in

Così gli ombrelli rotti possono avere una seconda vita

Secondo la Global Umbrella Survey, una persona possiede in media almeno due ombrelli in un determinato momento, numero che aumenta (oltre tre) nelle zone più colpite dalle piogge, e può perderne fino a 64 nel corso della vita. Si calcola, inoltre, che annualmente nel mondo ne finiscano nelle discariche oltre 1,1 miliardi, il che equivale a materiale sufficiente per costruire 25 Tour Eiffel.

Altre analisi si sono concentrate sull’effettivo impiego del dispositivo, partendo dal fatto che, in base alle statistiche sulle precipitazioni nelle città europee, i giorni di pioggia in un anno risultano in media 104 (minimo 43, massimo 199). Utilizzando i dati del Main Place of Work and Commuting Time del 2020, si evince poi che il tempo medio minimo di spostamento di un lavoratore nei centri urbani è di 1,5 ore al giorno. L’uso medio previsto si può, quindi, calcolare moltiplicando 104 giorni per 1,5 ore, ottenendo così 156 ore annue.

Dal telaio al puntale

Vari gli elementi di cui è composto un ombrello. C’è anzitutto il telaio, che conferisce la caratteristica forma a cupola ed è solitamente formato da pannelli: sei per i modelli pieghevoli e otto per quelli standard. C’è poi l’asta, di solito cava, sulla quale poggiano le altre componenti. E ancora, ci sono le stecche, chiamate anche nervature o centine, che costituiscono la struttura dell’oggetto, correndo dalla cima al bordo; il puntale, che può assumere varie forme (piatto, a punta, a cono); il manico, curvo oppure dritto.

Elevato impatto ambientale

A sottolineare gli esiti negativi per l’ambiente della produzione di ombrelli è un report realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Università Aalto, in Finlandia. “Gli effetti sfavorevoli sono correlati a uso di risorse, emissione di gas serra, impiego di materiali potenzialmente tossici”, si legge nel documento. “Cause dell’elevato impatto sono soprattutto i granulati di polipropilene e i lingotti di alluminio”.

Di fronte a ciò gli studiosi propongono di intervenire limitando l’impiego di polipropilene nel processo produttivo. “La prima alternativa potrebbe essere il legno”, sostengono. “La seconda il bambù, una risorsa rinnovabile a crescita rapida, che ha la capacità di assorbire efficacemente l’anidride carbonica e che vanta ottime qualità fisiche. La sua resistenza può, infatti, essere paragonata a quella dell’acciaio”. Un altro fattore importante è impiegare materiali riciclati per le parti in tessuto, come poliestere riciclato o poliammide riciclata.

Riparare con fili e colla

Nel frattempo, i consumatori possono fare molto a favore della sostenibilità. “Un ombrello ha di solito vita breve”, sottolineano gli esperti. “Basta, per esempio, una forte raffica di vento perché si capovolga, con conseguente sollecitazione delle giunture e rottura di alcune componenti”.

Prima di buttarlo, è sempre bene prendere in considerazione l’idea di ripararlo, anche se non è facile. Quando, per esempio, il tessuto del telaio è strappato o rotto, è possibile cucirlo con un filo dello stesso colore. Si può, invece, utilizzare un pezzo di filo metallico per legare i pezzi dislocati di una stecca rotta, rimettendola al suo posto. Quando è poi il manico a essersi staccato, basta mettere un po’ di supercolla nel foro e lasciarla asciugare durante la notte per riposizionarlo.

Riciclare con creatività

Nel caso in cui la riparazione non sia fattibile, si può puntare a riutilizzare l’ombrello donandogli una seconda vita. Alcune idee? Il telaio può essere trasformato in un paralume colorato per rallegrare un corridoio, una mansarda, una taverna. Le coperture trasparenti in plastica e le stecche sono, invece, ideali per coprire e proteggere le piante del giardino o dell’orto, in modo da realizzare una sorta di piccola serra. Capovolgendo l’ombrello e appendendolo in veranda o sulla terrazza è poi possibile realizzare un comodo cesto, da riempire magari con dei fiori. Infine, rimuovendo i manici curvi dal resto del dispositivo e attaccandoli a una barra di legno o di plastica si può ottenere un ottimo attaccapanni.

Chi non avesse la manualità o il tempo sufficiente per realizzare queste creazioni può sempre mandare i propri ombrelli rotti in uno dei numerosi punti di raccolta del marchio R-Coat, presenti in Italia e in Portogallo. Grazie a questa iniziativa, fondata nel 2018 da Anna Masiello, i dispositivi scartati diventano cappelli, giacche, marsupi, elastici per capelli, bijoux realizzati a mano da un team di sarte che lavora in un piccolo atelier nei pressi di Lisbona.

E se proprio non si riesce né a riparare, né a trasformare, né a inviare l’ombrello guasto, l’opzione migliore è smembrarlo nelle sue varie componenti, che dovranno poi essere conferite nell’immondizia separatamente, tenendo conto dei materiali di cui ciascuna è formata.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


Tagcloud:

Dai cuccioli di tigre alle scimmie: sequestrati 20mila animali vivi destinati al commercio illegale

Agrifoglio, come prendersi cura della pianta dalle bacche rosse