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Lavori green, l’ingegnere meccanico: “Sui monti e in laguna ci mando il robot”

Quando Manolo Garabini ha iniziato, da studente, ad avvitare bulloni a zampe e bracci meccanici, tutto ciò che fa ora, a 40 anni, mentre progetta robot da liberare nelle lagune sarde o nei boschi dello Stelvio, non era nemmeno immaginabile. “Internet era ancora agli albori, il libretto era cartaceo, si faceva tutto in presenza – ricorda – e ancora nel 2010 si lavorava per far uscire i robot dalle fabbriche. Portarli nella foresta era fantascienza”.

Garabini, professore di Robotica all’Università di Pisa, ora ne costruisce ancora di più particolari. Li hanno soprannominati con un nome che a un bambino cresciuto negli anni ‘80 fa brillare gli occhi: i “transformers”. Anymal, per esempio, è un “cane”, ha quattro zampe e ruote: “Le zampe garantiscono di superare gli ostacoli, le ruote un’autonomia maggiore”.

Manolo Garabini insegna Robotica all’Università di Pisa, dove vengono sviluppati robot a quattro zampe capaci di raggiungere luoghi impervi per il monitoraggio ambientale e industriale 

Dal laboratorio del suo team del centro di ricerca Enrico Piaggio dell’Università di Pisa, escono i prototipi che faranno il “lavoro sporco”: monitorare sul campo gli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi naturali: “Il Green Deal europeo prescrive una serie di politiche, – spiega – una di queste è il monitoraggio di Natura 2000 Network: un report sullo stato della salute degli habitat, per poi decidere quali interventi eseguire”.

Il compito di Anymal è di riconoscere petali e foglie, censire specie vegetali tipiche ed esotiche per il progetto Natural Intelligence. Gli strumenti a bordo sono principalmente camere e laser: “Con un database di immagini di piante, l’algoritmo è in grado di riconoscerle in una nuova foto. Siamo affiancati da team di botanici esperti – sottolinea Garabini – in Sardegna in collaborazione con l’Università di Sassari, per gli ambienti alpini c’è l’Università di Milano. Il laser lidar invece scansiona l’ambiente per una mappa in 3D. Dalla forma si riescono a riconoscere le piante ad alto fusto”. Tutto invece di impiegare persone per battere chilometri quadrati di dune, boschi di montagna e lagune: “Con una flotta di robot – aggiunge – non servirà impiegare sul campo botanici esperti di specifici habitat, basterà un tecnico inviato da chi fornisce il servizio”.

Tutto grazie alla rivoluzione avvenuta negli ultimi anni: “Batterie e motori più compatti e potenti, con più movimenti, più leggeri e più autonomia”. E l’intelligenza, “cervelli” più economici e performanti, nati grazie ai progressi nel campo delle Cpu e dell’Intelligenza artificiale. Risultato: “Cinque anni fa c’erano appena un paio di robot quadrupedi e costavano attorno ai 100mila euro. Ora partiamo da 20mila euro e produttori sono una decina”.

Natural Intelligence è concluso, ma il team di Garabini è impegnato in altri progetti di trasferimento tecnologico come Neutraweed, per riconoscere specie infestanti ed eliminarle in maniera meccanica, minimizzando l’uso di pesticidi in agricoltura; e Lookout robotics, sostenuto da Roboit, veicolo finanziario di Cassa depositi e prestiti, per il monitoraggio ambientale e industriale. Garabini lavora con un team multidisciplinare: ingegneri meccanici, robotici, elettronici e di software, oltre agli esperti dalle università di tutto il mondo: “L’importante, nello studio, è avere basi solide – dice – e aggiornarsi su tecnologie che cambiano velocemente. Poi, la robotica è chiamata anche ‘l’arte dell’integrazione’”.

Un’altra applicazione per i robot è quella degli scenari di disastro naturale. Nel 2017, Walkman, teleguidato, sviluppato in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia e l’Università di Manchester, si è avventurato tra le macerie e nelle stanze degli edifici di Amatrice, il paesino laziale raso al suolo dal terremoto del Centro Italia.Quando Manolo Garabini ha iniziato a pensare che da grande avrebbe costruito robot, non sapeva nemmeno di voler cambiare il mondo: “A Ingegneria meccanica, ci sono arrivato grazie al professor Antonio Bicchi: mi piaceva l’idea di rendere elegante, bello, quasi artistico, il moto di una macchina”.

Poi la riflessione si è spostata sulle potenzialità di questa tecnologia per le sfide del nostro tempo: “Quella ambientale, ma pensiamo anche alle catene di approvvigionamento: dovremo essere in grado di gestire tutto senza sfruttare le persone. I robot saranno fondamentali anche per la cura di una popolazione che comincerà a decrescere e invecchiare”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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