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Joseph Aschbacher (Esa): “Esploriamo lo Spazio per proteggere il nostro pianeta”

Cercare esopianeti lontani, provare a tornare sulla Luna, corteggiare Marte. Ma, soprattutto, prendersi cura della Terra: il primo pensiero dei programmi spaziali europei è per il nostro pianeta. Lo dice chiaramente la dichiarazione di intenti contenuta nella “Strategy 2040” dell’Agenzia spaziale europea (Esa), il documento programmatico che ridisegna le ambizioni spaziali comunitarie per i prossimi quindici anni, ponendo come obiettivo principale, per l’appunto, la tutela della Terra e del suo clima. Un cambio di paradigma che mette la sostenibilità, terrestre e orbitale, al centro di ogni futura missione dell’Agenzia. Sono tante le strategie già in atto per riuscirci, dalla raccolta dati di programmi come Copernicus e Osservazione della Terra alla creazione di “gemelli digitali” del nostro pianeta per simulare gli impatti del riscaldamento globale, fino alla “caccia” ai detriti spaziali. Eppure, per Joseph Aschbacher, dal 2021 alla guida dell’Agenzia spaziale europea, tutto questo è solo l’inizio.

Editoriale

Un satellite ci salverà

07 Ottobre 2025

Lo abbiamo incontrato a Vienna, a margine del “Living Planet Symposium”, la più importante conferenza mondiale sull’osservazione della Terra, e ci ha raccontato la prospettiva di un futuro in cui lo Spazio diventa lo strumento principale per comprendere e preservare il mondo.

La protezione del Pianeta e la lotta alla crisi climatica sono gli obiettivi prioritari dell’Agenzia. Qual è lo scenario attuale?

“L’Europa può essere molto orgogliosa di quello che ha raggiunto. Abbiamo il gold standard dei dati e delle infrastrutture di osservazione della Terra. Le immagini e i dati di Sentinel, per esempio, che abbiamo sviluppato attraverso il programma Copernicus, o quelli di satelliti come Biomass, da poco lanciato nell’ambito del programma di Osservazione della Terra, non hanno paragoni nel misurare il polso del nostro pianeta. Abbiamo satelliti meteorologici di altissimo livello, sia geostazionari che in orbita solare; abbiamo sviluppato satelliti più piccoli, le cosiddette Scout Missions, per testare nuove tecnologie come, per esempio, l’elaborazione delle immagini direttamente nello Spazio grazie a chip con intelligenza artificiale. Naturalmente, per avere un valore reale, questi dati e misurazioni devono trasformarsi in servizi ai cittadini: per questo motivo, negli ultimi trent’anni abbiamo costruito un sistema per monitorare parametri relativi all’atmosfera, agli oceani, alla superficie del Pianeta, alle regioni polari, per capire insomma come funziona il “sistema Terra” dal punto di vista geofisico. Contemporaneamente, abbiamo messo a punto un flusso robusto per la distribuzione dei dati: ne disseminiamo gratuitamente 350 terabyte ogni giorno, informazioni utilizzate per l’agricoltura, per la silvicoltura, per le risorse naturali, per la gestione dei disastri, per la pianificazione urbana, per il controllo del traffico aereo e navale e molto altro”.

Cosa ci aspetta nei prossimi anni?

“Il meglio deve ancora venire. Lanceremo sei nuove famiglie di satelliti Sentinel per misurare l’anidride carbonica, per il monitoraggio della massa di ghiaccio, per immagini iperspettrali, e molto altro. Ma non solo: l’Intelligenza artificiale ci assisterà sempre di più nell’elaborazione dei dati e nella costruzione dei cosiddetti “gemelli digitali”, delle “copie” del nostro pianeta con le quali potremo simulare scenari climatici e chiederci, per esempio, cosa accadrebbe se la temperatura aumentasse di 1,5, 2,5 o 4 gradi. Quali sarebbero le conseguenze per l’innalzamento del livello del mare, per la siccità, per le migrazioni? E quale sarebbe l’impatto sociale? Che effetto avrebbero le eventuali contromisure? Sono informazioni preziose per poter intervenire in modo efficace. C’è poi un secondo elemento, che riguarda la protezione da minacce come gli asteroidi: stiamo sviluppando missioni per monitorarli e capire come deviarli in caso di pericolo”.

La ricerca spaziale può guidare concretamente la transizione ecologica in settori come l’agricoltura o la gestione idrica. In che modo?

“C’è molto che possiamo fare. Abbiamo lanciato un progetto pilota in Austria chiamato “Green Transition Information Factory”: uno strumento basato su dati spaziali che fornisce informazioni su dove installare i pannelli fotovoltaici analizzando l’esposizione al Sole dei tetti, dove posizionare le pale eoliche, qual è l’impatto della transizione verso le auto elettriche o della decarbonizzazione dell’industria. È un esempio perfetto di come la combinazione di dati satellitari, modelli, IA e approccio simulativo possa aiutare un Paese a prendere le decisioni giuste”.

La sostenibilità non riguarda solo la Terra, ma anche lo Spazio stesso. Come state lavorando per rendere le missioni più sostenibili e affrontare il problema dei detriti spaziali?

“È un punto che naturalmente ci sta molto a cuore. Più satelliti lanciamo, più inquiniamo le orbite. Oggi abbiamo circa 11 mila satelliti attivi, e il rischio di collisione è enorme. Per questo la nostra agenzia ha elaborato la Zero Debris Charter, la Carta per i Zero Detriti, dove abbiamo chiesto agli stakeholder di sottoscrivere volontariamente alcuni principi fondamentali. Il primo, e più importante, è che alla fine della vita di un satellite ci impegniamo a portarlo fuori dall’orbita, perché non lasci detriti in orbita o sul nostro pianeta: vuol dire progettare fin dall’inizio le missioni con abbastanza carburante per la deorbitazione e in modo che brucino completamente al rientro nell’atmosfera, senza che nessun detrito arrivi a terra. La Carta, al momento, è un impegno volontario, ma il fatto che la abbiano già sottoscritta grandi industrie e Paesi, anche extra-europei, è un segnale molto buono. Ovviamente, nel prossimo futuro, tutto questo dovrà essere regolamentato in modo molto più rigoroso”.

Per realizzare tutto questo bisogna anche guardare al portafogli: come pensate di rimanere competitivi con l’ingresso di attori privati e ben sovvenzionati, specie negli Stati Uniti?

“Oggi, circa il 60% dei fondi pubblici globali per lo Spazio è negli Stati Uniti, mentre l’Europa ha solo il 10%. Eppure con così poco siamo riusciti a “catturare” il 22% del mercato commerciale globale, grazie a un programma di commercializzazione molto efficiente. Ma non basta: servono più fondi pubblici per creare le condizioni di sviluppo giuste, altrimenti rischiamo che le migliori aziende e i migliori talenti lascino l’Europa. Ricordo che SpaceX è diventata quello che è oggi soprattutto grazie ai fondi pubblici stanziati da Nasa e Space Force: l’Europa potrebbe fare lo stesso. Abbiamo già il talento, l’expertise e la conoscenza necessari”.

L’ultimo obiettivo della vostra Strategia è “Ispirare l’Europa”. Qual è il messaggio di speranza che vuole lanciare l’Agenzia spaziale per il futuro?

“Lo Spazio è, per definizione, fonte di ispirazione per tutti. Tutti sognano lo Spazio. Vorrei che questa ispirazione arrivasse anche ai bambini, fin dall’infanzia, attraverso il sistema educativo. A ispirare gli adulti sono la portata e le ambizioni dei nostri progetti: i razzi Ariane e Vega, i programmi faro Copernicus e Galileo, Ers, una nuova costellazione per la resilienza dallo spazio, e Iris, l’equivalente europeo di Starlink per le comunicazioni sicure. C’è però una debolezza che ancora dobbiamo superare: pur portando avanti una ricerca d’eccellenza e avendo a disposizione tecnologia dirompente e all’avanguardia, in Europa però produciamo ancora pochi satelliti. Dobbiamo fare un passo ulteriore, passare alla produzione di massa, costruendo costellazioni di centinaia, se non migliaia di satelliti, come fanno in Cina e negli Stati Uniti. È il percorso che stiamo cercando di seguire: nel momento in cui saremo davvero competitivi anche sotto questo aspetto, l’Europa potrà davvero essere leader nel mondo”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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