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Marisa Parmigiani: “Le aziende hanno investito molto e andranno avanti”

Marisa Parmigiani, presidente di Sustainability Makers, l’associazione italiana che riunisce i responsabili aziendali che si occupano di sostenibilità, ha uno sguardo privilegiato su quel che sta avvenendo nel settore. Al netto dei nuovi paradigmi che contraddistinguono l’assegnazione delle funzioni ESG all’interno delle organizzazioni e le costanti attività di formazione dovute anche alle complessità normative, è il costante dibattito nazionale e internazionale a tenere banco. Troppa regolamentazione green? Rischio competitività? E l’abbandono dell’Accordo di Parigi da parte di Trump avrà effetti collaterali? “Intanto distinguiamo il mondo europeo da quello statunitense. Oltreoceano c’è maggiore connessione tra politica e impresa. In Europa i venti politici influenzano meno l’approccio manageriale delle imprese. La deregulation portata dal pacchetto Omnibus della Commissione Ue è comunque all’interno di un contesto molto normato. Il mondo imprenditoriale si divide sostanzialmente in due. Quelli che in questi anni hanno colto il valore strategico della sostenibilità e ne hanno permeato la cultura aziendale, perché di fatto fa rima col concetto di innovazione e quindi poi di competitività. E quelli che hanno aderito solo per compliance e quindi stanno alla finestra nella speranza di cavarsela”.

Associazioni di categoria e imprese a volte sembrano muoversi in modo differente sui temi della sostenibilità. Le risulta?

“Le associazioni di categoria si ritrovano a rappresentare una moltitudine diversa di soggetti nelle aziende. Da una parte abbiamo dei leader che su competenze e conoscenze sono anni luce in avanti rispetto alle associazioni, dall’altra queste possono essere conservative per timore di contestazioni interne. Mi viene in mente il caso di dieci delle principali aziende italiane, a partire dai grandi soggetti della produzione alimentare, che hanno firmato un anno fa una lettera aperta alla Commissione chiedendo a gran voce una normativa uguale per tutti sulla due diligence. Come a dire ‘non fermatevi e andate avanti è fondamentale’. Confindustria invece ha avanzato alcune osservazioni alla proposta Ue. Per le aziende alimentari, che riconoscono nel presidio dei rischi ESG un valore per le relazioni con i fornitori, avere un fair play nel contesto di mercato è un tema importante”.

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Quali sono le filiere che si sono distinte di più nel cambiamento?

“Innanzitutto l’energetica, perché per l’Europa il tema della transizione energetica è chiave non solo per la competitività ma anche per la sopravvivenza del sistema produttivo europeo. E poi di conseguenza le società multiservizi. Un altro blocco importante è quello dei produttori di macchinari per l’industria, poiché lì c’è la tutela delle risorse e quindi un risparmio per i clienti. La domanda è di operare in logica di efficienza, e questo richiede costante innovazione. E poi il real estate, che si è davvero trasformato. Oggi si parla di retrofit, si parla di riuso, è proprio un altro linguaggio. Non è solo una questione dei materiali degli immobili, le città vengono disegnate ponendo la sostenibilità al centro”.

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Molti osservatori sostengono che siamo entrati in una fase più matura dove sarebbe il caso di riformulare il linguaggio della sostenibilità. Concorda?

“Sì, è un dibattito che c’è. E riconosco che dietro alle questioni terminologiche ci sono in realtà delle priorità differenti e sicuramente se da un certo punto di vista, fino a poco tempo fa, il concetto prioritario era quello della responsabilità abbinato a un attivismo civico sottostante, oggi invece è un elemento di competitività. E questo spiega anche il motivo per cui noi siamo il Paese in cui sono più diffusi processi di economia circolare: da noi la materia prima non è mai esistita. Insomma si tratta di un’intelligente reazione a un problema di fondo del sistema produttivo. Quindi abbiamo bisogno di parlare nuovi linguaggi, se parlare nuovi linguaggi ci aiuta a far comprendere concetti aderenti ai bisogni e le priorità di questa fase”.

Un’indagine di InfluenceMap ha confermato che tra il 2019 e il 2025 il 23% delle 200 aziende Ue più grandi si sono allineate con strategie green, mentre le non-allineate sono scese dal 34 al 14%. Il trend è ancora positivo?

“Assolutamente sì, gli anni ‘20 del nostro secolo sono stati anni di diffusione dei temi di sostenibilità nei processi di pianificazione aziendale. Basta guardare i piani industriali delle aziende quotate, che a prescindere dal dibattito politico, continuano ad andare per la loro strada. Perché come dimostrano anche i dati dell’ultimo rapporto Istat la sostenibilità è un investimento, che tra l’altro comporta anche non pochi risparmi. Quindi i risultati sono non solo reputazionali, ma anche di efficienza e di crescita economica”.

L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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