Sempre cara ci fu questa siepe. A Leopardi risponde un gruppo di ricercatori della University of Leeds, che in uno studio appena pubblicato sulla rivista Agriculture, Ecosystems & Environment ha analizzato le dinamiche della cattura e dell’immagazzinamento della CO2 da parte di siepi e prati in diverse località inglesi – Yorkshire, Cumbria e West Sussex – scoprendo che le prime sono molto più efficaci dei secondi in termine di stoccaggio di gas climalteranti. Per la precisione, gli scienziati hanno mostrato che il suolo sotto le siepi cattura, in media, 40 tonnellate di anidride carbonica in più per ettaro rispetto ai prati, indipendentemente dalla composizione del suolo e dal clima.
Viva le siepi
Le siepi sono un elemento fondamentale per il benessere degli ecosistemi. Oltre a fungere da “ponte” tra diversi habitat vitali nei terreni agricoli, forniscono rifugio e cibo a piante, animali selvatici e bestiame. E, come se non bastasse, sequestrano anidride carbonica dall’atmosfera, riducendo quindi il peso netto delle emissioni sui cambiamenti climatici. “Negli ultimi anni”, ha spiegato Sofia Biffi, ricercatrice in ecosistemi agricoli e prima autrice del lavoro, “abbiamo assistito a un impegno degli agricoltori nella piantagione di nuove siepi. Evidentemente si rendono conto della differenza che possono fare in termini di biodiversità nelle loro fattorie: vedono più uccelli, pipistrelli e impollinatori. Ora sanno anche che stanno facendo la loro parte nell’immagazzinare più carbonio nel terreno”.
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Difatti, il governo inglese ha incoraggiato da tempo la piantagione di nuove siepi, annunciando l’obiettivo di arrivare a quasi 73mila chilometri di siepi entro il 2050 come strumento di mitigazione dei cambiamenti climatici.
In Italia una pubblicazione Ispra del 2010 sottolineava che “nelle aree agricole più o meno intensive, la conservazione, la gestione, il ripristino o l’impianto ex-novo di strutture arboreo-arbustive (cioè siepi, ndr) rappresenta uno degli interventi di maggior valenza ambientale e faunistica, in quanto consentono di diversificare nel modo più significativo l’ambiente agrario attraverso la stabile presenza di micro-habitat semi-naturali poco disturbati”. Lo studio appena pubblicato rinforza queste posizioni: “Siamo molto felici di condividere i risultati del nostro lavoro”, continua Biffi, “perché mostrano come piantare siepi può avere un impatto positivo sulla salute del suolo e sullo stoccaggio dell’anidride carbonica nel suolo in tutto il paese”.
Vale dappertutto
Uno degli aspetti più interessanti dei risultati dello studio appena pubblicato, spiegano ancora gli autori del lavoro, è che si applicano a tutti i tipi di suolo, indipendentemente dalla composizione e dal clima. Le località analizzate nello studio, infatti, sono state scelte proprio in modo da rappresentare un campione eterogeneo di condizioni climatiche, precipitazioni, temperature e tipo di terreno. In tutti i casi si tratta di pascoli per l’allevamento intensivo circondati da siepi: i ricercatori hanno carotato il suolo a intervalli di 10 centimetri, spingendosi fino a 50 centimetri sottoterra, e hanno poi confrontato i livelli di carbonio, azoto, pH e umidità.
L’analisi ha mostrato, per l’appunto, che le siepi immagazzinano fino al 40% di carbonio in più grazie alle foglie cadute, alle radici e ad altre sostanze organiche incorporate nel terreno sottostante; nelle siepi più vecchie, inoltre, il fenomeno è più pronunciato che non nelle siepi più giovani. Esiste, inoltre, una “saturazione”, cioè un livello massimo di carbonio catturabile da ciascuna siepe: ed è per questo, concludono gli scienziati, che bisogna prendersi cura di quelle esistenti e piantarne di nuove.