Dalle profondità degli abissi, dicono le leggende, il grande pesce del giorno del giudizio universale arriva sino a noi in superficie per portarci un segnale. Dicono sia il messaggero del Dio del mare. Potrebbe essere l’annuncio di un terremoto, uno tsunami o una catastrofe, narrano tutte quelle storie di folklore intorno al pesce remo, che però tali rimangono, leggende senza prove scientifiche. Ma quando l’inusuale si trasforma in usuale – come sta accadendo quest’anno – inevitabilmente anche le leggende finiscono per fare un po’ paura. Negli ultimi tempi infatti il pesce della fine del mondo, il pesce remo, o “oarfish” se preferite, è stato avvistato sempre di più nelle acque di tutto il mondo: dalla California al Messico dove un esemplare di 4 metri è stato ripreso con lo smartphone sino all’India o a varie coste dell’Oceania. In quest’ultima settimana proprio tra le coste di Australia, Tasmania e Nuova Zelanda, gli avvistamenti di questo animale che solitamente vive tra i 200 e i 1000 metri di profondità si stanno ripetendo in maniera sorprendente.
Prima uno, poi due, tre e quattro in poco più di sette giorni fra le spiagge dell’Oceania: un numero elevato di avvistamenti se si pensa che nella sola Australia finora in tutta la storia delle segnalazioni di pesce remo ci sono stati appena 70 casi. In questi ultimi episodi alcuni dei pesci remo recuperati erano morti e senza testa, come quelli vicino a Christchurch in Nuova Zelanda. La particolarità di questa affascinante specie sta nella sua lunghezza: alcuni esemplari superano perfino gli otto metri e i 200 chilogrammi e, anche se non ci sono prove documentate, in alcuni casi potrebbero arrivare anche a 11 metri. Studiare questi animali, i pesci ossei più lunghi al mondo, è però estremamente complesso perché sono rarissimi da incontrare, soprattutto ancora in vita. Eppure, tra oarfish spiaggiati, recuperati dai pescatori e altri ripresi dal vivo mentre nuotavano, nell’ultimo anno c’è stato un vero e proprio boom di avvistamenti. Lungo le coste della California, dove dal 1901 ad oggi erano stati registrati solo 20 avvistamenti, da agosto 2024 fino ad ora ci sono stati almeno tre casi comprovati fra gli Usa e il Messico. Poi all’improvviso un pesce remo è stato ritrovato anche in India, nella zona del Tamil Nadu, recuperato dai pescatori: ci sono volute più persone per poterlo alzare e mostrarlo in immagini diventate subito virali.
La viralità, soprattutto in Asia, è anche collegata alle credenze. Nel folklore giapponese, ma anche filippino, si pensa che il pesce remo sia presagio di catastrofi come terremoti oppure tsunami, una credenza che è andata rafforzandosi dopo alcune di quelle che per molti scienziati sono solo coincidenze ed episodi difficili da comprovare scientificamente, ma che per il popolo nipponico sono qualcosa di più. Nel 2011 c’è stata infatti una serie di strani ritrovamenti di pesce remo in Giappone che hanno anticipato, per tempistiche, il grande terremoto e lo tsunami che ha sconvolto il paese del Sol Levante. Stessa cosa per le Filippine nel 2017 prima del grande sisma di magnitudo 6.6. La scienza però è chiara: non ci sono prove evidenti di alcun collegamento tra gli avvistamenti di pesci remo e un imminente disastro naturale. Per esempio alcuni pesci furono avvistati in California nel 2013 ma poi non seguì nessun sisma o evento naturale particolare. Al massimo, come sostiene Neville Barrett dell’Istituto di Studi Marini dell’Università della Tasmania “un grande terremoto potrebbe portare alcuni pesci a risalire in superficie, ma questo dovrebbe accadere praticamente nello stesso istante della catastrofe, non prima”. Allo stesso tempo, ha ricordato Nick Ling, ecologo ittico dell’Università di Waikato, si hanno ancora pochissime informazioni su questi pesci che vivono “a profondità considerevoli e per questo sono difficilissimi da studiare. Sappiamo per esempio che restano sospesi verticalmente nell’acqua probabilmente in attesa di prede”. Così come è noto che i pesci remo siano in grado di praticare l’autotomia, l’auto amputazione della coda forse per avere un risparmio delle energie nei movimenti. Meno chiaro è invece il perché di questi recenti incontri e ritrovamenti, fattori che gli scienziati intendono tentare di studiare senza escludere per esempio la possibilità con altri collegamenti: con la crisi del clima che rende le acque più calde, con la presenza di inquinanti (come le microplastiche) trovate persino nella Fossa delle Marianne o con tutte quelle criticità, dall’acidificazione alle azioni dell’uomo sul mare, che potrebbero favorire la loro risalita in superficie.