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Raffreddamento a laser: una svolta per data center più sostenibili?

Secondo Raktim Sarma, scienziato presso l’azienda statunitense di ricerca tecnologica Sandia Lab, circa un terzo dell’energia che serve per far funzionare un data center viene speso per raffreddare i chip ed evitare quindi che i computer o i server si surriscaldino. Attualmente, i sistemi di raffreddamento si basano principalmente sullo scambio di calore con acqua o aria fredda, che viene fatta passare attraverso minuscoli tubicini montati sui chip stessi. Il team di Sarma, insieme alla startup Maxwell Labs e all’Università del New Mexico (Stati Uniti), sta però provando a mettere in piedi un sistema di raffreddamento diverso, basato sui laser, che vada a rimpiazzare o affiancare quelli attuali. L’idea sarebbe quella di sfruttare questo nuovo approccio per riciclare, in forma di elettricità, il calore estratto dai chip.

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Se pensiamo alle applicazioni tecnologiche dei laser, più che il raffreddamento forse ci vengono in mente impieghi nel contesto della saldatura di precisione, delle incisioni e della stampa 3D. Tuttavia, spiegano da Sandia Labs, in specifiche condizioni i laser possono essere utilizzati come fonti di raffreddamento. Non certo per rinfrescare un’intera casa, ma per abbassare la temperatura di piccolissime porzioni di materiali molto puri. Infatti, il raffreddamento laser funziona quando un raggio laser con una particolare frequenza incontra un bersaglio molto piccolo costituito da un unico e specifico elemento. E, per quanto riguarda i chip, spiega Sarma, si tratta in effetti di dover raffreddare superfici minuscole, nell’ordine delle centinaia di micron. Come anticipato, i sistemi attuali si basano sul passaggio di acqua o aria fredda attraverso microscopici canali scavati all’interno di piastre di rame che vengono poi adagiate sui chip. Il nuovo sistema funzionerebbe in modo simile, con la differenza che deve essere pensato per incanalare la luce laser, anziché acqua o aria, verso le superfici da raffreddare.

Lo studio

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Jacob Balma, CEO della Maxwell, sostiene che questo approccio potrebbe essere anche più efficiente di quelli già esistenti, consentendo “nuovi paradigmi di recupero energetico non possibili con la tecnologia di raffreddamento tradizionale”. La sfida sarà quella di costruire delle piastre di raffreddamento prive di impurità, che altrimenti verrebbero riscaldate dalla luce laser. Ed è proprio su questo aspetto che si concentreranno i ricercatori di Sandia Labs, specializzata nella lavorazione di arsenurio di gallio, un materiale semiconduttore simile al silicio, di cui dovrebbero essere costituite in buona parte le piastre di raffreddamento a laser progettate dalla Maxwell.

La collaborazione è stata annunciata pochi giorni fa, per cui non resta che attendere per sapere se il nuovo sistema porterà effettivamente a una svolta in termini di risparmio di energia e quindi di sostenibilità dei data center. Balma si dice particolarmente entusiasta: “La capacità unica della luce di indirizzare e controllare il riscaldamento localizzato in modo spaziale e su tempi ottici per questi dispositivi sblocca vincoli di progettazione termica così fondamentali per il design dei chip che è difficile ipotizzare cosa faranno gli architetti di chip con questo sistema, ma confido che cambierà radicalmente i tipi di problemi che possiamo risolvere con i computer”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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