Un “reset” alla logica delle zero emissioni. Un malcelato invito a rallentare la transizione energetica basata sulla eliminazione dei combustibili fossili a breve termine e sulla riduzione dei consumi. Perché? Perché è un approccio “destinato a fallire”, trattandosi di strategie ambientali “irrazionali”, legate a una “piattaforma climatica irrealistica e quindi impraticabile”. E soprattutto perché sarebbe sbagliato, sostiene, chiedere agli elettori dei Paesi sviluppati sacrifici finanziari e cambiamenti allo stile di vita “quando si sa che il loro impatto sulle emissioni globali è minimo”. Lui è Tony Blair, ex primo ministro britannico (lo è stato da 1997 al 2007). E dire che al suo nome sono legate le prime reali misure contro il cambiamento climatico nel Regno Unito, facendo del contrasto al global warming una priorità nel G8 del 2005. Oggi, scrive il “Guardian”, potrebbe invece diventare “una seria minaccia per una politica climatica sensata”. A far emergere nuove preoccupazioni il documento che il Tony Blair Institute for Global Change (TBI), il suo think tank, ha pubblicato nei giorni scorsi. La prefazione è proprio a firma di Blair. Pochi i giri di parole. “I leader politici – scrive – sanno che il dibattito è diventato irrazionale. Ma sono terrorizzati all’idea di ammetterlo, per paura di essere accusati di essere negazionisti del clima”.
“Un rapporto confuso e fuorviante”
Immediate le reazioni. Di “rapporto confuso e fuorviante” parla per esempio l’economista Nicholas Stern, la cui storica analisi del cambiamento climatico, pubblicata proprio dal governo Blair nel 2006, è diventata punto di riferimento. “Si stanno facendo molti più progressi in tutto il mondo per decarbonizzare l’economia globale di quanto si pensi. – aggiunge – E il rapporto minimizza il contributo della scienza, in quanto non percepisce il senso di urgenza né la necessità che il pianeta raggiunga l’obiettivo di zero emissioni nette il prima possibile, al fine di gestire la crescita degli impatti del cambiamento climatico che stanno già danneggiando famiglie e imprese in tutto il mondo e nel Regno Unito. Rimandare è pericoloso”. Di “analisi debole e soluzioni sbagliate” parla, invece, Bob Ward, direttore politico del Grantham Research Institute della London School of Economics: “Si trascura la certezza che più tempo ci vorrà per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette nel Regno Unito e nel mondo, più famiglie e imprese soffriranno dei crescenti impatti del cambiamento climatico“.
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E il rischio insito nel dossier è che, come denuncia Shaun Spiers, direttore esecutivo del think tank “Green Alliance”, “si maturi l’idea che gli attivisti abbiano già fatto la loro parte e ora combattere il cambiamento climatico sia un compito per le élite, non per la gente comune”. Il che favorirebbe “il gioco dei populisti minando il sostegno del grande pubblico al contrasto diffuso al cambiamento climatico”. Un vero e proprio polverone, che ha spinto il Tony Blair Institute for Global Change a parlare di cattive interpretazioni, provando a sottolineare come gli autori del rapporto si siano già pronunciati a favore degli obiettivi e delle politiche per le zero emissioni nette. Un dietro front poco convincente, tanto più che il rapporto è stato intanto ben accolto di conservatori, a cominciare dalla leader Kemi Badenoch, leader del Conservative Party, che sul tema ha da tempo le idee chiare. E dal fronte progressista arrivano letture più profonde sulle posizioni di Blair in merito alla crisi climatica e, ancor di più, sulla sua vicinanza alle petrolpotenze arabe. Frequentazioni e consulenze che, a partire dalle sue dimissioni da primo sinistro, avrebbero influenzato la visione di Blair. Insomma, per dirla con una delle fonti citate dal “Guardian”, “aggirarsi in cerchie di potere espressione di nazioni autoritarie e con politiche spesso basate sui combustibili fossili avrebbe distorto la sua visione”.
L’amicizia con Al Jaber, mister Cop 2023
Sotto la lente d’ingrandimento anche la presunta amicizia con Sultan Ahmed Al Jaber, ceo della compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi Uniti, la Adnoc, tra le figure imprenditoriali più imponenti dell’intero mondo arabo e presidente della Cop28 del 2023, ospitata da Dubai (con buona pace degli ambientalisti, che a lungo contestarono la scelta). Il ruolo di Blair da consigliere di Al Jaber, in quella circostanza, non sarebbe in discussione, malgrado TBI abbia dichiarato al “Guardian” che l’ex primo ministro non fosse stato pagato. Nel corso della Cop, ad ogni modo, si raggiunse lo storico accordo di “abbandonare i combustibili fossili”. Eppure a quella successiva, in Azerbaigian, altro stato dalla forte vocazione petrolifera, con un ruolo diretto del think tank di Blair, i riferimenti alla transizione dai combustibili fossili sparirono, come per incanto. E chissà cosa accadrà a novembre in Brasile, dove ci sarà il vertice Cop30: il Paese, che conta di riaffermare l’impegno di eliminare gradualmente i combustibili fossili spingendo i paesi a presentare nuovi piani per la riduzione delle emissioni di gas serra, avrebbe rifiutato l’offerta di una consulenza gratuita del think tank di Blair. Che, per inciso, nel contestato rapporto della scorsa settimana ha scritto, senza troppi fronzoli: “Qualsiasi strategia basata sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili a breve termine o sulla limitazione dei consumi è una strategia destinata a fallire”.
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Il “Guardian” ha così provato a capire quanto le relazioni di Blair in Medio Oriente, dove ha a lungo ricoperto l’incarico di inviato per la pace, abbiano inciso sulla sua visione. E da un portavoce di TBI arriva una risposta quasi seccata: “Perché chi non è d’accordo con le argomentazioni esposte da TBI nel documento non le affronta, invece di concentrarsi sulle presunte motivazioni?”. Ribadendo come “una politica basata sull’eliminazione a breve termine dei combustibili fossili semplicemente non è credibile, me dimostrano i fatti. La domanda di combustibili fossili sta aumentando, non diminuendo. E molti paesi in via di sviluppo hanno bisogno sia dell’energia che del reddito che deriva dai combustibili fossili“. Di qui l’esigenza di “un mix di politiche differenti”, dicono le fonti vicine a Blair. “Da buon sussurratore globale, Blair non fa altro che proporsi come consigliere”, denuncia Tom Burke, co-fondatore del think tank verde E3G. “Ma quello che ha detto è nell’interesse dei gruppi sauditi che hanno donato milioni al suo istituto, non certo di tutti noi”, aggiunge Ami McCarthy, responsabile politico di Greenpeace UK.