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    Le crocchette “taglia emissioni” per cani e gatti: a base di farina d’insetti e carne sintetica

    Nell’era in cui gli animali domestici sono parte integrante del nucleo familiare e la qualità della nostra alimentazione è diventata una priorità, non sorprende che sempre più persone stiano cercando di estendere gli stessi standard elevati al cibo dei loro amici a quattro zampe. “Durante il Covid il mio cane, un boxer di nome Iron e la cagnolina della mia amica Martina, si sono ammalati. La causa, un’alimentazione sbagliata che aveva provocato ad entrambi l’insorgere di gravi dermatiti. Da quel momento è nato il nostro interesse per il pet food. Nel giro di poco, ci siamo rese conto che non c’erano sul mercato alimenti personalizzati. Spesso i cibi in commercio non erano compatibili con razze, età, peso, patologie. Così è scattata la scintilla. Abbiamo messo da parte la nostra professione di future avvocate ed imboccato la strada da imprenditrici”. A parlare è Giada Iacopini, fondatrice insieme a Martina Terigi, Rebecca Ottanelli e Samuele Nannini di Hygge startup innovativa fondata a Lucca nel 2020 specializzata in alimenti personalizzati per animali domestici, con l’introduzione di proteine alternative, come farine d’insetti, di ingredienti naturali e diete su misura, studiate in collaborazione con medici veterinari e nutrizionisti.
    Crocchette a base di farina d’insetto
    Gli alimenti sono prevalentemente a base vegetale e di proteine alternative, tra cui proteine d’insetto. Sin dalla sua nascita, infatti, la startup ha scelto di non inserire carne di manzo nelle proprie ricette. La proteina d’insetto si è rivelata ottimale per far fronte alla crescente richiesta di cibi ipoallergenici e altamente digeribili e, al contempo, consente il taglio delle emissioni inquinanti, nonché un minor consumo di suolo e acqua.

    Il libro

    “Lasciate crescere l’erba del vostro giardino, il Pianeta vi ringrazierà”

    di Agostina Delli Compagni

    29 Marzo 2025

    “I nostri studi dimostrano che la farina d’’insetto è una proteina alternativa perfetta per l’alimentazione dei cani. Si tratta di una proteina nobile, nutriente ed ecologica che permette un risparmio fino all’80% di acqua, suolo e CO2 rispetto alla carne tradizionale.Non solo. L’insetto contiene i dieci amminoacidi essenziali per una nutrizione completa – cosa che le carni non hanno – e riduce del 60% l’impronta ambientale dei cani, tutt’altro che trascurabile. Se pensiamo che un cane di taglia media consuma in un anno – per essere alimentato – circa 10.000 mq di suolo (quanto la superficie del Duomo di Milano) e genera emissioni di CO2 pari a un volo aereo da Tokyo a Milano per una persona. Alternando la proteina animale tradizionale con proteine vegetali o alternative, è possibile ridurre l’impatto ambientale del cane fino al 60%. In un Paese come l’Italia, dove ci sono circa 7,5 milioni di cani, l’effetto su scala è enorme”.

    La guida

    Dalle crocchette alla ciotola, ecco le scelte green per il tuo cane

    di Paola Arosio

    23 Gennaio 2025

    Prossimo passo: carne sintetica per gatti
    Lo stato di emergenza affrontato negli ultimi anni ha avuto fra i suoi effetti quello di aumentare il livello di attenzione al tema della salute. Tale comportamento ha portato a una ricerca sempre più intensa di prodotti per la cura e l’igiene, ma anche per un’alimentazione più salutare possibile. Inoltre, la vita sempre più a stretto contatto tra proprietario e animale all’interno dell’ambiente domestico ha favorito una crescita della consapevolezza dei bisogni immediati di cani e gatti. In questo percorso, il concetto di cibo per cani si basa sull’idea di fornire agli animali domestici alimenti che rispettino gli stessi standard. Il prossimo passo sarà l’utilizzo di carne sintetica per gatti. LEGGI TUTTO

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    Un mare sempre più blu: effetto della perdita dei ghiacciai

    La lista degli effetti prodotti dalla perdita dei ghiacci si allunga. O meglio si allarga a considerare aspetti finora meno evidenti. Diverse ricerche hanno mostrato il rischi relativi alle variazioni nel livello dei mari, nelle correnti, nelle temperature delle acque, e ai cambiamenti nell’atmosfera che mettono in pericolo la sopravvivenza degli ecosistemi e nostra. Ma […] LEGGI TUTTO

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    Specie di uccelli in declino in Nord America: un segnale per la salute della Terra

    Molte specie di uccelli stanno andando incontro a un forte declino, e, secondo alcuni studi, in Nord America in particolare circa un quarto delle specie nidificanti sarebbe scomparso dal 1970 a oggi. Per poter rispondere all’emergenza e progettare interventi di conservazione efficaci, spiegano gli esperti, è fondamentale capire quali aree nello specifico sono soggette a un declino più marcato. Proprio con questo obiettivo, un gruppo di ricercatori e ricercatrici coordinato da Alison Johnston, del Cornell Lab of Ornithology (Stati Uniti), ha utilizzato un’ampia quantità di dati raccolti dal 2007 al 2021 per valutare le variazioni nelle popolazioni di 495 specie di uccelli che nidificano in Nord e Centro America e nei Caraibi. Dai risultati, pubblicati su Science, è emerso che gli uccelli stanno scomparendo più velocemente proprio dalle zone in cui sono più abbondanti.

    Biodiversità

    La conservazione della natura voluta dalla Ue non compromette le attività economiche

    di Luca Fraioli

    28 Aprile 2025

    I dati, la ricerca, l’analisi
    Gli autori dello studio hanno utilizzato i dati contenuti in ben 36 milioni di checklist pubblicate su eBird, una piattaforma online che raccoglie le osservazioni di volontari appassionati di bird watching. Ogni checklist, spiegano i ricercatori, è in sostanza un elenco di tutti gli uccelli identificati da un volontario in un certo luogo e in un preciso momento. Il team ha poi utilizzato un algoritmo di machine learning per distinguere le effettive variazioni nelle popolazioni degli uccelli dai possibili cambiamenti nel modo in cui sono state effettuate le osservazioni nel corso degli anni. I vari volontari potrebbero infatti aver cambiato il sito dal quale effettuano le osservazioni, o altri parametri che potrebbero aver modificato l’efficienza della loro ricerca.

    Biodiversità

    A tu per tu con una colonia di salpe, le foto nel mare di Portofino

    di Pasquale Raicaldo

    01 Maggio 2025

    L’affidabilità delle stime ottenute dall’analisi di questa grande quantità di dati è stata poi ulteriormente valutata attraverso specifiche simulazioni per ogni specie presa in esame. In questo modo, si legge nella pubblicazione, il gruppo di ricerca è riuscito a quantificare le variazioni in termini di popolazione per la maggior parte delle specie di uccelli nordamericani con una risoluzione spaziale di 27 chilometri.

    Il caso del picchio di Williamson
    È emerso che circa il 75% delle specie prese in esame è in declino, e nell’83% dei casi questo riguarda le aree in cui le specie sono più abbondanti. Un esempio è il picchio di Williamson (Sphyrapicus thyroideus), già considerato vulnerabile e la cui presenza sta diminuendo anche nelle aree in cui storicamente si riscontrava un elevato numero di esemplari. In generale, il declino sarebbe particolarmente pronunciato per gli uccelli che si riproducono nelle praterie e nelle zone aride.

    Ecosistemi a rischio

    In Islanda tra le comunità che combattono i “salmoni zombie”

    dal nostro inviato Giacomo Talignani

    29 Aprile 2025

    Nonostante il trend sia generalmente negativo, dallo studio sono emerse anche alcune aree caratterizzate da una certa stabilità nelle popolazioni di uccelli. Per esempio la catena montuosa degli Appalachi, situata nella parte orientale del Nord America, o altre montagne situate nell’area più occidentale, che potrebbero in qualche modo offrire rifugio alle specie che le abitano. In generale, concludono gli autori, oltre a mostrare il contributo che i progetti di citizen science possono dare alla ricerca, i risultati dello studio forniscono utili spunti per quanto riguarda la pianificazione degli interventi di conservazione, specialmente per la grande quantità di dati presa in esame e per l’elevato livello di dettaglio raggiunto in termini di risoluzione spaziale. LEGGI TUTTO

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    La crisi del clima trasforma la vegetazione nell’Artico

    L’Artico è un hot spot del cambiamento climatico, dove le temperature negli ultimi decenni sono salite quattro volte più velocemente della media globale. In condizioni simili, il paesaggio è destinato necessariamente a modificarsi, con il rischio che vengano compromessi i delicati equilibri sviluppati tra flora e fauna in un ambiente tra i più estremi del pianeta. E in effetti, una nuova ricerca pubblicata su Nature fotografa i profondi cambiamenti a cui è andata incontro la biodiversità vegetale dell’Artico negli ultimi 40 anni, cambiamenti destinati con ogni probabilità ad alterare in futuro il funzionamento degli ecosistemi artici e, di conseguenza, la vita di animali, piante e persone che li abitano.

    Crisi climatica

    Nell’Artico trovata una pianta che normalmente cresce in ambienti più caldi

    di Fiammetta Cupellaro

    27 Febbraio 2025

    Uno dei luoghi più colpiti dalla crisi del clima
    In tutto il mondo, d’altronde, il riscaldamento globale sta stravolgendo il modo in cui le piante crescono, il loro areale di diffusione, quali e quante se ne possono trovare. Difficilmente quindi la situazione potrebbe essere diversa nell’Artide, uno dei luoghi colpiti più duramente dai cambiamenti climatici, e in cui la cui flora è estremamente adattata al freddo intenso e all’avvicendarsi delle stagioni che caratterizzano le zone più settentrionali del nostro pianeta.

    Nonostante le ricerche a riguardo anche in passato non siano mancate, fino ad oggi nessuno aveva fornito un’immagine chiara della situazione. È quello che hanno deciso di realizzare gli autori del nuovo studio pubblicato su Nature: una ricerca che ha esaminato la ricchezza di specie vegetali presenti nell’Artico, e la composizione dei suoi ecosistemi, per verificare come stia cambiando questo territorio di frontiera in risposta ai cambiamenti climatici.

    L’aumento delle temperature e l’Artico è sempre più verde  LEGGI TUTTO

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    La “schiuma” biologica e biodegradabile che elimina i Pfas dall’acqua

    Spuma è sinonimo di schiuma, ma nel mondo dell’innovazione ha i connotati di una startup parigina che aspira a distruggere i PFAS presenti nelle acque. La missione è chiara, ma il percorso non è semplice perché si vuole raggiungere l’obiettivo impiegando esclusivamente un additivo a base biologica, biodegradabile e di grado alimentare. Prima di tutto […] LEGGI TUTTO

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    La Noaa smetterà di monitorare i costi dei disastri causati dalla crisi climatica: “Grave perdita”

    “Dal 1980 al 2024 gli Stati Uniti hanno subito 403 disastri meteorologici e climatici con danni/costi complessivi pari o superiori a 1 miliardo di dollari: il costo totale di questi 403 eventi supera i 2.915 miliardi di dollari”. È l’informazione che apre il sito del Billion-Dollar Weather and Climate Disasters, servizio messo in campo dalla […] LEGGI TUTTO

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    Perché il nuovo Papa Leone XIV potrebbe portare nuova luce nella battaglia climatica

    Riuscirà la nuova luce portata da Papa Leone XIV a far riemerge dal buio la lotta alla crisi climatica oggi oscurata da nuovi squilibri globali? È una domanda che molti ecologisti, ambientalisti e persone attente all’ambiente si stanno ponendo dopo l’elezione del nuovo pontefice Robert Francis Prevost. Ci si chiede infatti se il Papa americano sarà in grado di proporre messaggi che sfidino apertamente le politiche di un altro americano, il presidente Donald Trump, che oggi sta contribuendo ad affossare sempre di più la questione ambientale, negando la crisi del clima e cancellando ogni sforzo fatto finora nel tentativo di fermare le emissioni globali che surriscaldano il Pianeta. La risposta, stando alle posizioni tenute da Papa Leone XIV durante il suo percorso da cardinale, potrebbe essere affermativa: Prevost finora ha sempre appoggiato le politiche ambientaliste di Papa Francesco e il senso di quel Laudato Sì che, già nel 2015, diede una grande spinta positiva alle politiche ambientaliste.

    Da Laudato si’ ai messaggi sulla crisi climatica: papa Francesco paladino dell’ambiente

    21 Aprile 2025

    L’idea è che il nuovo papa continui nella stessa direzione, ma come lui stesso ha affermato nel novembre del 2024, sarà necessario passare dalle “parole ai fatti”. Un passaggio dettato dall’urgenza, anche in termini di quelle disuguaglianze sociali da ridurre che è un tema centrale per la Chiesa.

    Curiosamente, proprio il giorno prima della scelta del nuovo pontefice, su Nature Climate Change è stato pubblicato un nuovo studio di un team di ricercatori internazionali che sostiene come il 10% più ricco del mondo sia oggi responsabile di due terzi del riscaldamento globale dal 1990 ad oggi, un fatto che in passato il neo Papa ha implicitamente condannato parlando della necessità di combattere “azioni tiranniche a beneficio di pochi”.

    La nuova ricerca ci ricorda che in sostanza i ricchi, con la loro impronta di carbonio elevata, sono i principali responsabili della crisi del clima che fra aumento delle temperature e riscaldamento dei mari stanno portando ad eventi estremi e siccità che si traducono poi in fame e povertà in molte aree meno sviluppate del Pianeta. Qualcosa che Papa Leone XIV ha potuto osservare da vicino durante le sue missioni in Perù, terra a cui è molto legato e fra le più colpite dalla crisi del clima, così come in larghe parti del Sudamerica, tra cui l’Amazzonia dove a novembre si svolgerà la COP30, Conferenza delle Parti sul clima che potrebbe prevedere anche un intervento del neo Papa. La stessa ricerca parla, a causa delle emissioni dei ricchi, di disuguaglianze sociali e ingiustizie climatiche, sottolineando come i consumi e gli investimenti dei ricchi abbiano avuto un impatto sproporzionato sugli eventi meteorologici estremi e sulle comunità più povere.

    Proprio su questo tema, con parole chiare, si era espresso solo sei mesi fa l’allora cardinale Robert Francis Prevost. “Il dominio sulla natura non deve diventare tirannico” aveva detto”. Deve essere invece un “rapporto di reciprocità” con l’ambiente, sostenne Prevost.

    Stati Uniti

    La Noaa smetterà di monitorare i costi dei disastri causati dalla crisi climatica: “Grave perdita”

    di Luca Fraioli

    09 Maggio 2025

    Durante il suo discorso l’attuale pontefice aveva infatti sottolineato l’urgenza di passare “dal discorso all’azione” parlando di crisi ambientale, un’azione che richiede una risposta radicata nella Dottrina della Chiesa e spiegò come il “dominio sulla natura” delegato da Dio all’uomo non deve essere “dispotico” dato che egli è “amministratore che deve rendere conto del suo lavoro” in un rapporto di “reciprocità” con l’ambiente. “Per questo, la nostra missione è quella di trattarlo come fa il suo Creatore” aveva detto il neo Papa proprio condannando appunto “azioni tiranniche a beneficio di pochi”, una frase che sembra tuttora puntare il dito proprio contro quella parte ricca di mondo che oggi è responsabile di due terzi delle emissioni globali. Sempre Prevost ha poi sottolineato in passato le possibili conseguenze “nocive” degli sviluppi tecnologici, così come evidenziato esempi di “luce” come quelli portati avanti dalla Santa Sede in termini di sostenibilità ambientale, dall’istallazione di pannelli solari sino ai veicoli elettrici e le energie rinnovabili promosse in Vaticano, simbolo di volontà di una svolta green da parte della Chiesa.

    In questo contesto sarà inoltre interessante capire se ora, da Papa, Prevost si esporrà nuovamente contro le politiche del presidente Usa Donald Trump (in passato lo ha contestato su questioni come immigrazione ed espulsioni di cittadini) anche sul clima. Attualmente Trump, dopo l’uscita degli States dagli Accordi di Parigi, sta rilanciando ogni politica anti-clima, dai tagli alla scienza all’implementazione del fossile, del fracking e perfino del deep mining, il tutto mettendosi in contrapposizione al multilateralismo climatico, quello necessario per trovare una soluzione alla crescita delle emissioni. Un negazionismo e oscurantismo sfrenato che, secondo Gina McCarthy, ex amministratrice dell’EPA (Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti, farà si che quando Trump se ne andrà “lascerà dietro di sé una scia di devastazione”. Proprio nella contrapposizione a Trump e alle sue politiche negazioniste Papa Leone XIV avrà l’opportunità di mostrare il suo sostegno al Laudato Si’ e all’implemento al percorso lanciato da Papa Francesco a protezione della natura e delle persone più povere al mondo e più colpite dalla crisi del clima. Volendo, un palcoscenico internazionale per farlo, lo avrà già fra pochi mesi quando a novembre, in Brasile, i leader del mondo si riuniranno alla COP30 per tentare di affrontare con forza la questione climatica, magari appunto con il sostegno del nuovo Papa in nome di quel “fatti” e non solo parole che sono dottrina di Leone XIV. LEGGI TUTTO

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    Qual è la durata media di un impianto fotovoltaico

    Quando si decide di installare un impianto fotovoltaico, uno degli aspetti più importanti da considerare è la sua durata nel tempo. Un impianto fotovoltaico è un investimento che può offrire significativi risparmi energetici, ma è fondamentale capire quanto durerà prima di necessitare di interventi di manutenzione o sostituzione di componenti. Vediamo dunque cos’è un impianto fotovoltaico, da cosa è composto, come funziona, quanto costa, come si installa e perché conviene.

    Come (e dove) si installa un impianto fotovoltaico e quanto costa
    L’installazione di un impianto fotovoltaico è un processo che richiede attenzione a diversi fattori. Prima di tutto, è fondamentale scegliere la posizione giusta. I pannelli devono essere orientati verso il sud, con una inclinazione di circa 30-35 gradi, per massimizzare l’esposizione al sole. I tetti delle case, ma anche i terreni privati, sono i luoghi più comuni per l’installazione. L’installazione vera e propria inizia con il montaggio dei pannelli solari sulla struttura di supporto, che deve essere robusta e resistente agli agenti atmosferici. Successivamente, i pannelli vengono collegati al sistema elettrico tramite cavi e inverter, che convertono l’energia solare in elettricità utilizzabile. È importante che l’impianto sia collegato a un sistema di protezione contro i sovraccarichi e i cortocircuiti.

    Infine, l’installazione deve essere effettuata da professionisti certificati per garantire la sicurezza e il rispetto delle normative locali. Un impianto fotovoltaico ben posizionato e installato correttamente, nonostante l’investimento iniziale – il costo medio è di 8.000 euro – offre energia pulita e risparmi sui consumi a lungo termine.

    Cos’è un impianto fotovoltaico e come funziona: i componenti di un pannello
    Un impianto fotovoltaico è composto da più pannelli fotovoltaici. Ogni pannello fotovoltaico è composto da diversi elementi essenziali che lavorano insieme per produrre energia solare. Il componente principale è la cellula fotovoltaica, che converte la luce del sole in elettricità grazie all’effetto fotovoltaico. Le celle sono realizzate in silicio, un materiale semiconduttore molto efficiente. Le celle vengono poi unite in serie o in parallelo per formare un pannello. Il vetro temperato che ricopre il pannello protegge le celle solari dagli agenti atmosferici, garantendo al contempo una buona trasparenza per il passaggio della luce. Sotto le celle, c’è uno strato di film antiriflesso, che riduce le perdite di luce e migliora l’efficienza del sistema.

    Al di sotto delle celle c’è la cornice in alluminio, che rende il pannello resistente e facile da installare. Inoltre, il cavo di connessione e l’inverter (un dispositivo esterno) trasformano l’elettricità continua in corrente alternata, pronta per l’uso domestico o industriale. Ogni parte di un pannello fotovoltaico ha un ruolo preciso nel garantire una produzione di energia solare ottimale e duratura. È bene controllare con costanza tutte le componenti nel tempo per essere sicuri che il pannello continui a lavorare con efficienza e senza problemi.

    La durata dei pannelli fotovoltaici
    La durata media di un impianto fotovoltaico si aggira generalmente tra i 20 e i 30 anni. I pannelli solari, che costituiscono la parte principale del sistema, sono progettati per durare decenni. La loro efficienza diminuisce leggermente nel tempo, ma con una buona manutenzione e condizioni di utilizzo ottimali, i pannelli possono funzionare anche oltre i 30 anni. In media i pannelli fotovoltaici perdono circa 0,5% – 1% della loro efficienza ogni anno. Questo significa che dopo 20-25 anni, i pannelli potrebbero generare circa l’80% dell’energia che producevano inizialmente, mantenendo comunque un buon rendimento. Alcuni produttori offrono garanzie di 25 anni sul rendimento, assicurando che i pannelli non scendano sotto una certa soglia di efficienza.

    Durata degli inverter
    Uno degli altri componenti cruciali di un impianto fotovoltaico è l’inverter, che trasforma l’energia prodotta dai pannelli in corrente alternata utilizzabile in casa. La durata dell’inverter è più breve rispetto a quella dei pannelli fotovoltaici: generalmente è tra i 10 e i 15 anni. A causa dell’usura e della continua operatività, potrebbe essere necessario sostituirlo prima di altri componenti. La durata dell’inverter dipende da vari fattori, tra cui la qualità del modello, la manutenzione e le condizioni ambientali. Un inverter ben mantenuto e di alta qualità può durare più a lungo, ma in generale, è una parte dell’impianto che richiede attenzione periodica.

    Manutenzione e cura dell’impianto fotovoltaico
    Per prolungare la durata di un impianto fotovoltaico è fondamentale eseguire una manutenzione regolare. In genere i pannelli fotovoltaici richiedono poca manutenzione, ma è consigliabile pulirli periodicamente per rimuovere polvere, foglie o sporco che potrebbero ridurre l’efficienza. Inoltre è consigliato monitorare l’impianto tramite appositi sistemi di controllo che permettono di rilevare eventuali anomalie o cali di rendimento. L’inverter, invece, potrebbe necessitare di ispezioni più frequenti. In alcuni casi, potrebbe essere utile farlo sostituire prima che raggiunga la fine della sua vita utile, per garantire il massimo della performance dell’impianto. In generale, dunque, un impianto fotovoltaico è una soluzione a lungo termine che può durare tra i 20 e i 30 anni, con i pannelli solari che continuano a produrre energia per la maggior parte di questo periodo. Nonostante la necessità di sostituire l’inverter ogni 10-15 anni, l’investimento iniziale si ripaga nel tempo grazie ai risparmi sulla bolletta energetica. LEGGI TUTTO