Il segreto dei futuri aerei di linea a zero emissioni è nella propulsione a idrogeno, almeno secondo Clean Aviation Joint Undertaking – il principale programma di ricerca e innovazione dell’Ue per rendere l’aviazione sostenibile. Si chiama Project Newborn e prevede idealmente (e prima di tutto) lo sviluppo di un sistema di propulsione a idrogeno da 1 Megawatt per aeromobili; poi in seconda battuta ci si occuperà del resto del velivolo. Al momento sono coinvolti 18 partner, fra cui Honeywell, Pipistrel Vertical Solutions, PowerCell Group, Fraunhofer, Siemens e Cira – il Centro italiano ricerche aerospaziali.
Ad aprile si è tenuta l’ultima Assemblea Generale dedicata al collaudo di diversi sistemi e la preparazione dell’integrazione dei sottosistemi. Questo passaggio ha consentito di programmare i prossimi passi, fra cui i test dedicati alle unità di alimentazione dell’aria e gestione termica di Honeywell, il circuito dell’anodo di Test-Fuchs e lo stack di celle di combustibile di PowerCell. In pratica tutti elementi chiave per la cella di combustibile a idrogeno basata su tecnologia PEM (a membrana di scambio protonico).
Un impianto propulsivo di questo tipo si basa sulla reazione chimica controllata generata dall’idrogeno e l’ossigeno, capace di produrre elettricità sufficiente per alimentare motori elettrici ad elica. Il risultato è una propulsione totalmente priva di emissioni. La difficoltà è data da tanti elementi, in special il modo il fatto che l’idrogeno ha bisogno di essere stivato in forma liquida a bassa temperatura (-253°) in un crioserbatoio speciale, la pila di celle combustibile deve essere di sicurezza aeronautica, gli scambiatori di calore devono essere iper-efficienti e c’è bisogno di un approccio innovativo per la gestione dell’umidità.
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La filiale Honeywell Technology Solutions (HTS) di Brno, in Repubblica Ceca, ad esempio si occuperà dello sviluppo dei sistemi di gestione dell’aria, del sistema termico e di controllo. Siemens invece del gemello digitale e gli strumenti di modeling, la spagnola Aciturri è impegnata sui serbatoi di idrogeno, Fraunhofer sta sviluppando la parte elettrica, mentre University of Nottingham lavora alla propulsione. L’italiana Cira invece è concentrata sulla valutazione dei parametri relativi all’acustica e le vibrazioni: bisogna infatti comprendere in base alle future configurazioni di velivolo il livello di rumore generato e anche eventuali criticità sotto il punto di vista strutturale.
Il dimostratore del sistema di propulsione in scala 1:1 dovrebbe essere pronto per il terzo trimestre 2026, mentre per un aereo completo – si ipotizza un modello da 19 posti con autonomia da 800 km – si parla di una decina di anni di progettazione. Si ipotizza anche una versione da 80 posti, ma i tempi saranno più lunghi. “L’ambizione del progetto è di raggiungere un’efficienza complessiva del sistema di propulsione del 50% entro il 2026, calcolata come rapporto tra l’energia sull’albero dell’elica e il potere calorifico inferiore dell’idrogeno”, sottolinea Clean Aviation Joint Undertaking.
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L’idea è comunque di realizzare un motore scalabile da 250 kW a più di 3 MW, per fornire una soluzione adeguata ad aeromobili “commuter” da 19 posti entro il 2030 e “regional” da 80 posti entro il 2035. Perché l’obiettivo finale è disporre di velivoli Net-Zero capaci di collegare le città europee più piccole, mandando di fatto in pensione i vecchi turboelica. Il motivo di questo impegno è strettamente legato al pacchetto climatico Fit for 55, che prevede che il settore aviazione riduca le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030.
Clean Aviation Joint Undertaking sa bene che una delle criticità del progetto riguarda la logistica di rifornimento dell’idrogeno presso gli aeroporti, ma in tal senso sarà di aiuto il regolamento ReFuelEU Aviation. Quest’ultimo infatti punta ad aumentare sia la domanda che l’offerta di carburanti sostenibili per l’aviazione.