Le hanno raccolte ed esaminate, approfonditamente. E dalle gazze marine trovate morte nel corso della stagione invernale 2022-2023, in cui un nutrito contingente di almeno 750 individui ha svernato eccezionalmente lungo le coste italiane, è arrivata un’amara conferma: nel 66% dei casi le carcasse contenevano plastica, divisa equamente tra frammenti e fibre. Arriva da un nuovo studio, condotto dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università degli studi di Napoli Federico II e l’Istituto portoghese MARE – Centro di Scienze Marine e Ambientali/ARNET e pubblicato sulla rivista “Marine Pollution Bulletin” un quadro non troppo incoraggiante sull’inquinamento da plastica nel Tirreno centrale, potenziale concausa del decesso di molti esemplari dell’uccello marino, tipico del Nord Atlantico, nella cui dieta compare quasi esclusivamente pesce pelagico.
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Plastica nello stomaco e nel fegato
L’esame delle carcasse è stato, a quanto pare, inequivocabile: la plastica era presente soprattutto nello stomaco, seguito dal muscolo pettorale, e alcune fibre plastiche sono state trovate anche nel fegato. Negli animali raccolti, il 38 % degli elementi plastici era al di sopra dei 5 millimetri, mentre il 62% rientrava nel “range” delle microplastiche. Il polimero più rappresentato è risultato essere il polietilene (comparso nel 55% dei casi), seguito dal polipropilene (24,1%). Il primo è generalmente utilizzato per la produzione di sacchetti e bottiglie, il secondo è impiegato soprattutto nella produzione di contenitori per detersivi e yogurt.
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Una minaccia alla biodiversità del Mediterraneo
Anche se basati su un campione relativamente piccolo, i dati attestano la presenza ed abbondanza di plastiche in quest’area del Mediterraneo per la gazza marina, certificandone l’impatto su una specie particolare di uccello originario dei Mari del Nord, dove invece l’interazione con la cosiddetta marine litter non sarebbe così significativa: studi scientifici analoghi indicano infatti una presenza dello 0-1% su oltre 500 carcasse raccolte fra le coste dell’Inghilterra e dalla Scozia. Altre ricerche – concentrate in un’area di studio compresa tra Irlanda e Norvegia – segnalano addirittura la completa assenza di plastica nelle gazze marine trovate morte. Non è invece nuova l’evidenza per il Mar Mediterraneo, il cui bacino semichiuso rischia fatalmente di rivelarsi un hotspot per le microplastiche: qui le loro concentrazioni risultano circa quattro volte superiori, ad esempio, a quelle dell’Oceano Pacifico settentrionale.
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Ed è proprio sull’interazione tra marine litter e biodiversità marina – che nel Mediterraneo si traduce nella presenza di un numero prossimo alle 17 mila specie – che si gioca una partita importante per il futuro dell’intero pianeta.Qui, i primi studi sull’avifauna avevano del resto già ‘fotografato’ le dimensioni del fenomeno: una ricerca realizzata lungo le coste catalane ha evidenziato come 113 uccelli su 171 esaminati (66%) avevano ingerito plastica.
Nessun dubbio sugli effetti deleteri, sugli uccelli come sugli altri vertebrati, dell’ingestione di plastiche: su tutti, il blocco o il danneggiamento del tratto digestivo, che può portare alla malnutrizione e, nei casi più gravi, anche alla morte. In particolare, negli uccelli marini l’ingestione di plastica può indurre anche un tipo di fibrosi, diagnosticata per la prima volta nel 2023 e denominata – per l’appunto – plasticosi: una patologia che si traduce in cicatrici diffuse, ispessimenti dei tessuti e danni di vario tipo.
Plastiche come “trappole olfattive”
“Ad oggi – annuisce Carola Murano, ecotossicologa del Dipartimento di Ecologia Marina Integrata della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e del Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC )- sono state prodotte prove evidenti che questi contaminanti emergenti si trovano ovunque, a partire dai posti che crediamo più remoti, come i due poli, fino ad arrivare al nostro piatto. Non solo, è ormai noto che le micro e nanoplastiche causano degli impatti negativi negli organismi marini e anche nell’uomo, collegati principalmente a condizioni di disturbo dell’omeostasi cellulare e a stress ossidativo provocando così fenomeni a cascata che possono determinare disturbi riproduttivi, immunologici e comportamentali. Il nostro studio rappresenta un piccolo tassello di un mosaico a vastissima scala a cui la comunità scientifica sta lavorando per la determinazione della magnitudo di questa contaminazione al fine di proteggere la biodiversità marina”.
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“Si è a lungo pensato che le plastiche e le microplastiche venissero solo ingerite e poi espulse attraversando il tratto digestivo. – annota Raffaella Casotti, altra ricercatrice coinvolta nello studio – Questo e altri studi mostrano invece che le microplastiche, così come le nanoplastiche, vengono ritrovate anche in altri organi e in tessuti, il che mostra la loro pervasività e potenziale pericolosità”.“L’avifauna marina, se monitorata adeguatamente, può essere una sentinella importante per comprendere le quantità di plastica presenti in mare ed i loro effetti sugli organismi. – conclude l’ornitologo Rosario Balestrieri – L’ingestione di plastica da parte degli uccelli spesso non è casuale ma intenzionale: i detriti plastici, colonizzati alghe ed altri microrganismi, hanno infatti caratteristiche olfattive simili a quelle di un pesce morto. Gli uccelli, ingannati da ‘questa trappola’, ingeriscono i frammenti plastici con conseguenti impatti negativi sulla loro salute”.