Se fossi una ragazza di oggi scriverei questo, sulla prova di un poeta prima interventista e poi combattente con dolore. In pochi versi rarefatti secondo gli stilemi della poesia ermetica, Ungaretti ci restituisce un’istantanea della guerra che sta vivendo. Apre con l’immagine buia dell’uomo in trincea, così sovrapponibile ai giovani interrati che ogni giorno vediamo nei cunicoli in Palestina o nell’Europa dell’est.
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20 Giugno 2024
Nella quartina centrale quell’“uomo di pena”
La quartina centrale lo qualifica come “uomo di pena”, anche questa una definizione che ci colpisce, forse di nuovo giusta per le nostre guerre. Non avremmo mai immaginato che una poesia ispirata alla Prima Guerra Mondiale potesse avere una tale presa sul nostro presente, che non fosse solo riferita a una Storia lontana. Ci coglie invece con tutti i nervi scoperti.
Il coraggio di chi combatte
Dov’è il coraggio di chi combatte? Di certo non nell’azione, sembra dirci Ungaretti, non nell’assalto al nemico che può consegnarti alla morte.
Lo sguardo del poeta
Il rimando è a un coraggio più profondo che riconosce la fragilità di una condizione estrema e sospesa. Eppure anche lì non viene meno lo sguardo del poeta che trasfigura anche i dettagli minori e li converte in illusioni, o persino in speranze. Basta un riflettore nemico per cambiare la nebbia in un mare, forse solcato da una nave, nel vuoto della pagina intorno. In un altro vuoto, quello in cui non è più tollerabile stare, cerchiamo una direzione nel pellegrinaggio che tocca anche a noi.
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