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Londra accelera sulla riduzione delle emissioni: giù dell’81% rispetto al 1990 entro 10 anni

La decarbonizzazione accelera proprio lì dove tutto era cominciato: nella Gran Bretagna patria del carbone e della macchina a vapore. Due secoli e mezzo dopo l’avvio della Rivoluzione industriale, Londra annuncia un taglio delle emissioni di CO2 che, se rispettato, la metterebbe tra i Paesi più virtuosi nella lotta ai cambiamenti climatici. Poche ore fa il governo britannico ha infatti comunicato formalmente alle Nazioni unite i suoi nuovi Ndc (contributi determinati a livello nazionale), ribadendo il suo impegno a ridurre le emissioni dell’81% entro il 2035, rispetto ai livelli del 1990.

In realtà, già lo scorso novembre a Baku nel corso di Cop29 il primo ministro britannico Keir Starmer aveva anticipato un taglio così drastico delle emissioni di gas serra. Ora la formalizzazione, in anticipo sulla scadenza prevista dall’Unfccc, l’organismo Onu che si occupa di cambiamenti climatici: tutte le nazioni aderenti all’Accordo di Parigi dovranno presentare entro febbraio i loro Ndc. L’obiettivo è arrivare alla Cop30 di Belem, in Amazzonia, il prossimo novembre, con un quadro chiaro degli impegni presi dai singoli governi, nella speranza che siano sufficienti a tenere il riscaldamento del Pianeta entro 1,5 gradi rispetto all’era pre-industriale, o comunque al di sotto dei 2 gradi. Il piano climatico del governo Starmer è molto ambizioso, perché promette di non estrarre più petrolio e gas. Ed è allineato con gli obiettivi globali di triplicare l’energia rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica, come indicato dalla risoluzione finale della COP28 tenutasi a Dubai nel 2023.

Entusiasta Simon Stiell, segretario esecutivo della Unfccc: “L’anno scorso nel Regno Unito sono stati investite più di un trilione di sterline in energia pulita. Il nuovo, audace piano per il clima significa che quel Paese è in grado di trarre ancora profitto dal boom dell’azione per il clima. Più posti di lavoro, più investimenti, più sicurezza energetica e più crescita economica fluiranno verso coloro che agiscono in fretta. Altri Paesi, nel G20 e in tutto il mondo, dovrebbero seguire l’esempio”. Non lo seguiranno certamente, almeno a livello di governo federale, gli Stati Uniti di Donald Trump, che hanno avviato le pratiche per uscire dall’Accordo di Parigi, nonostante Biden, nei suoi ultimi giorni da presidente, avesse promesso per il 2035 un taglio del 61-66%, rispetto ai livelli del 2005. La speranza è che i singoli Stati americani, sia democratici che repubblicani, mantengano gli impegni presi in fatto di decarbonizzazione.

Cruciali saranno gli impegni della Cina, il più grande emettitore di gas serra del mondo. C’è chi auspica che possa ridurre del 30% le sue emissioni entro il 2035, in modo da rendere plausibile la promessa, fatta qualche anno fa, di diventare carbon neutral nel 2060 (mentre l’Occidente si è dato come tempo limite il 2050). E l’Unione europea? Non ha ancora presentato i nuovi Ndc e probabilmente non riuscirà a farlo entro la scadenza di febbraio. In ballo c’è un emendamento alla Legge europea sul clima per introdurre il target del 90% di riduzione al 2040 e appunto il target per il 2035. Resta l’obiettivo più ravvicinato, (ufficializzato da Bruxelles nel 2020) di ridurre di “almeno” il 55% le emissioni entro il 2030.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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