Ci sono aridificazione, che indica l’estensione del clima siccitoso ad aree in precedenza temperate, e downburst, evento estremo caratterizzato da forti correnti d’aria discensionali che in prossimità del suolo si trasformano in venti violentissimi. E ancora: fire weather, letteralmente meteo da fuoco, che ha creato condizioni ideali per gli incendi che hanno colpito Los Angeles, ed e-fuel, il combustibile di origine sintetica prodotto utilizzando energia elettrica da fonti rinnovabili.Si parla sempre più di apartheid climatico, ovvero l’emarginazione di gruppi di popolazione a causa del climate change, e climatariano, termine che definisce chi è particolarmente attento all’alimentazione come strumento di mitigazione del riscaldamento globale.
La lingua cambia e si evolve e il cambiamento climatico, fenomeno senza precedenti in termini di dimensioni e conseguenze potenziali, impone di utilizzare nuove strategie per comprenderlo. Con parole e unità lessicali del tutto nuove che si radicano nell’immaginario collettivo, finiscono sui giornali e in televisione, si diffondono nelle comunità di parlanti.
Scienza
Dal clima alle pandemie, cosa ci aspetta nel 2025 secondo “Science”
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Ora è un progetto di ricerca, Néofix, che coinvolge il Centro di Ricerca Interdipartimentale per le Lingue e le Letterature Straniere (CRILLS) diretto da Raffaella Antinucci dell’Università di Napoli Parthenope e l’Università Paris Nanterre, con il sostegno dall’Académie Française, a esaminare l’elenco corposo di neologismi che, come spiegano le ricercatrici Silvia Zollo e Pauline Bureau, “designano forme di risposta al cambiamento climatico, ovvero unità lessicali introdotte di recente il cui referente costituisce una forma di azione climatica in sé o uno strumento che promuove l’azione in questione”. Non tutte le parole si affermano, né lo fanno con la stessa efficacia: è, come accade sempre, la comunità di parlanti a certificarne l’indice di penetrazione.
Che vuol dire marsification?
“Unità lessicali come come climate change adaptation, Net zero emission, marsification (l’unione di ‘Mars’ e ‘colonisation’, viene utilizzata tanto per indicare il progetto di una colonia sul pianeta Marte quanto per descrivere la trasformazione del nostro pianeta in una landa arida e desolata simile al pianeta rosso, ndr), la gettonatissima giustizia climatica (o climate justice, la correlazione tra il cambiamento climatico e le sue implicazioni sociali e politiche, specialmente per le classi sociali meno agiate) ed energy sobriety sono manifestazioni di un certo adattamento del linguaggio a questo fenomeno, che si rinnova in risposta all’introduzione di nuovi strumenti per affrontarlo”, spiega ancora la ricercatrice. Per identificare e analizzare i neologismi il team di ricerca ha assunto come riferimento soprattutto testi in italiano e in francese che trattano di questioni climatiche: relazioni di esperti sul clima e articoli di stampa, ma anche racconti di fantasia sul cambiamento climatico, noti in inglese come climate-fictions o “cli-fi”, un genere letterario relativamente libero da vincoli metodologici e stilistici rispetto al discorso degli esperti. “L’ipotesi di fondo è che alcuni di questi neologismi possano rivelarsi un mezzo per arricchire la gamma di strumenti linguistici e concettuali per immaginare il cambiamento climatico o influenzare l’azione climatica”, spiegano i ricercatori.
“Treintrots”, un’espressione ad hoc per chi preferisce il treno
Di qui, per esempio, l’avanzata – per la verità solo nei linguaggi specialistici – di espressioni come flygukam e treintrots, prestiti dallo svedese che designano la ‘vergogna di volare in aereo’ (gli aerei sono tra i principali responsabili delle emissioni di CO2) e ‘la propensione a vantarsi di viaggiare in treno’. Diffusa anche nel linguaggio dei media, rileva la ricerca, l’espressione climate finance, che si riferisce ai finanziamenti messi a disposizione per implementare progetti di mitigazione e adattamento dei cambiamenti climatici.
La storia
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Qualcuno ha detto Pirocene?
Si adeguano anche i dizionari. Treccani ha già accolto alcuni inglesismi sempre più pervasivi come carbon neutrality, espressione che indica l’obiettivo di bilanciare le emissioni di anidride carbonica, climate resilience (la capacità di adattamento a eventi climatici estremi) e l’ormai diffuso greenwashing – che designa pratiche ingannevoli di marketing ecologico da parte delle aziende senza reale impegno per la sostenibilità. Trovano spazio anche negazionismo climatico e l’iconico Pirocene, che indica “il periodo storico più recente, caratterizzato dall’aumento della quantità di incendi di vaste proporzioni collegati al peggiorare delle condizioni climatiche provocato dal riscaldamento globale”.
E anche i curatori dei dizionari Zingarelli 2024 e 2025 hanno intensificato l’attenzione verso il linguaggio emergente legato al cambiamento climatico. “Del resto, i neologismi riflettono la crescente preoccupazione e consapevolezza dell’impatto ambientale nella società contemporanea”, spiegano Zollo e Bureau. Termini come climaturgente e sostenibilità attiva sono stati inclusi, ad esempio, per descrivere il crescente impulso verso l’azione climatica e la responsabilità collettiva: una evoluzione linguistica che evidenzia non solo la necessità di adattare il linguaggio alle problematiche odierne, ma anche il ruolo cruciale della lingua nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni ambientali. E ci sono poi eco-colpa ed eco-bara, resilienza climatica e climate diplomacy, oltre all’ormai dilagante ecoansia, forma di disagio psicologico provocato – soprattutto all’interno della Generazione Z – dalla consapevolezza dei problemi ecologici). “Una marea di neologismi che non solo arricchiscono il linguaggio – spiegano i ricercatori – ma stimolano anche una riflessione critica e il dialogo collettivo sulle sfide ambientali contemporanee”.