Quindici milioni di animali allevati a scopo alimentare sono morti negli ultimi sei anni a causa degli eventi climatici estremi. Con un costo, in termini economici, di 143 miliardi di dollari all’anno. Abbandonati a sé stessi nel corso di alluvioni o a seguito di frane, in più casi vittime delle ondate di calore in aumento. Ma se gli allevamenti intensivi pagano dazio alla crisi climatica in corso, c’è un’altra prospettiva che evidenza come siano parte del problema. Già, perché i sistemi alimentari generano circa un terzo delle emissioni globali di gas serra: il settore zootecnico, dominato dall’allevamento intensivo, produce più emissioni dirette di tutti gli aerei, i treni e le automobili del mondo messi insieme. Numeri destinati fatalmente ad aumentare. Un circolo vizioso climatico denunciato con forza dal report “Climate Doom Loop: Factory Farming’s Toll on Animals, Farmers and Food” (testualmente Circolo vizioso del clima: il costo dell’allevamento intensivo su animali, allevatori e cibo), pubblicato in queste ore da Compassion in World Farming (CIWF) in occasione della Conferenza sul cambiamento climatico, in corso in questi giorni a Bonn.
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Effetti devastanti dopo l’alluvione in Emilia Romagna
Il report parte dall’analisi dei casi studio di alcuni climatici estremi avvenuti negli ultimi anni in varie regioni del mondo, quantificando il loro impatto distruttivo sugli animali, la produzione agricola e le persone. E tra gli esempi ce n’è uno che riguarda da vicino l’Italia: nel maggio 2023, denuncia infatti il report, l’alluvione in Emilia-Romagna ha avuto un impatto devastante sugli animali negli allevamenti. Oltre 5.000 allevamenti sono stati sommersi, con conseguenze importanti su circa 250.000 bovini, pecore, capre e suini. Danneggiati anche altri 400 allevamenti avicoli e 45.000 alveari. Per un totale di danni al settore zootecnico quantificabili in una cifra compresa tra i 300 e i 400 milioni euro, mentre Confagricoltura Ravenna ha stimato danni complessivi per 1,5 miliardi di euro.
Nel dettaglio, a San Lorenzo più di 60.000 galline sono morte quando i capannoni si sono allagati. A Bertinoro, come documentato dall’organizzazione “Essere Animali”, un capannone industriale con migliaia di suini è stato sommerso. “In un altro allevamento a Bagnacavallo, i maiali nuotavano dentro e fuori dai recinti”, si legge nel report.
Vittime di uragani, tifoni e ondate di calore
Nel report sono analizzati altri disastri climatici, naturalmente: dal tifone che nel 2024 ha colpito il Vietnam (portando alla morte di oltre 5 milioni di avicoli, 44.000 bovini e migliaia di suini) all’uragano Helene, che negli Stati Uniti ha causato la morte di un numero compreso tra i 2 e i 5 milioni di polli. E ancora: in Francia, nel 2023, 750.000 polli sono morti soffocati e di spossamento a causa di ondate di calore estreme. Infine, il Brasile: qui, nel 2024, una catastrofica alluvione ha provocato la morte diretta di 1,2 milioni di avicoli, oltre 14.000 bovini allevati per la carne e 14 mila suini. Per danni al settore zootecnico di circa 190 milioni di euro. Ancora, andando a ritroso: circa 163.000 animali allevati uccisi dallo stress da calore nei Paesi Bassi nell’estate del 2019.Il punto è che gli eventi climatici estremi sono quadruplicati in frequenza dagli anni ’70 ad oggi: per questo, sottolinea il report, “senza un’azione urgente questo bilancio è destinato ad aumentare notevolmente”.
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“Pratiche più responsabili e minore consumo di carne”
Ma il circolo vizioso, come si accennava, è nel contributo che lo stesso settore degli allevamenti intensivi fornisce, inequivocabilmente, alla crisi climatica in corso. Un contributo che, denuncia il report, rischia di crescere nei prossimi anni, con la crescita della popolazione mondiale. E se alcuni attori propongono un’intensificazione “sostenibile” della produzione, 200 esperti di clima, alimentazione e agricoltura la respingono, ponendo l’accento sulla necessità, sempre più inderogabile, di ridurre il consumo di carne, soprattutto in quello che viene definito Nord Globale, vale a dire l’insieme dei paesi più ricchi e industrializzati del mondo, spesso caratterizzati da economie avanzate. Proprio così: se la domanda globale di carne continuerà al ritmo attuale, sottolinea il report, il settore potrebbe contribuire ad aumentare il riscaldamento globale di quasi 1°C entro il 2100, “rendendo quasi impossibile rispettare l’Accordo di Parigi sul limite di 1,5° e aumentando la probabilità di disastri climatici sempre più gravi”.
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Cambiamento climatico e sicurezza alimentare
“Il report – commenta Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia – mostra come milioni di animali allevati muoiano ogni anno a causa di inondazioni, temporali e ondate di calore causate dai cambiamenti climatici, ma anche come sia il sistema stesso in cui vengono allevati a peggiorare la situazione. E del resto questi eventi meteorologici estremi, sempre più frequenti, sono catastrofici anche per le persone, la sicurezza alimentare e la fonte di sostentamento degli agricoltori”. Già, ma come invertire il trend? “I governi – spiega Pisapia – devono agire con urgenza per ridurre le emissioni, la produzione zootecnica e il consumo di carne nei Paesi più ricchi, e al contempo elaborare piani adeguati alla resilienza climatica”: Necessario, secondo CIWF Italia, che gli allevatori abbandonino “il sistema intensivo, crudele e insostenibile, e adottare pratiche responsabili, rispettose del clima e della natura. Gli animali allevati, le economie e il cibo nei nostri piatti – conclude Pisapia – sono tutti seriamente in pericolo: dobbiamo agire ora, prima che sia troppo tardi”.