazioni critiche. Anche Enel è tra i partner strategici: le due aziende collaborano per sviluppare software di ottimizzazione energetica, capaci di bilanciare in tempo reale produzione e consumo su una rete sempre più decentrata e alimentata da fonti intermittenti. “Un approccio al lavoro che abbiamo seguito anche quando si è trattato di siglare accordi con altri operatori italiani come Unareti, A2A ed Edyna, società che distribuisce l’energia in Alto Adige”, aggiunge.

    Il ruolo dell’Italia tra ricerca e produzione
    La multinazionale, reduce dal riconoscimento “World Most Sustainable Corporation 2025”, assegnato da Corporate Knights (è l’unica azienda nella storia ad ottenere il primo posto per la seconda volta) ha in Italia non solo cinque stabilimenti produttivi, ma otto uffici commerciali e quattro innovation hub, con quelli di Casalecchio di Reno (Bologna), Casavatore (Napoli) e Pieve d’Alpago (Belluno) che si affiancano alla struttura di Stezzano. Oltre a un centro logistico integrato a Venaria e un centro di eccellenza per tecnologie di illuminazione d’emergenza a Pieve di Cento (Bologna). “Siamo presenti in Italia dall’inizio del secolo scorso, ci piace ricordare, avendo dato continuità alle attività di aziende storiche dell’elettrotecnica italiana. Qui produciamo non solo per l’Italia ma anche, come nel caso dei quadri Airset di nuova generazione, per Spagna e Portogallo. Abbiamo scelto di ubicare in Italia alcuni centri di eccellenza, proprio a riconoscimento della competenza tecnica dei nostri specialisti”, conclude. LEGGI TUTTO

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    Nelle mense si gettano via 38mila tonnellate di cibo all’anno. Una startup previene lo spreco

    Cinquanta grammi di cibo sembrano pochi, quando restano nel piatto di chi va a pranzo in mensa e senza pensarci vi lascia degli avanzi: un panino non mangiato, un secondo appena assaggiato. Ma se si moltiplica quell’esigua quantità per il numero di italiani che ogni giorno mangiano a mensa, i numeri sono impressionanti. Si tratta di 38mila tonnellate di cibo sprecato ogni anno (fonte: Oricon, Osservatorio Ristorazione Collettiva e Nutrizione). Per questo la startup Behavix – insediata nel Polo Tecnologico di Trentino Sviluppo a Trento – ha studiato una soluzione innovativa che mira a comprendere a fondo i motivi per cui gli utenti non consumano tutto il cibo, cercando di aiutare a risolvere il problema alla radice, prima ancora che altre aziende si occupino di ridistribuire o riutilizzare tutto quel cibo avanzato.

    Il sondaggio

    Dal frigo alla tavola, ecco come sprechiamo il cibo e cosa fare per evitarlo

    di Paolo Travisi

    04 Giugno 2025

    Il cuore del progetto è un software, supportato da una web app, con cui vengono profilati gli utenti delle mense e somministrati questionari interattivi. I dati raccolti vengono elaborati da un algoritmo di intelligenza artificiale capace di individuare correlazioni tra abitudini, preferenze e contesto ambientale. Attraverso questa analisi, il sistema fornisce indicazioni pratiche alle aziende di ristorazione per intervenire sulle cause dello spreco, spesso legate non solo alla qualità del cibo, ma anche a fattori come stress, tempi ristretti e clima organizzativo.

    La startup che riduce lo spreco nelle mense
    L’esigenza nasce dall’esperienza personale di Massimiliano Carraro – ingegnere ambientale – che nel 2023 lavorava per una grande azienda e accorgendosi di quanto cibo veniva lasciato alla fine del pasto nei vassoi della mensa, si è messo d’accordo con il personale della ristorazione per misurarli, constatando che gli utenti sprecavano ogni giorno una quantità considerevole a testa. Per questo, quando ha incontrato Stefania Malfatti – economista comportamentale appassionata d’innovazione – è nata l’idea di unire le rispettive competenze per fondare Behavix, startup che sfrutta intelligenza artificiale e analisi comportamentale per capire più a fondo i motivi per cui gli utenti gettano via cibo perfettamente commestibile.

    Massimiliano Carraro e Stefania Malfatti, co-founder di Behavix  LEGGI TUTTO

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    Gazania: coltivazione in vaso e giardino, fioritura, potatura e cura

    La gazania si distingue per i suoi fiori grandi e vivaci, che ricordano quelli delle margherite e possono presentarsi nelle sfumature del giallo, rosso, fucsia o arancio. Questa splendida pianta perenne di tipo strisciante conta su una fioritura abbondante che sboccia tra maggio e settembre. Coltivata sia in giardino che in vaso, oltre che per la sua bellezza e la sua eleganza, la gazania è apprezzata anche per la notevole resistenza: la sua manutenzione non richiede cure particolari, risplendendo con poche mosse e semplici attenzioni.

    Dove collocare la gazania
    Originaria del Sudafrica, la gazania fa parte della famiglia delle Asteraceae ed è nota per il suo fascino unico e i fiori colorati. Questi tendono a chiudersi con il buio, per poi riaprirsi il giorno seguente, e si contraddistinguono per i loro petali disposti intorno a un disco centrale, come quelli delle margherite. La gazania infonde un tocco di vivacità ovunque si trovi e tra i suoi punti di forza spiccano la sua bellezza, l’eleganza, la lunga fioritura e la resistenza.

    Pianta perenne, ma nelle zone fredde a coltivazione annuale, richiede un terreno ricco di sostanza organica, asciutto, dal ph neutro e ben drenato, visto che mal tollera i ristagni idrici. Inoltre, predilige climi secchi e aridi, accontentandosi dell’acqua piovana per crescere e adattandosi così a suoli poco fertili e giardini rocciosi. Il clima ideale per la gazania è di tipo tropicale, visto che cresce bene con temperature elevate. Se da un lato sopporta il caldo, dall’altro è sensibile al freddo: la pianta va protetta in inverno, spostandola in un ambiente riparato nel caso sia coltivata in vaso, oppure ricorrendo a del tessuto non tessuto se piantata in giardino.

    Quando ci si approccia alla coltivazione della gazania è molto importante scegliere il luogo corretto in cui collocarla, tenendo conto che ama il sole: l’ideale è posizionarla in un ambiente in cui riceva quotidianamente minimo 6 ore di luce solare diretta. In caso si trovi in un luogo troppo in ombra non riuscirà a fiorire in modo ottimale e duraturo.

    Come coltivare la gazania in giardino e in vaso
    Adatta per decorare aiuole e bordure, la gazania può essere seminata all’esterno nel corso della primavera, quando le temperature sono più miti, tra aprile e maggio, mentre negli ambienti protetti anche a marzo e a settembre. Nel momento in cui si semina per darle una spinta in più si può aggiungere nel substrato un fertilizzante bilanciato a lenta cessione.

    Per la coltivazione in giardino è necessario piantare i suoi semi in un substrato umidificato a una profondità di 0,5 centimetri, non coprendoli ma bensì premendoli sul terreno, raggruppandone insieme una decina. Tra ogni gruppo va lasciata una distanza di 35 centimetri oppure di 25 centimetri se si desidera ottenere un effetto più denso. Fino alla germinazione il terreno va mantenuto umido.

    Per quanto riguarda la coltivazione in vaso della gazania è necessario dotarsi di un recipiente dal diametro di 20 centimetri, posizionando sul suo fondo uno strato di argilla espansa in modo tale da aumentare il drenaggio. Per assicurarsi una crescita rigogliosa della pianta è cruciale il rinvaso, da effettuare quando occupa tutto il recipiente e le sue radici escono dai fori di drenaggio: questo intervento va eseguito durante il periodo della primavera, ricorrendo a un nuovo vaso più grande.

    Gazania, come prendersene cura
    Un’operazione centrale nella cura della gazania è l’irrigazione tenendo presente che, seppur la pianta si accontenti dell’acqua piovana e resista alla siccità, richiede annaffiature regolari, in particolare durante i mesi più caldi. Nel corso della primavera e dell’estate deve essere bagnata costantemente per ottenere una fioritura abbondante e dalla durata maggiore. Tuttavia, è importantissimo non eccedere mai con le irrigazioni, che potrebbero essere responsabili dell’insorgere di malattie fungine. Durante l’inverno, suo periodo di riposo vegetativo, le annaffiature possono essere diminuite.

    Nella manutenzione della gazania un altro intervento importante è la concimazione, che consente ai fiori di svilupparsi grandi e dai colori intensi: è necessario ricorrere ogni 2 settimane a del concime liquido per piante fiorite. Quando si svolge questo intervento non bisogna mai esagerare con il prodotto, altrimenti la pianta produrrà più foglie e meno fiori.

    Altro step cruciale è la potatura, nell’ambito della quale eliminare le foglie secche e i fiori appassiti, stimolando così la crescita di nuovi fiori. Inoltre, è possibile mettere in atto una potatura più drastica alla fine dell’inverno, tagliando i rami secchi e danneggiati, permettendo alla gazania di svilupparsi così in modo compatto e pieno.

    I problemi da evitare
    La gazania può vivere anche diversi anni grazie alle cure giuste. Con il clima adeguato, l’esposizione solare corretta, le annaffiature costanti ma controllate e interventi di concimazione e potatura regolari, la pianta riuscirà a fiorire anno dopo anno, regalando splendidi fiori colorati. Tuttavia, può essere messa in pericolo da alcune problematiche comuni, che possono insorgere nella sua manutenzione, malgrado sia dotata di una grande resistenza. Tra le criticità più diffuse spiccano le foglie afflosciate, spia di come stia soffrendo per via di annaffiature troppo abbondanti, dovendo pertanto ridurle e assicurandosi di irrigare la pianta solo se il terreno è asciutto. I ristagni di acqua e l’umidità sono nemici della gazania che la portano a marcire.

    Altro aspetto al quale prestare attenzione è l’attacco di parassiti, come acari e afidi, al quale è spesso soggetta, contrastandoli ricorrendo a rimedi naturali, tra cui ad esempio il piretro, l’olio di neem o quello di lino e il sapone molle, oppure a prodotti specifici. La pianta è anche incline alle malattie fungine, come muffe, oidio, ruggine e mal bianco, dovendo applicare in ottica preventiva trattamenti a base di polveri bagnabili. LEGGI TUTTO

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    Il viburno: caratteristiche e varietà

    Il viburno è una pianta appartenente alla famiglia delle viburnaceae e si trova comunemente in Europa, ma anche in America, Asia e nord Africa. Scopriamo tutte le varietà e le caratteristiche delle singole piante per occuparsi al meglio della coltivazione di questa specie.

    Le caratteristiche del viburno
    Il portamento del viburnum o viburno è di un albero: infatti, si presenta come un arbusto che può raggiungere fino a 5 metri di altezza. Le sue foglie sono ovali, opposte e hanno un margine leggermente dentellato. La parte superiore delle foglie è rugosa, mentre quella inferiore si presenta con un po’ di peluria. Su questa pianta crescono fiorellini piccoli, di colore bianco, e a forma di ombrellino. Spesso è possibile notare questo tipo di pianta per strada, poiché è diffusa comunemente come specie ornamentale nelle aree verdi della città. Durante la stagione primaverile queste piante riescono a dare un tocco elegante proprio grazie alla loro copiosa fioritura. A seconda della varietà che si decide di coltivare, si possono posizionare in piena terra da sole oppure raggruppate con altre per creare una siepe folta. In altre occasioni, però, è anche possibile collocare il viburno in vasi. Essendo una pianta rustica può resistere fino a -10°C, ma cresce al meglio quando la temperatura supera i 15°. Alcuni esemplari possono addirittura resistere fino a -25°C, come nel caso dell’opulus.

    Il terreno e l’esposizione
    Il terreno migliore per la coltivazione del viburno è senz’altro quello drenato: la pianta non gradisce troppa acqua e questa tipologia di terreno favorisce la corretta aerazione. Inoltre, è preferibile avere un terreno ricco, nutrito con letame oppure compost di qualità. Nel caso in cui si decide di mettere in piena terra la pianta del viburno, è necessario considerare anche una distanza di 60 centimetri e un’esposizione in pieno sole/mezz’ombra.

    Le varietà della pianta
    In natura si contano circa 200 specie di viburnum, prettamente a portamento arbustivo, di cui 3 sono comuni in Europa e noti sin dai tempi antichi. Si tratta del viburno tino, il viburno lantana e il viburno opulus. Tra gli esemplari che si possono trovare comunemente nei vivai citiamo i seguenti:

    Viburno tino: è un arbusto sempreverde che può raggiungere addirittura i 4 metri di altezza. Ha foglie ovoidali, verde scuro, e fiori di colore rosa che sbocciano tra novembre e maggio, mostrandosi al proprio interno di colore bianco. I frutti, invece, sono di colore blu e si presentano insieme alla fioritura.

    Viburno lantana: questo arbusto che perde foglie può raggiungere 4 metri di altezza. Ha foglie di colore verde-grigio che si trasformano con l’arrivo dell’autunno. Infatti, il loro colore vira al porpora. I fiori, visibili a maggio, sono di colore crema e lasciano poi spazio ai frutti colorati che da gialli diventano neri quando sono maturi.

    Viburno opulus: anche questo arbusto perde le foglie e può arrivare a un’altezza massima tra i 4 e 5 metri. Le foglie sono di colore verde scuro e diventano rosse in autunno. I fiori sono bianchi e lasciano spazio solo dopo ai frutti di colore rosso.

    Viburno palla di neve: detto anche “pallon di maggio”, questa pianta è molto decorativa e raggiunge ampie dimensioni in altezza e larghezza. È chiamato così per le sue infiorescenze che sembrano proprio delle grandi palle di neve.

    Viburno lucido: è una varietà che si presenta con fogliame molto lucido e di dimensione maggiore rispetto alle altre varietà.

    Il viburno in vaso
    Come si può capire, il viburno è una pianta che si può coltivare in diversi modi e alcune specie sono suggerite anche per la coltivazione in contenitori. Infatti, il viburno si può coltivare anche in vaso, collocandolo così in balcone o nelle terrazze ampie. In questo caso è preferibile utilizzare vasi di 20-40 centimetri con una pianta da circa 80-100 cm. Il rinvaso va eseguito quando la pianta inizia ad essere troppo stressa, selezionando un contenitore di dimensioni leggermente più grandi.

    Il concime da dare alla pianta
    Per far crescere al meglio questa pianta è importante occuparsi anche della concimazione. Un buon fertilizzante deve combinare diversi elementi necessari proprio per la crescita dell’arbusto. In questo caso, è importante sceglierne uno che contenga azoto, potassio e fosforo che favoriscono lo sviluppo di una folta chioma e la resistenza contro le malattie e condizioni più stressanti a cui può andare incontro la pianta.

    Quando potare?
    Con l’arrivo della stagione primaverile, in seguito alla fioritura, è necessario occuparsi della potatura del viburno. Con questa azione, oltre a mantenere in salute la pianta, si permette all’esemplare di fortificarsi per una prossima fioritura ancora più rigorosa. È importante anche rimuovere gli eventuali rami danneggiati, malati o morti e quelli che sono rivolti verso l’interno della pianta.

    Quando annaffiare?
    È necessario annaffiare correttamente la pianta, evitando di farla incorrere nel marciume radicale da troppa acqua. Va comunque considerato che, anche se resiste molto ai periodi di siccità, è necessario controllare lo stato del terreno e annaffiare la pianta, facendo sì che il viburno abbia la giusta idratazione con le temperature calde.

    La propagazione
    La propagazione del viburno si può effettuare attraverso la talea. Questa si può prelevare direttamente dall’arbusto, ma attenzione poiché non dovrà essere eccessivamente verde. È sempre meglio selezionare delle parti legnose per la propagazione attraverso la talea. A questo punto, si può collocare il rametto in terra drenata e leggermente umida, aspettando che spuntino le radici.

    Le malattie e i parassiti in cui può incorrere la pianta
    Il viburno è una pianta abbastanza resistente, tanto che non soffre per il troppo caldo e il troppo freddo, ma odia i ristagni idrici che possono far comparire alcuni problemi. Per esempio, quando si eccede con le annaffiature possono presentarsi delle malattie fungine oppure della muffa. In entrambi i casi è importante analizzare accuratamente la situazione e utilizzare dei prodotti ad hoc per il trattamento della malattia. Ci sono anche dei parassiti che possono attaccarlo come gli afidi e la cocciniglia. LEGGI TUTTO

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    Islanda, ferma la caccia alla balena per il 2025

    Nessuna balena verrà uccisa quest’anno in Islanda. E forse nemmeno in futuro, tanto che chi da anni si batte per fermare questa pratica, come il capitano Paul Watson e la sua fondazione, si sbilancia nel dire che “la caccia alle balene in Islanda è finita” e che siamo arrivati a un punto “storico” della battaglia. Il motivo dell’annuncio di diverse associazioni ambientaliste, che festeggiano, è legato a una doppia decisione senza precedenti: attualmente in Islanda solo due principali compagnie praticano ancora la caccia e sono state autorizzate, per un numero limitato di esemplari, a uccidere i grandi cetacei, ma entrambe hanno in qualche modo deciso di fare un passo indietro.

    Biodiversità

    L’Intelligenza artificiale per salvare le balene franche

    di Simone Cosimi

    22 Aprile 2025

    I motivi sono economici
    Una delle storiche due storiche imprese, la Hvalur Hf, tramite il suo amministratore delegato, Kristján Loftsson, che porta avanti da decenni l’attività di famiglia, già settimane fa aveva spiegato di aver preso la decisione di non cacciare e sospendere ogni attività nel 2025. Il motivo? Il crollo della domanda da parte del Giappone, dove l’Islanda esporta gran parte dei prodotti di balena.

    Insieme alla Norvegia e l’Islanda, il Giappone è infatti uno dei Paesi al mondo dove la caccia è legale e praticata ma, evidentemente, anche nel Paese del Sol Levante le cose stanno gradualmente cambiando, tanto che le richieste sono in calo. I prezzi sono bassi, la logistica, il trasporto e lo stoccaggio sono complicati e di conseguenza Hvalur, nonostante abbia incassato permessi fino a quasi la fine di questo decennio, per ora non caccerà più.

    Lo stop totale per quest’anno è però dovuto alla scelta di un’altra compagnia che era autorizzata in Islanda ad uccidere balene per scopi commerciali, ma che ha appena deciso di vendere la sua nave baleniera, sintomo secondo la Fondazione Paul Watson del “collasso” di questa industria della pesca.

    Esultano gli ambientalisti: “Una pietra miliare”
    Siamo ormai dunque al secondo anno consecutivo che, fra ritardi di permessi, opposizioni e rinvii, la caccia alle balenottere in Islanda non avviene ma è la prima volta che viene sospesa esplicitamente per motivi economici, mentre contemporaneamente aumenta fra l’opinione pubblica islandese il fronte del no alla caccia, una tradizione per molti oggi ormai superata.

    Se è vero che il governo non ha ancora vietato definitivamente la caccia per il futuro, i due segnali appena giunti dall’Islanda indicano però secondo gli ambientalisti – che continuano comunque a chiedere un divieto totale – un messaggio importante di speranza. Questa fase è dunque “una pietra miliare” scrivono sui social della Fondazione Paul Watson, anche se promettono di non abbassare la guardia fino a uno “stop definitivo”.

    Anche l’associazione Whale and Dolphin Conservation esulta: “Niente caccia alle balene in Islanda questa estate! Il fatto che anche l’ultima baleniera rimasta stia vendendo la sua barca significa una cosa incredibile: non c’è ufficialmente nessuna caccia. Un grande grazie a chi ha sostenuto questa lotta”. LEGGI TUTTO

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    Dalle macerie del terremoto alla rinascita: la startup che stampa il futuro in 3D

    Ogni anno in Europa vengono prodotte 510 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione, con una spesa di 45 miliardi di euro solo per il loro trattamento. Di fronte a questa emergenza ambientale ed economica, una startup marchigiana ha trovato una risposta innovativa: trasformare il dramma delle macerie del terremoto in elemento di rinascita e rigenerazione. È questa la missione di Centauroos, startup innovativa di stampa 3D per l’edilizia e l’architettura che riutilizza rifiuti da costruzione e demolizione, con un ruolo prominente nella sperimentazione delle macerie del Cratere 2016. Sfruttando il potenziale della stampa 3D del calcestruzzo, la giovane azienda affronta il problema della gestione dei rifiuti edilizi, riducendo contemporaneamente l’uso di materiali e i tempi di costruzione. LEGGI TUTTO

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    L’intelligenza artificiale produce emissioni in base a quanto “ragiona”

    Sappiamo ormai bene che qualsiasi cosa chiediamo all’intelligenza artificiale (Ai), lei ci darà una risposta. Ma alcuni suggerimenti che ci fornisce potrebbero avere un impatto ambientale più significativo e causare emissioni di anidride carbonica più elevate. A riferirlo è stato oggi un team di ricercatori, guidato dalla Hochschule München University of Applied Sciences, in Germania, che ha misurato e confrontato le emissioni di anidride carbonica di diversi Large Language Model (Llm) già addestrati utilizzando una serie di domande standardizzate. Lo studio è stato pubblicato sulle pagine della rivista Frontiers in Communication.

    L’intelligenza artificiale “pensante”
    Sebbene molti di noi non ne siano pienamente consapevoli, molto di queste tecnologie sono associate a un elevato impatto ambientale. Per produrre risposte, infatti, l’intelligenza artificiale usa i token, parole o parti di parole che vengono convertite in una stringa di numeri che può essere elaborata dai Llm, modelli di intelligenza artificiale specifici nella generazione di linguaggio umano. Questa conversione, così come altri processi di elaborazione, produce però emissioni di anidride carbonica. “L’impatto ambientale delle domande rivolte agli Llm addestrati è fortemente determinato dal loro approccio di ragionamento, con processi che aumentano significativamente il consumo di energia e le emissioni di carbonio”, ha raccontato il primo firmatario del paper Maximilian Dauner. “Abbiamo scoperto che i modelli basati sul ragionamento producevano fino a 50 volte più emissioni di CO? rispetto ai modelli a risposta semplice”.

    La causa della maggior parte delle emissioni
    Per giungere a questa conclusione, il team ha testato 14 Llm, con un numero di parametri (che determinano il modo in cui apprendono ed elaborano le informazioni) compreso tra 7 e 72 miliardi, su mille domande standardizzate su diverse materie. I modelli di ragionamento, in media, hanno creato 543,5 token “pensanti” (ossia token aggiuntivi che gli Llm di ragionamento generano prima di produrre una risposta) per domanda, mentre i modelli semplici ne richiedevano solo 37,7. Il più preciso è risultato essere il modello Cogito, con 70 miliardi di parametri, che ha raggiunto un’accuratezza dell’84,9%, ma che ha anche prodotto emissioni di CO? tre volte superiori rispetto a modelli di dimensioni simili che generavano risposte semplici.

    “Attualmente, osserviamo un chiaro compromesso tra accuratezza e sostenibilità insito nelle tecnologie Llm”, ha commentato Dauner. “Nessuno dei modelli che ha mantenuto le emissioni al di sotto dei 500 grammi di CO? equivalente (unità di misura dell’impatto climatico dei vari gas serra, ndr) ha raggiunto una precisione superiore all’80% nel rispondere correttamente alle mille domande”. Per quanto riguarda le diverse materie, inoltre, le domande che richiedevano lunghi processi di ragionamento, come per l’algebra o la filosofia, hanno portato a emissioni fino a 6 volte superiori rispetto a domande più semplici, come per la storia che si insegna alle superiori.

    Un uso più consapevole
    I risultati del nuovo studio, quindi, suggeriscono la necessità di prendere decisioni più consapevoli sull’uso dell’Ai. “Gli utenti possono ridurre significativamente le emissioni stimolando l’Ai a generare risposte semplici o limitando l’uso di modelli ad alta capacità alle attività che richiedono effettivamente tale potenza”, ha consigliato l’esperto, concludendo che se si conoscesse il vero costo in termini di emissioni generate dall’intelligenza artificiale, come ad esempio creare una action figure personalizzata, si potrebbe essere più selettivi e attenti su quando e come utilizzare queste tecnologie. LEGGI TUTTO