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Archeoplastica, il museo degli oggetti gettati nel mare e riapparsi dopo decenni

Quella che per anni è stata una semplice abitudine personale – raccogliere rifiuti durante le passeggiate sulla spiaggia – si è trasformata per Enzo Suma, guida naturalistica di Ostuni, in una missione di sensibilizzazione ambientale. Sulle spiagge assolate del Salento, nel cuore della Puglia, dove il mare sta riportando a riva oggetti di plastica dimenticati, logorati dal tempo e sbiaditi dal sole. Gettati via decenni fa oggi ritornano, spiega l’attivista, con le loro storie che rappresentano un ammonimento. “Il mare ci sta sputando in faccia i nostri rifiuti”, afferma Suma oggi fondatore di Archeoplastica, il museo online degli antichi rifiuti spiaggiati: oltre 500 reperti plastici restituiti dal mare. La sua storia è apparsa sul quotidiano inglese The Guardian.

Prodotto tra il 1966 e il 1969 dalla Montecatini Edison Spa di Milano (dal sito di Archeoplstica) 

Un museo che nasce dalle onde

Laureato in Scienze Ambientali all’Università Cà Foscari di Venezia, Suma ha sempre amato fare lunghe passeggiate sulla riva del mare. A fargli cambiare il modo di osservare il mondo è stato il ritrovamento sulla spiaggia di un oggetto apparenza insignificante: un vecchio flacone di crema solare, una marca ormai dimenticata e che ora riaffiorava abbandonata tra la sabbia. A colpirlo particolarmente l’etichetta del prezzo ancora espresso in lire. Incuriosito, Suma scoprì che risaliva alla fine degli anni ’60. “Una cosa è sapere che la plastica in mare dura decenni – ha raccontato – e un’altra è vederlo con i propri occhi”.

Era il 2018 e quel momento segnò l’inizio di Archeoplastica, un museo virtuale e itinerante che oggi espone centinaia di oggetti raccolti sulle spiagge italiane: contenitori per il cibo, flaconi di detersivo, giocattoli, bottiglie, persino dischi in vinile. Ogni reperto è catalogato, fotografato e studiato, trasformandosi in testimone silenzioso della storia del nostro rapporto con la plastica. Tra i reperti più antichi spicca un tappo di bottiglia del 1958 con il marchio Moplen, trovato in Emilia-Romagna. Questo nome commerciale identificava il polipropilene isotattico, materiale plastico sviluppato dalla Montecatini, simbolo dell’avvento dell’era della plastica.

Il flacone di crema solare noto in una pubblicità degli anni ’70. La sua forma era considerata innovativa (dal sito di Archeoplastica) 

Plastiche d’epoca

Ogni oggetto racconta una storia del nostro modo di consumare: c’è così una bottiglietta a forma di clown degli anni ’60, usata per contenere miele e venduta solo in Grecia, e riemersa sulle coste pugliesi. Un flacone rosa di talco prodotto in Germania negli anni ’50, confezioni di Nesquik degli anni ’80 e un pallone souvenir dei Mondiali di Italia ’90. L’oggetto più sorprendente? Un 45 giri del 1965, “Il Mondo” di Jimmy Fontana, ritrovato da un bambino di 7 anni su una spiaggia del Salento. Il vinile, deformato dal tempo e incrostato di cirripedi, è stato raddrizzato dal nipote di Suma e riprodotto su un vecchio giradischi. “Saltava molto, ma si riconosceva perfettamente la canzone”, racconta. I mesi invernali, quando i turisti sono lontani e le autorità prestano meno attenzione, sono il periodo più proficuo per le raccolte di Suma e del suo team

Ogni anno, circa 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, trasportate dai fiumi o abbandonate sulle spiagge e nei mari. Un recente studio ha definito la plastica una “minaccia crescente, grave e sottovalutata” per la salute umana e del pianeta. Mentre si moltiplicano le iniziative di riciclo e le campagne di sensibilizzazione, la produzione mondiale di plastica continua a salire vertiginosamente, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e nelle economie emergenti.

Pallone campionato Italia ’90 (dal sito di Archeoplastica) 

Il passato che inquina

L’obiettivo di Archeoplastica non è solo documentare l’inquinamento, ma educare. Per questo motivo il museo organizza esposizioni temporanee in istituzioni culturali e scuole, mostrando oggetti che suscitano stupore, nostalgia e riflessione. Ogni pezzo racconta una doppia storia: quella del prodotto e quella del tempo trascorso nell’ambiente. Archeoplastica non vuole demonizzare la plastica in sé, ma il suo abuso. Suma lo dice chiaramente: “Non possiamo più permetterci di considerare la plastica un materiale usa e getta. Ogni oggetto che buttiamo oggi, potrebbe tornare tra 50 o 100 anni, intatto“. Archeoplastica, nel suo piccolo, ricorda che ogni gesto conta. E che ogni oggetto raccolto sulla sabbia non è solo un rifiuto, ma un frammento di storia.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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