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Rane e salamandre a rischio sopravvivenza con ondate di calore e siccità

Il futuro per gli anfibi non promette nulla di buono, tutt’altro: lo dicono le previsioni da un lato e i fatti dall’altro. Per le prime: sappiamo che gli eventi estremi sono sempre più intensi e destinati ad aumentare. Al tempo stesso, afferma oggi uno studio sulle pagine di Conservation Biology, gli eventi estremi già avvenuti in passato hanno segnato, in peggio, la salute degli anfibi. Non può essere solo un’associazione, quanto osservato e ribadito dai ricercatori della Goethe University di Francoforte, che parlano chiaramente di un aumento situazioni sempre più critiche per la sopravvivenza di diverse specie all’indomani di ondate di siccità o calore eccessive. E’ ragionevole credere che ci sia infatti una relazione di tipo causale, spiegano gli esperti. Perché? Presto detto, con le parole di Evan Twomey dalla Goethe University, primo autore dello studio: “La dipendenza degli anfibi dalle zone umide temporanee per la riproduzione li rende particolarmente vulnerabili alla siccità e agli sbalzi di temperatura che causano la prematura essiccazione delle loro aree di riproduzione”. Twomey e colleghi si sono occupati di indagare meglio proprio le relazioni tra questi eventi estremi e lo stato di conservazione degli anfibi. Se infatti è noto che la crisi climatica mette a rischio la sopravvivenza di questa classe di animali (e non solo), meno è noto che impatto hanno avuto e potrebbero avere gli estremi di temperatura e siccità, che pure sono una declinazione dei cambiamenti climatici, scrivono gli autori.

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Per questo gli scienziati hanno passato in rassegna la storia degli eventi climatici estremi degli ultimi 40 anni e l’hanno quindi confrontata con lo stato di conservazione di 7200 specie di anfibi. La domanda era: quando il tempo è impazzito, cosa è successo agli anfibi che vivevano nelle aree interessate da questi estremi? Per le loro analisi, si legge nello studio, i ricercatori hanno considerato come esposte ad eventi estremi le specie che avevano almeno metà delle loro aree battute soggette a caldo, freddo o siccità da record. I risultati hanno mostrato diversi aspetti della questione. Punto primo: le diverse specie di anfibi subiscono un’esposizione diversa a differenti eventi estremi, in virtù della loro distribuzione, in luoghi più o meno interessati da questi fenomeni. Qualche esempio? Le rane sono state più esposte ad ondate di calore, soprattutto perché si concentrano in aree più colpite, come l’Amazzonia e il Madagascar, mentre le salamandre lo sono meno, perché più concentrate in aree meno colpite da questi estremi, come il Centroamerica (dove però pagano di più il peso della siccità, come in Europa e nel sud della Cina). Sempre le rane, ma insieme ai cecilidi (quegli anfibi che assomigliano a dei serpenti) sono gli anfibi più colpiti dagli eventi di siccità. Le rane, di nuovo, sono anche quelle più esposte alle ondate di freddo, specialmente nel Sudamerica.

Secondo aspetto emerso dallo studio: poco meno del 10% delle specie sono esposte a due o più tipologie di eventi estremi, soprattutto siccità e oscillazioni di temperatura. Infine, uno dei dati più preoccupanti è l’osservazione che all’aumentare dell’esposizione agli eventi estremi per siccità e temperatura è peggiorata la classificazione sul loro stato di conservazione per il periodo tra il 2004 e il 2022, quando verosimilmente hanno cominciato a sentire di più gli effetti dei cambiamenti climatici, spiegano gli autori. E non ci sono solo questi a pesare sul futuro degli anfibi. La conclusione degli esperti è che per combattere almeno questi, possano essere messe in campo strategie come la creazione di piccolo stagni, di zone protette e lo sviluppo di rifugi umidi, non necessariamente acquosi. La speranza è che possano aiutare questa già provata classe di vertebrati ad affrontare il prossimo futuro.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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