“Hanno lottato per salvare le balene. Riusciranno a salvare sé stessi?”. Se lo è chiesto l’altro giorno il New York Times, alla vigilia di una udienza decisiva in un processo che vede sul banco degli imputati Greenpeace. La causa riguarda il ruolo dell’associazione ambientalista nelle manifestazioni organizzate ormai un decennio fa contro un oleodotto vicino alla riserva Sioux di Standing Rock, nel Dakota del Nord. La Energy Transfer, proprietaria dell’infrastruttura, accusa Greenpeace di aver appoggiato attacchi illegali al progetto e aver condotto una “vasta e maligna campagna pubblicitaria” che è costata denaro all’azienda. La compagnia vuole 300 milioni di dollari di danni. Una richieste che se accolta dalla giuria metterebbe in pericolo l’esistenza stessa di Greenpeace, o almeno della sua, fondamentale, sezione statunitense: “Una tale perdita in tribunale ci potrebbe costringerla a chiudere i nostri uffici americani”, hanno ammesso gli attivisti.
L’associazione si è mobilitata in tutto il mondo, a difesa di Greenpeace Usa: da questa mattina sul sito della sezione italiana è aperta una petizione che partendo dal processo in corso, allarga la lotta al revisionismo climatico di questi ultimi mesi: “Greenpeace è sotto attacco. Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”, si legge nella pagina web dedicata a alla raccolta delle firme.
Sostenibilità
Lavori green, l’avvocato che difende l’ambiente: “Tante battaglie per il bene di tutti”
09 Marzo 2025
“La gigantesca compagnia petrolifera Energy Transfer ha intentato una causa contro Greenpeace negli Stati Uniti e contro Greenpeace International per 300 milioni di dollari. In un contesto in cui politici negazionisti della crisi climatica, come Trump o Milei, governano interi Paesi, la battaglia per il futuro del pianeta e dei suoi abitanti è in serio pericolo”.
Eppure Greenpeace non è nuova a battaglie durissime, sul campo, nei mari, sui ghiacci… ma anche nelle aule di tribunale. Perché il processo intentato dall’Energy Transfer rischia di fare la differenza? L’entità dell’indennizzo richiesto: 300 milioni di dollari sono quasi dieci volte il budget di Greenpeace Usa (nel 2020 era di 40 milioni). Anche una condanna in primo grado, comporterebbe comunque un anticipo tale da far saltare il banco dell’associazione statunitense. Ma il pericolo è più ampio. E non riguarda solo Greenpeace. Il processo dell’oleodotto contrastato dai Sioux è solo la punta dell’iceberg di una generale tendenza a “punire un ambientalista per zittirne 100”.
Focus
Ranger, meteorologi, studiosi del clima: chi ha perso il lavoro negli Usa negazionisti di Trump
28 Febbraio 2025
Lo nota oggi anche la voce della City londinese, il Financial Times: “Greenpeace contro Big Oil: il caso che mette alla prova la libertà di parola nell’era Trump”. Per restare negli Stati Uniti, pochi giorni fa un’altra notizia dello stesso tenore: il climatologo Michael Mann, che nei mesi scorsi aveva vinto una causa per diffamazione da un milione di dollari, contro chi lo aveva accusato di truccare i dati sul riscaldamento globale, ora dovrà restituire oltre la metà: 530 mila dollari, perché secondo un giudice i suoi avvocati avrebbero utilizzato prove false nel corso del procedimento. In base a una recente legge anti-proteste, in Australia decine di attivisti sono stati arrestati al porto del carbone di Newcastle alla fine del 2024 dopo aver utilizzato kayak e gommoni per protestare contro la struttura: è iniziato il processo e loro si dichiareranno in massa “non colpevoli”, come raccontava ieri il Guardian.
A inaugurare il filone del giro di vite giudiziario contro gli attivisti climatici era stata la Gran Bretagna, dove erano andate in scena anche le manifestazioni più partecipate e, al tempo stesso controverse: il leader e fondatore di Extinction Rebellion Roger Hallam, sta scontando 5 anni di carcere per aver organizzato un blocco stradale nei pressi di Londra. In inglese il fenomeno si è meritato perfino un acronimo, SLAPP: Strategic lawsuit against public participation, causa strategica contro la partecipazione pubblica).
https://www.greenandblue.it/2025/03/18/news/greenpeace_usa_causa_energy_transfer-424070218/
Appunto, si fa causa a una associazione o a singoli cittadini, per intimidire gli altri e scoraggiarli dal protestare. D’altra parte gli uffici legali di colossi come la Energy Transfer sono attrezzatissimi e con budget che permettono loro di affrontare anni di specie processuali. Sul fronte opposto organizzazioni che si sostengono grazie alle donazioni dei simpatizzanti. Nell’Unione europea il problema è noto, tanto che esiste una normativa che tutela i cittadini e le associazioni vittime di Slapp. Ed è per questo che Greenpeace International, il cui quartier generale è in Olanda, vuole che per la vicenda dell’oleodotto del Nord Dakota a decidere sia un tribunale del Vecchio Continente.
Nello specifico della contesa, l’associazione afferma di aver svolto solo un ruolo minore e pacifico nella protesta guidata dagli indigeni e che, appunto, il vero scopo della causa è quello di limitare la libertà di parola non solo all’interno dell’organizzazione, ma anche in tutta l’America. Sushma Raman, direttrice esecutiva ad interim di Greenpeace Usa, ha definito il processo nel Dakota del Nord “un test critico per il futuro del Primo Emendamento”. Energy Transfer, in una nota dei suoi legali, afferma che la vicenda non ha niente a che fare con la: “Si tratta del fatto che non hanno rispettato la legge”.
Tuttavia il processo aveva già ottenuto un risultato, ancora prima di cominciare. Come ricorda il New York Times, all’inizio del 2023, Greenpeace Usa aveva festeggiato la nomina di Ebony Twilley Martin come direttore esecutivo, “la prima donna di colore direttore di un’organizzazione non-profit ambientale statunitense”. Ma Twilley Martin ha lasciato quel ruolo solo 16 mesi dopo, uno sviluppo che, scrive il quotidiano newyorkese, “due persone a conoscenza della questione hanno detto essere stato in parte dovuto a disaccordi sull’opportunità di accettare un accordo con Energy Transfer”. Nelle prossime ore si scoprirà se Greenpeace oltre alle balene sarà riuscita a salvare se stessa. Oppure se le Slapp avranno inferto un nuovo duro colpo alla libertà di espressione.