“Perché l’Europa sta riconsiderando il suo audace piano per eliminare le auto a benzina”. Titolava così l’altro giorno il Washington Post, che in una documentata ricostruzione riepilogava l’impervio cammino del provvedimento che prevede entro il 2035 lo stop alla produzione di autoveicoli endotermici nei Paesi membri dell’Unione: “I politici europei di destra e i lobbisti dell’industria automobilistica stanno sempre più concentrando la loro ira sulla regolamentazione Ue. Affermano che se l’Europa si attiene al suo obiettivo di un’auto verde, rischia la perdita di posti di lavoro, la chiusura di fabbriche e una maggiore dipendenza da Pechino, che domina la filiera dei veicoli elettrici”. Il timore è che in fase di revisione, prevista per le prossime settimane, il provvedimento venga annacquato. In particolare c’è chi teme che venga consentita la vendita di ibridi plug-in oltre il 2035. Poiché questi veicoli utilizzano sia batterie che motori a combustione interna, una tale mossa estenderebbe sostanzialmente l’era della benzina in Europa.
Di sicuro passerà definitivamente il via libera degli e-fuel voluti dalla Germania, mentre non sembra ci siano margini per i biocarburanti sponsorizzati dall’Italia. Anche se la premier Meloni ha definito il bando del 2035 un esempio di “follia ideologica” e ha affermato che si impegnerà per “correggerlo”. Ma davvero si rischia una retromarcia su uno dei provvedimenti simbolo del Green deal europeo? “Lo stop è ancora lì. Certo c’è chi ipotizza e auspica delle modifiche. Di sicuro si può ragionare su un abbandono dei motori a combustibili fossili che sia più razionale: probabilmente si sarebbero dovuti prevedere degli step intermedi, prima di arrivare al divieto del 2035. Tuttavia l’obiettivo di mandare in pensione l’automobile così come l’abbiamo conosciuta per oltre un secolo resta. Ed è giusto che ci sia”. Francesco Grillo insegna al master in Sostenibilità trasformata dell’università Bocconi e dirige il think tank Vision. Ha appena pubblicato su The Conversation una sua analisi sulle difficoltà che sta attraversando l’industria automobilistica europea di fronte alla transizione all’elettrico. Sottolineando un paradosso: “La capitalizzazione di mercato combinata delle cinque principali case automobilistiche europee (Volkswagen, Stellantis, Mercedes-Benz, BMW e Renault) si attesta intorno ai 212 miliardi di dollari. Meno di un quarto del valore della sola Tesla. Eppure”, continua Grillo, “i cinque colossi europei vendono 25 milioni di veicoli all’anno, pari a un terzo di tutte le auto acquistate a livello mondiale. Tesla vende meno di un terzo di quanto vende la sola Stellantis. Ciò significa essenzialmente che i mercati finanziari non credono più che le case automobilistiche europee possano trarre profitto da un settore in cui hanno dominato per quasi un secolo”.
Gli fa eco il parlamentare olandese Mohammed Chahim, citato dal Washington Post. Lo scorso marzo, dopo che in aula altri politici avevano attaccato il provvedimento dell’Unione, intervenne dicendo: “Oggi mi sento come se fossi nel consiglio di amministrazione di Nokia quando è appena uscito l’iPhone. La nostalgia è una cosa positiva… ma non se blocca l’innovazione, non se blocca il cambiamento”. “Quella in atto è in effetti una battaglia di retroguardia”, commenta Grillo. “Ma dell’esito non sono certo. Potrebbe anche portare a un ritiro parziale del bando ai motori endotermici nel 2035, ma si tratterebbe comunque di un dietrofront temporaneo. La direzione ormai è segnata: non possiamo continuare a dipendere da una tecnologia che è diventata assolutamente inefficiente: i combustibili fossili costano significativamente più dell’elettricità per chilometro percorso. Non possiamo continuare a sprecare risorse che sappiamo essere scarse. E non c’è solo la crisi climatica. Si tratta anche di scardinare un sistema energetico centralizzato, i cui centri sono oggi l’Arabia Saudita, la Russia e gli Stati Uniti, i principali detentori di fossili”.