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La virtù di tacere: nel secolo dell’ingorgo delle parole il silenzio è d’oro se non viene imposto

Si potrebbe sviluppare l’argomento in questo modo. Il Novecento è stato il secolo in cui ci siamo alzati tutti in piedi per dire la nostra. Nei partiti e nei movimenti di massa abbiamo condiviso un’intuizione decisiva: per esistere occorreva tappezzare le piazze di linguaggio. Il silenzio era il male degli ultimi, era un sintomo di oppressione e di morte. La presa di parola doveva migliorare il mondo. In parte l’ha fatto.

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20 Giugno 2024

L’obbligo di parlare

Così abbiamo chiesto alla tecnologia di fornirci gli strumenti più perfetti che cercavamo… e l’obbligo di tacere è diventato l’obbligo di parlare, il “Taci, anzi parla!” di Carla Lonzi. Le parole hanno invaso ogni vico e ogni campiello. A corto di spazio, ci siamo chiesti se non fosse il caso di tornare sui nostri passi. Ma come riproporre, ora, quelle orazioni da pomeriggio domenicale, quei discorsi senza replica, quei funerali senza applauso?

Tacere non un obbligo ma la nostra virtù

Il silenzio ci serviva: ma come riprendercelo? Forse con una semplice regola: tacere dev’essere, come ha scritto Cesare Pavese, non un obbligo ma la nostra virtù. Può nutrire il riconoscimento e lo scambio solo se ce ne facciamo carico in prima persona. Il silenzio imposto continua a essere violenza, anche adesso che i violenti hanno imparato a bloccare il traffico delle idee con ingorghi di parole. L’altro silenzio, quello che più ci serve oggi, può esistere a una sola condizione: che l’abbiamo scelto quando potremmo liberamente parlare.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/scuola_e_universita/rss2.0.xml


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