Il governo muove una nuova pedina verso il ritorno del nucleare civile in Italia. Ma la partita per andare a dama è ancora tutta da giocare, è l’esito non è affatto scontato. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha inviato a Palazzo Chigi una proposta di disegno di legge delega “in materia di nucleare sostenibile” che, se approvato dal governo getterà le basi per ridefinire il quadro normativo esistente, superando così i due referendum (del 1987 e del 2011) che avevo decretato la fine dell’energia atomica in Italia.
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Cosa c’è dentro? Per comprenderlo occorre leggere, più che il testo del decreto, la “relazione illustrativa” che lo accompagna. Nelle 14 pagine redatte dallo staff del ministro Pichetto Fratin emergono i punti fondamentali del rilancio nucleare. A cominciare dalla sottolineatura che le nuove centrali non hanno nulla a che fare con quelle su cui si espresso gli italiani dopo i disastri di Cernobyl e Fukushima. “L’evoluzione tecnologica nel campo della ricerca nucleare, che ha condotto alla realizzazione di un “nucleare di terza generazione avanzata” e, si confida, a breve, di “quarta generazione”, ha assicurato un salto di qualità in termini di sicurezza e di efficienza. Ciò vale anche per i piccoli reattori modulari, sui quali è in atto un impegno europeo e mondiale per avviarne la commercializzazione già nei primi anni Trenta. Il nucleare sostenibile oggi rappresenta una delle fonti energetiche più sicure e pulite. Esso non è dunque tecnologicamente comparabile con quello al quale, anche a seguito di referendum, il Paese aveva rinunciato”. Da qui, la conclusione che è “giuridicamente legittimo, anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale, intervenire sulla materia senza alcun rischio che i precedenti referendari possano costituire un ostacolo normativo all’intervento del legislatore”.
Ed ecco allora le “scelte fondamentali” contenute nel decreto. “La prima è assicurare una cesura netta rispetto agli impianti nucleari del passato, che, nella proposta, sono espressamente destinati alla dismissione definitiva”. La seconda “è la predisposizione di una disciplina organica dell’intero ciclo di vita dell’energia nucleare: dalla eventuale fase di sperimentazione e progettazione, all’autorizzazione degli impianti, al loro esercizio, fino alla gestione, stoccaggio e smaltimento dei rifiuti radioattivi e allo smantellamento degli impianti”. “La terza scelta fondamentale è che sia realizzato un coordinamento e un dialogo costante con i gestori delle reti elettriche, onde assicurare stabilità e bilanciamento del sistema energetico”. “La quarta scelta fondamentale è che i promotori dei progetti nucleari forniscano adeguate garanzie finanziarie e giuridiche per coprire i costi di costruzione, gestione e smantellamento degli impianti e per i rischi, anche a loro non direttamente imputabili, derivanti dall’attività nucleare”.
Si immagina quindi un “Piano Nazionale” “finalizzato allo sviluppo della produzione di energia da fonte nucleare che concorra alla strategia nazionale per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica al 2050”. E si propone l’istituzione di una “Autorità indipendente, competente per la sicurezza nucleare, con compiti di regolazione, vigilanza e controllo sulle infrastrutture nucleari”. Nonostante gli sforzi dei tecnici e dei giuristi arruolati dal Mase, il decreto di legge delega non rimuove i colossali ostacoli sul ritorno del nucleare civile in Italia. Che riguardano la tecnologia, la finanza, l’accettazione sociale. Il ministro Pichetto Fratin ha da tempo escluso pubblicamente la costruzioni di nuove grandi centrali atomiche in Italia, che siano essere di terza generazione avanzata o di quarta, lasciando intendere che il governo italiano punta sui piccoli reattori modulari. I quali però, tranne una o due eccezioni al mondo, esistono solo sulla carta. Immaginare di averli operativi nel nostro Paese già dai primi anni del prossimo decennio è un azzardo.
C’è poi il tema dei soldi. Ovunque le centrali nucleari, visti i costi e i tempi di rientro dell’investimento iniziale, sono state realizzate con finanziamenti pubblici. I small modular reactor si candidano a fare la differenza: una azienda energivora potrebbe dotarsi di una minicentrale per soddisfare il proprio fabbisogno di elettricità. Ma, come sopra, è tutto da dimostrare, finché gli Smr non saranno commercializzati. “In questi mesi abbiamo chiesto ai vertici di grandi aziende energivore che pagano le conseguenze delle speculazioni del gas se sono interessate ad acquistare il primo SMR che verrà commercializzato nel mondo. Le risposte sono state sempre le stesse: non possiamo aspettare 10 anni, non conosciamo i costi effettivi di queste tecnologie, stiamo investendo invece in contratti privati con i produttori di energia rinnovabile, non vogliamo diventare un problema e un bersaglio delle preoccupazioni territoriali”, racconta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Per risolvere i problemi energetici del Paese serve più serietà e concretezza”.
C’è infine il tema di dove fare le nuove centrali (grandi o piccole) e i depositi temporanei di scorie nucleare in un Paese i cui territori e comunità spesso si oppongono pervicacemente anche a pannelli fotovoltaici e pale eoliche. Non a caso nel decreto si parla ripetutamente di “promozione e valorizzazione dei territori interessati”, “modalità di promozione, sviluppo e valorizzazione del territorio interessato dalla localizzazione dell’impianto, privilegiando modalità fondate su accordi tra il soggetto medesimo e le amministrazioni interessate”, “rigoroso rispetto del principio di leale collaborazione con il “circuito” degli enti territoriali per tutti i casi in cui è costituzionalmente necessario il loro coinvolgimento”, “previsione di campagne di informazioni generali alla popolazione sull’energia nucleare e specifiche rispetto ai territori interessati dagli impianti”. Basterà? E quanto tempo ci vorrà a cambiare la diffidenza di gran parte degli italiani verso l’energia atomica, fino a poter realizzare decine di centrali in tutto il Paese senza temere contestazioni e proteste a ogni inizio dei lavori? La partita è ancora lunga.
Il ministro Pichetto Fratin e il governo hanno deciso di giocarla comunque, sostenendo che solo introducendo anche il nucleare nel mix energetico si potranno soddisfare i fabbisogni crescenti di elettricità e al tempo stesso centrare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050. Sul fronte opposto chi sostiene che la campagna pro-atomo è solo un’arma di distrazione di massa, per prendere tempo e continuare a bruciare combustibili fossili anziché puntare tutto sulle rinnovabili. “Questo è dovrebbe essere il momento in cui concentrare intelligenze e risorse nella fase più delicata della transizione verso le rinnovabili”, commenta Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, “che dovranno passare fra meno di sei anni, al 2030, dall’attuale 41% della produzione elettrica al 63% previsto dal Piano nazionale integrato energia e clima”.