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C’era una volta l’Amazzonia, il WWF: “In 15 anni rischiamo di perderla”

C’era una volta l’Amazzonia. Con alte probabilità, a meno di una inversione di rotta netta, questo in appena quindici anni potrebbe essere il titolo non di una favola, ma di un libro di storia. L’Amazzonia, grande polmone verde del mondo, continua a stare male: soffre per gli effetti della deforestazione, degli incendi e della perdita di biodiversità ed arranca davanti alla crisi climatica mentre si sta pian piano trasformando da foresta pluviale a savana.

L’ennesimo grido d’allarme lo ha lanciato nelle ultime ore il WWF con una campagna chiamata SOS Amazzonia e la diffusione di un report che svela come fra appena 15 anni le condizioni della gigantesca area forestale sudamericana potrebbero essere irreversibili. “I dati indicano come purtroppo dal 1970 le pressioni causate dall’uomo su questo importante ecosistema siano aumentate esponenzialmente. Ad oggi ben il 17% della foresta amazzonica è stato perso. Nonostante i tassi di deforestazione si siano stabilizzati, si sta approcciando un pericoloso tipping point (ovvero a un punto di non ritorno) che ne comprometterebbe definitivamente la resilienza” fanno sapere dal WWF specificando che “se un ulteriore 5% di foresta amazzonica venisse distrutta, la foresta amazzonica perderebbe definitivamente la sua resistenza e resilienza venendo sostituita da un’arida savana”.

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Lo scenario indicato dal WWF è talmente plausibile che quest’anno, anche nel tentativo di portare gli occhi del mondo proprio sulla salute della grande foresta, la Conferenza mondiale delle parti sul Clima, la COP30, si terrà proprio in Brasile a Belém, nel cuore dell’Amazzonia. L’idea del governo Lula, che secondo i dati attuali ha in parte fermato i tassi di deforestazione, è anche quella di mostrare ai leader del Pianeta cosa rischiamo di perdere senza una efficace protezione dell’Amazzonia. Eppure, nonostante annunci e proclami sulla sua difesa, l’Amazzonia oggi continua ad essere sotto forte pressione: la deforestazione per favorire il mercato della soia e dell’agricoltura intensiva, gli incendi, l’impatto del comparto minerario così come gli effetti del riscaldamento globale innescato dalle emissioni umane, continuano a mantenere la “febbre” alta.

In più, ora le politiche dei dazi imposti dal presidente Usa Donald Trump rischiano – come avvenuto durante il suo primo mandato e il braccio di ferro commerciale con la Cina – di trasformare nuovamente l’Amazzonia in territorio da predare per le sue risorse naturali. Non solo: ad aprile, fanno sapere dall’Istituto nazionale di ricerca spaziale del Brasile (Inpe), c’è stato un aumento del 55% delle segnalazioni di disboscamento della foresta pluviale amazzonica rispetto allo stesso mese dello scorso anno.

Deforestazione

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Ciononostante, il Brasile per esempio ha annunciato una politica di “zero deforestazione” entro il 2030 che però senza sforzi unitari e globali indica una tabella di marcia impossibile da rispettare. Nel frattempo, denuncia il WWF, altre zone – come la Bolivia – stanno vedendo continue perdite di foresta pluviale amazzonica. “La Bolivia è il Paese in cui la foresta amazzonica presenta i trend più preoccupanti. A differenza degli altri Paesi sudamericani, in questa nazione la deforestazione è raddoppiata rispetto a inizio XXI secolo. La foresta amazzonica boliviana si estende per 55 milioni di ettari, terza dopo Brasile e Perù. Seppur rappresenti solo l’8% dell’estensione totale, l’Amazzonia andina (ovvero peruviana e boliviana) è considerata tra le più affascinanti e ricche in termini ecologici e culturali.

Tuttavia, dal 1990 il 34,7% della foresta amazzonica boliviana è stato perso a causa di deforestazione (19.4%, circa 8 milioni di ettari, due volte la Svizzera, di cui 5 milioni dopo il 2000) e degrado forestale (15.3%)” ricordano dall’associazione ambientalista. In Bolivia, come in altre aree amazzoniche, il fenomeno degli incendi boschivi è in crescita e si parla di “circa 3,8 milioni di ettari che vengono percorsi annualmente dalle fiamme in media, colpendo anche aree protette o territori indigeni.

Nel 2024 la siccità è stata prolungata con precipitazioni ben sotto la media e venti più forti: condizioni perfette per incendi intensi e di rapida espansione. Sono stati oltre 6 milioni di ettari percorsi dalle fiamme per circa 250.000 roghi. Oltre a danni economici e biodiversità, ci sono state conseguenze anche per la salute umana”. Per questo, nel ricordare che per l’Amazzonia “l’attraversamento di un punto di non ritorno provocherebbe effetti a cascata potenzialmente irreversibili”, il WWF oggi chiede a tutti coloro che vogliono sostenere il futuro della grande foresta pluviale di aderire alla campagna “SOS Amazzonia”: dal 5 al 25 maggio sarà possibile inviare un SMS solidale al n. 45584, oppure si può contribuire andando direttamente sul sito dell’associazione.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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