Il futuro del cibo per animali domestici potrebbe essere nella carne coltivata. Mentre in Italia resta vivace il dibattito sulla versione sintetica prodotta in laboratorio con un processo di coltivazione cellulare che parta dalle cellule staminali embrionali di un animale, nel Regno Unito arriva sul mercato, per la prima volta al mondo, pet food di origine animale coltivato in laboratorio, in vasche industriali. Si tratta, nella fattispecie, di bocconcini di pollo – testualmente chick bites – prodotti da Meatly. L’obiettivo, spiega l’azienda, è spingere perché si arrivi “a eliminare l’uso degli animali fattori per l’industria alimentare per gli animali domestici”. Venerdì scorso la sperimentazione in un negozio di Brentford, un distretto di Londra. “Il procedimento è semplice, le cellule vengono ricavate dal singolo uovo di una gallina. – spiega Owen Ensor, founder dell’azienda – Nel giro di una settimana siamo in grado di raccogliere del pollo da destinare agli animali domestici. Da un singolo uovo siamo potenzialmente capaci di ricavare una quantità infinita di carne”. Numeri non marginali: del resto, viene calcolato che circa il 20% della carne consumata in tutto il mondo è destinata agli animali domestici.
“I proprietari dei cani? Ancora un po’ schizzinosi”
Ma il mercato è pronto? “I proprietari di animali domestici sono un po’ schizzinosi”, ammette Ensor. Del resto il tema continua a essere divisivo su scala globale: se Singapore è stato, nel 2020, il primo Paese ad autorizzare la vendita di carne coltivata in cellule per il consumo umano, seguito dagli Stati Uniti tre anni dopo, l’Italia ha espressamente vietato – con un disegno di legge del novembre 2023 – la “produzione e immissione sul mercato di alimenti prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”. Al solito, il dibattito è polarizzato su due posizioni estreme: chi sottolinea i benefici alimentati, denunciando come l’impatto ambientale – in termini di produzione di anidride carbonica e consumo di acqua – della carne da allevamento sia, oggi, uno dei fattori più distruttivi per la salute del Pianeta e chi, invece, punta l’indice sui costi dell’alternativa da laboratorio e sulle ricadute sull’industria zootecnica.
Per esempio, la British Veterinary Association – come dichiarato alla Bbc – chiede più ricerche su sicurezza e la sostenibilità della carne coltivata. Il prodotto di Meatly, ribadisce l’azienda, è approvato dagli enti di regolamentazione alimentare (ottenendo l’approvazione normativa dopo un processo di verifica di 18 mesi, condotto con la collaborazione della Food Standards Agency, del Department for Environment & Food Affairs e dell’Animal and Plant Health Agency) e non contiene ormoni, steroidi e altre sostanze chimiche, che viceversa sono talvolta presenti nella carne da allevamento. Resta il nodo dei costi: “Ad oggi il procedimento è effettivamente dispendioso, ma abbiamo fatto grandi passi avanti riducendo drasticamente i costi negli ultimi due anni e continueremo a farlo”.
“L’Italia non resti indietro”
E in Italia? “Da noi, il mercato del pet food ha superato i 3 miliardi di euro, con una crescita continua sia in termini di valore sia di volume, come mostrato dai dati di Circana, numeri che ormai evidenziano l’importanza strategica ed economica del settore”, spiega Filippo Maturi, presidente di Assopets, la prima associazione a tutela dei consumatori proprietari di animali domestici. “La priorità indiscussa rimane la salvaguardia della salute degli animali, ma qualora non emergano evidenze scientifiche che dimostrino problematiche legate alla salute, come sembra, ritengo cruciale – proprio mentre in Inghilterra l’esperimento è avviato – considerare l’opportunità di non rimanere indietro dal punto di vista industriale. Un approccio più proattivo consentirebbe all’Italia di allinearsi con la crescente sensibilità verso una dieta non basata sull’uccisione degli animali e di contribuire al rispetto dell’ambiente. È urgente, quindi, anzitutto spingere per una comunicazione più positiva – privilegiando per esempio il termine carne ‘coltivata’ a carne ‘sintetica’ – e poi, soprattutto, aprire un tavolo di confronto basato su evidenze scientifiche per discutere seriamente la possibilità di integrare la carne coltivata nel mercato del pet food italiano. Questo – conclude Maturi – consentirebbe non solo di mantenere la competitività del nostro sistema industriale, ma anche di rispondere alle nuove istanze etiche e ambientali emergenti”.