“Disinvestire dalla guerra – Investire nella transizione giusta!”. È questo il motto che ha accompagnato la Settimana di azione globale per la Pace e la Giustizia Climatica, rilanciata in Italia dalla Rete Italiana Pace e Disarmo. Un appuntamento che ha riunito reti pacifiste, ambientaliste, associazioni, giovani e comunità locali, nato dalla consapevolezza che pace e clima sono due dimensioni inscindibili della stessa sfida. E tra le voci emerse, una è diventata sempre più urgente: la giustizia climatica non è solo un principio politico. È un obbligo giuridico.
Il parere della Corte Internazionale di Giustizia
A sancirlo, lo scorso luglio, è stato il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite: gli Stati hanno l’obbligo legale di agire per prevenire i danni del cambiamento climatico, proteggere i diritti fondamentali e cooperare attivamente per la mitigazione della crisi. Un principio che, secondo l’avvocato Daniele Marra, esperto di diritto della salute ambientale, si innesta pienamente nel nostro ordinamento. “L’articolo 38 dello Statuto della Corte Internazionale considera la consuetudine tra le fonti giuridiche vincolanti” spiega Marra. “E se è vero, ed è vero, che una consuetudine si forma attraverso una pratica costante e la convinzione che sia obbligatoria, allora l’obbligo di difendere il clima esiste da tempo”. Il parere della Corte sottolinea, ad esempio, che l’impegno a ridurre le emissioni previsto dal Protocollo di Kyoto — pur riferito al periodo 2013/2020 — continua ad avere effetto giuridico. “L’assenza di un nuovo periodo temporale” si legge nel testo, “non priva quel trattato della sua validità legale”.
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Le radici dell’obbligo dello Stato
Secondo Marra, il parere mostra chiaramente come le norme sul clima si siano stratificate nel tempo, fino a delineare un obbligo vero e proprio per gli Stati. Dalla Conferenza ONU di Stoccolma del 1972 al Rapporto Brundtland del 1984, fino alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite del 1992 e l’Accordo di Parigi del 2015 emerge un dovere di cooperazione e un’obbligazione di risultato: garantire ai cittadini un ambiente salubre. “È evidente la presenza dei due elementi che definiscono una norma consuetudinaria” osserva Marra. “La pratica costante degli Stati e la convinzione della sua obbligatorietà. Questo rende l’obbligo di difendere il clima vincolante, anche in assenza di un trattato formale”. È un dovere che prevale perfino sulla sovranità statale, come dimostra un caso del 1941 tra Canada e Stati Uniti: lì, una sentenza arbitrale stabilì per la prima volta che nessuno Stato può usare il proprio territorio in modo da danneggiare un altro Stato. “Già allora, si riconosceva l’obbligo di agire contro l’inquinamento transfrontaliero, riducendo la sovranità del singolo stato inquinante” aggiunge.
La legge del clima è già scritta
Oggi, quel principio vale anche per la crisi climatica e può e deve essere fatto valere anche nei tribunali italiani. “I magistrati hanno già oggi le basi giuridiche per riconoscere l’obbligo dello Stato a difendere il clima come parte del diritto consuetudinario, e dunque pienamente applicabile, anche in Italia. Lo prevede l’articolo 10 della nostra Costituzione, che impone il rispetto delle norme internazionali generalmente riconosciute”. Anche la giurisprudenza nazionale si sta muovendo in questa direzione. Con l’azione nota come Giudizio Universale, lo Stato italiano è stato portato in tribunale per inazione climatica. Recentemente, nella causa intentata da Greenpeace e ReCommon contro ENI e altri soggetti pubblici e privati — la cosiddetta Giusta Causa — la Corte di Cassazione ha riconosciuto, nel luglio 2025, che è possibile promuovere azioni civili contro comportamenti che violano obblighi climatici internazionali. Un precedente che potrebbe aprire le porte a un contenzioso strutturato anche in Italia. “Se il diritto a un ambiente salubre è già riconosciuto sia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sia dall’articolo 37 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, allora già oggi i giudici italiani possono applicare quel principio, riconoscendo che lo Stato ha il dovere giuridico di proteggere il clima” ribadisce l’avvocato romano. La giustizia climatica, insomma, non è più un’utopia. È un obbligo che ha già varcato le soglie dei tribunali. Ora, chiede solo di essere applicato.