Viviamo in un mondo dove nonostante migliaia di studi, dati e osservazioni satellitari, temperature percepite e ghiacciai che si sciolgono davanti ai nostri occhi, c’è chi nega ancora la crisi del clima in atto, come il neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, solo per fare un solo nome. Lo stesso vale per i vaccini che durante la pandemia hanno salvato milioni di vite ma sono stati osteggiati e respinti, oppure per una lunghissima serie di fenomeni, difficili da comprendere ma sempre ben spiegati da chi li studia da anni, che tavolta vengono giustificati con le più strane teorie negazioniste o complottiste. Eppure, in questo mondo che oggi ci confonde tra fake news, bufale e alterazioni create dall’intelligenza artificiale, l’umanità ha ancora grande fiducia nella scienza. Non tutti però “crediamo” nella scienza e negli scienziati in egual modo: se chiedi a un egiziano o a un indiano quanto confidano nel metodo scientifico, ti risponderanno “totalmente”, se invece poni la stessa domanda a un italiano, un albanese o un russo, permarrà ancora un po’ di scetticismo.
Su Nature Human Beahviour è stata pubblicata infatti una interessante ricerca, guidata da 241 esperti di Harvard, dell’università di Zurigo e con la collaborazione anche dell’Università di Genova e altri atenei europei, in cui viene esaminata la “fiducia nella scienza” e negli scienziati in 68 Paesi del mondo. I valori ottenuti dall’analisi, in un punteggio che va da 1 (il massimo dello scetticismo) e 5 (la totale fiducia), la media ottenuta è un valore di 3,62. Sul podio di questa curiosa classifica ci sono Egitto (media di 4,30), India (4,26) e Nigeria (3,98). Al contrario, i meno fiduciosi appaiono l’Albania (3.05), il Kazakistan (3.13) e la Bolivia (3.22), seguita subito dopo dalla Russia. L’Italia è nella parte bassa della classifica: al 57° posto su sessantotto Paesi, con una media di 3.38 (al pari dell’Ucraina), dunque siamo decisamente sotto media. Sopra di noi ci sono per esempio gli Usa (3,84) o come primo paese europeo la Spagna (3,90), o ancora la Cina (3,67) oppure l’Argentina di Milei (3,87).
Da noi invece la fiducia è tutto sommato bassa, tanto che siamo fra i tre Paesi europei che appaiono meno “confidenti” (insieme a Slovacchia e Albania). La ricerca è stata svolta dopo la pandemia e ha coinvolto circa 72mila persone. Rispetto alle domande poste agli intervistati è emerso che il 78% delle persone ritiene che gli scienziati siano persone qualificate, il 57% le indica come oneste e il 56% che “hanno a cura il benessere delle persone”. Inoltre l’83% ritiene che i ricercatori dovrebbero impegnarsi nella comunicazione della scienza al pubblico e ritiene che dovrebbero essere maggiormente coinvolti nei processi decisionali e politici (il 52%). Dalla ricerca emerge inoltre una generale maggiore fiducia negli scienziati da parte delle donne, ma anche dagli anziani, da chi vive in aree urbane (rispetto a quelle rurali) o di chi ha un livello di istruzione o un reddito maggiore. In Nord America e alcune zone europee chi ha un orientamento politico conservatore ha invece espresso minore fiducia.
“Nella maggior parte dei Paesi l’orientamento politico e la fiducia negli scienziati non erano correlati. Tuttavia, abbiamo scoperto che nei Paesi occidentali le persone con idee politiche conservatrici (in generale di destra) hanno meno fiducia negli scienziati rispetto a quelle con idee più liberali (o di sinistra)” fanno sapere gli autori. Ci sono poi alcune considerazioni importanti che possono interessare gli stessi scienziati, magari per comunicare meglio con il pubblico: tante persone, quasi il 58%, non credono che i ricercatori considerino davvero i punti di vista altrui, per esempio affermano che le priorità della scienza non sempre coincidono con quelle dei cittadini nei campi del miglioramento della salute pubblica, dei problemi energetici o la riduzione della povertà. Informazioni, quelle emerse della studio, che indicano infine come i ricercatori potrebbero migliorare il feedback con la popolazione, soprattutto negli Usa e in alcuni Paesi occidentali dove forse, attraverso il dialogo, aiuterebbero i gruppi più conservatori a recuperare fiducia nella scienza.