Un bikini a 7 euro, un vestito a 5,50, una t-shirt a 3,80. Potrebbe essere questa la lista dello shopping online di ultra fast fashion. Un affare per il portafoglio, una catastrofe per l’ambiente. Per questo la Francia ha dichiarato guerra al settore, approvando il primo disegno di legge al mondo che prende di mira le piattaforme cinesi di ecommerce Shein e Temu, che prosperano grazie a produzione di massa e prezzi stracciati.
Tasse ambientali e divieto di pubblicità
Il provvedimento, già proposto nel 2024 senza successo, prevede anzitutto l’attribuzione di un punteggio ambientale per ciascun articolo venduto, in base a parametri come emissioni, consumo di risorse, riciclabilità. I prodotti peggiori saranno soggetti a un’eco-tassa fino a 5 euro per capo, destinata ad aumentare a 10 euro entro il 2030, fermo restando che l’imposizione non potrà superare il 50% dell’importo richiesto. Un introito che, nelle intenzioni, dovrà contribuire a finanziare la moda sostenibile.
Inoltre, dato che abbigliamento e accessori a basso costo sono equiparati alle sigarette in termini di danno ecologico, è vietata qualsiasi forma di pubblicità: messi al bando gli spot su media tradizionali e online e sanzionati gli influencer che fanno promozione sui social. Ulteriori disposizioni includono una tassa sui pacchi provenienti da Paesi extra-europei per colpire le filiere globali di approvvigionamento, oltre all’abolizione della gratuità dei resi, imponendo così un costo a carico del consumatore.
Gli obiettivi della norma
“La nostra ambizione è ridurre gli acquisti d’impulso, che hanno gravi ripercussioni ambientali, sociali, economiche”, ha spiegato Anne-Cécile Violland, deputata dell’Alta Savoia del gruppo Horizons & Indépendants e prima firmataria della normativa. La relatriceha anche fatto riferimento ai dati riportati dall’Agenzia francese per l’ambiente e la gestione dell’energia (Agence de l’environnement et de la maitrise de l’énergie, Ademe), secondo la quale ogni secondo vengono scartati 35 capi di abbigliamento.
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La risposta delle imprese asiatiche
Non si è fatta attendere la replica di Shein che, secondo un’analisi condotta dall’agenzia France Presse, avrebbe realizzato, dal 22 maggio al 5 giugno 2025, ben 7.220 nuovi articoli in media al giorno. Il portavoce dell’azienda, Quentin Ruffat, ha avvertito che il disegno di legge potrebbe “avere un impatto sul potere d’acquisto” dei consumatori francesi. Di fatto, le due imprese nel mirino si trovano ora davanti a una scelta strategica per reagire alla pressione normativa crescente: tentare di adeguarsi, investendo in strutture operative sul territorio e accettando maggiori costi, oppure limitare le attività in Francia o eliminarle del tutto.
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Le critiche degli ambientalisti
La nuova misura, pur essendo stata elogiata come un passo avanti importante, ha anche attirato alcune critiche per aver tralasciato gran parte dei principali attori del settore. Dalle restrizioni restano, infatti, esclusi i marchi fast fashion tradizionali, come Zara, H&M, Primark e la francese Kiabi. Un’omissione voluta per proteggere l’industria locale e i posti di lavoro. “Il testo prenderà di mira solo due brand, lasciando fuori almeno il 90% della produzione low cost. Un’opportunità mancata”, ha stigmatizzato Pierre Condamine, attivista di Friends of the Earth France. Dello stesso avviso l’associazione Stop Fast Fashion, che ha lamentato l’impatto troppo circoscritto del provvedimento.
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I passi precedenti e quelli successivi
La legge, che ha ricevuto il via libera dal Senato il 10 giugno 2025 con un consenso quasi unanime (337 voti favorevoli e uno contrario), aveva già avuto un’accoglienza favorevole in Commissione Sviluppo Sostenibile il 7 marzo scorso ed era stata esaminata dall’Assemblea nazionale il 14 marzo. In settembre passerà al vaglio di una Commissione congiunta di senatori e deputati e dovrà poi essere notificata alla Commissione europea per garantire la conformità con i regolamenti comunitari. Resta significativo che la Francia, una delle capitali mondiali della moda, sia ora disposta a legiferare contro gli eccessi di un comparto che ne ha da sempre caratterizzato l’identità culturale ed economica.