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L’industria energetica ha creato il falso mito che i consumatori possano fermare la crisi del clima

Si fa presto a dire “zero emissioni”. Tutti noi viviamo in un mondo dove le terribili notizie legate alla crisi climatica sono all’ordine del giorno: dalle condizioni secche e calde che alimentano gli incendi della California sino alla perdita di biodiversità che ha visto sparire oltre il 70% della dimensione media delle popolazioni di animali selvatici in soli 50 anni. Tutti noi sperimentiamo gli effetti delle mortalità delle ondate di calore che colpiscono durissime in Europa, così come abbiamo imparato a conoscere come l’innalzamento dei livelli del mare sta portando alla scomparsa di isole e luoghi, oppure dopo l’anno più caldo di sempre – il 2024 – prendiamo atto di segnali sempre più drammatici per la sopravvivenza dei ghiacci e delle riserve idriche. Tutte queste condizioni sono strettamente legate alle emissioni umane di gas serra, quelle che alimentano il riscaldamento globale e che, con la complicità di incendi ed enormi quantità di metano legate alle nostre azioni, hanno portato la quantità di CO2 in atmosfera a livelli record.

Così nella nostra quotidianità – per tentare di invertire la rotta di un binario che ci sta portando verso la catastrofe – la narrativa generale a cui siamo soggetti è quella che ognuno di noi dovrebbe fare “buone azioni” per scongiurare il peggio e combattere la crisi del clima: dall’installare i pannelli solari nelle nostre case a guidare auto elettriche, da impegnarsi di più nelle pratiche ecologiche sino a imparare a risparmiare acqua in ogni occasione. Questo creare un senso di responsabilità che si basa sulla singola azione individuale di ognuno di noi per riuscire ad affrontare il cambiamento climatico è però “un falso mito” secondo una nuova ricerca dell’Università di Sydney. Un falso mito che affida ai consumatori, attraverso le loro scelte oculate, l’idea di ergersi a paladini della battaglia per “le zero emissioni”, un falso mito che è stato creato negli anni dai settori dell’energia e delle fonti fossili. I ricercatori australiani hanno esaminato centinaia di resoconti pubblici, dichiarazioni, comunicati stampa per esempio del settore energetico australiano individuando sempre la stessa storia comune: quella che i singoli cittadini debbano essere degli eroi del “net-zero” grazie ai loro comportamenti. Tutto falso, dicono, perché ignora la realtà su come davvero potremmo affrontare il problema, ovvero con scelte precise dei governi, con un freno alle emissioni dei combustibili fossili e con sistemi di sostegno e supporto, calati dall’altro, che ci rendano davvero partecipi della transizione. “La nostra ricerca ha scoperto che questa idea, quella dei consumatori come paladini del net-zero, è stata costantemente perpetuata dagli attori del settore energetico” sostiene il professor Tom van Laer della University of Sydney Business School. “Se i consumatori acquistano l’auto giusta, spengono gli elettrodomestici, usano acqua calda fuori stagione, installano pannelli solari, ecc., allora possono svolgere un ruolo chiave nel salvare il Pianeta e che se solo i cittadini riuscissero a comprendere, monitorare e gestire il loro consumo energetico, allora potrebbero davvero fare la differenza. È una bella storia, ma ignora del tutto il quadro più ampio dei cambiamenti aziendali e normativi che sono essenziali davvero per affrontare questo problema”.

World economic forum

Global Risks Report 2025, l’emergenza climatica tra i primi 10 rischi globali

15 Gennaio 2025

Nell’analisi pubblicata sul Journal of Public Policy & Marketing i ricercatori mostrano come nel materiale pubblicato tra il 2015 e il 2022 da parte di oltre quaranta operatori del mercato energetico, tra cui fornitori di energia, organizzazioni non governative e decisori politici, la narrativa fosse troppo spesso incentrata proprio sulle responsabilità dei cittadini. Ma “senza adeguati sistemi di supporto, i consumatori hanno difficoltà a svolgere il ruolo di eroi delle emissioni nette zero e c’è il rischio che l’enorme responsabilità attribuita agli individui possa portare a sentimenti di impotenza e disimpegno, anziché di empowerment”. Prendiamo l’Australia, per esempio, Paese ancora legato al carbone e una fra le nazioni sviluppate con le emissioni pro capite più elevate insieme agli Stati Uniti. I dati ci dicono che il settore energetico australiano produce quasi la metà delle emissioni climalteranti, il 47,3%. Eppure, viene fatto credere che è attraverso le scelte dei cittadini che si possono invertire queste emissioni e cavalcare l’onda del net-zero. In pratica è come se il settore energetico stia creando un “mercato mitico” composto da piccoli consumatori di energia, in cui tutti contribuiscono in egual misura alle emissioni totali, ma non è così. “Spostando la responsabilità delle emissioni nette zero ai consumatori, rischiamo di minimizzare la responsabilità di entità più grandi che hanno un impatto più sostanziale sull’ambiente. Invece di imporre un onere irrealistico ai consumatori, dobbiamo affrontare i cambiamenti sistemici necessari per ottenere un impatto ambientale reale” dice il professore.

In generale, aggiunge un’altra ricerca, questa volta condotta da esperti statunitensi, in un contesto che come sappiamo è già connotato da negazionismo e scetticismo sulle questioni climatiche, a fare da cassa di risonanza sul fatto (falso) che non siano l’emissioni dei combustibili fossili a creare il problema, c’è anche uno sforzo “continuo e coordinato” da parte delle aziende del settore sui social network. Nello studio pubblicato su PLOS ONE dai ricercatori di varie università degli States, viene spiegato ad esempio come dal 2008 al 2023, nove dei più grandi gruppi e aziende commerciali del settore petrolifero, agrochimico e della plastica degli Stati Uniti abbiano pubblicato migliaia di tweet sul social X con messaggi sulle questioni ambientali sorprendentemente “ostruzionistici” per le politiche e le azioni sul clima. Messaggi che spesso venivano ri-condivisi dalle varie aziende oppure in cui venivano taggati anche enti governativi. “Il nostro studio suggerisce che l’ostruzione climatica in diversi settori è più coordinata di quanto generalmente riconosciuto. Se a ciò si aggiunge l’elevato coinvolgimento dei settori dei derivati petrolchimici e dei carburanti con le entità governative di regolamentazione, ciò suggerisce tentativi strategici di indebolire e sovvertire la politica sul clima attraverso i social media” ha spiegato Jennie Stephens, professoressa di Scienze e politiche della sostenibilità presso la Northeastern University. Dunque non solo come sostengono gli esperti australiani da parte del settore energetico e industriale c’è una spinta a spostare le responsabilità della crisi verso i consumatori, ma c’è anche un tentativo “coordinato” da parte delle industrie fossili e agrochimiche nel negare i determinati impatti di certi settori come scrivono i ricercatori statunitensi che oggi sono ulteriormente preoccupati dal ritorno alla presidenza Usa di Donald Trump, evento che ci indica come “il negazionismo climatico non è finito, anzi, è tornato come una forza potente”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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