Una nota pubblicità del passato diceva che “two is megl che uan”, due è meglio di uno, ma non è detto che sia sempre così. Finalmente, dopo anni di discussioni, processi in corso e mappe che mostrano il loro pericolo, la politica italiana ha preso di petto la questione dell’inquinamento da PFAS, le sostanze perfluoroalchiliche, anche dette “sostanze chimiche eterne”. Lo sta facendo come vedremo muovendosi su binari paralleli, il che è un bene ma potrebbe anche generare confusione nel legiferare sul controllo di queste pericolose sostanze. Questo gruppo di quasi cinquemila sostanze impiegate in ambito industriale, dalle pentole anti aderenti alle protesi mediche, così come nei materiali antincendio o dell’edilizia, hanno infatti la caratteristica di essere estremamente durature e resistenti, nonché estremamente inquinanti se finiscono in ambiente dato che sono molto complesse da smaltire nel tempo. Anche se ci sono molti studi in corso è comprovato che possono portare danni importanti per la salute (tra cui il cancro) e di recente una inchiesta di Greenpeace, che ha analizzato i campioni di 235 città italiane, ha mostrato come alcune di questi “forever chemicals” sono presenti nel 79% delle acque potabili del rubinetto italiane prese in esame.
Inquinamento
La mappa della contaminazione da PFAS delle acque potabili
22 Gennaio 2025
All’inchiesta dell’associazione ambientalista diffusa a gennaio sono seguite poi a febbraio e marzo alcune delle ultime tappe a Vicenza di uno dei processi ambientali più grandi della storia italiana che vede imputati alcuni manager della Miteni, azienda chimica, proprio sul diffuso inquinamento da PFAS in Veneto. La vicenda veneta ha al centro i danni da PFOA (acido perfluoroottanoico) sulla popolazione e in questo caso l’avvocato che difende uno dei comitati coinvolti, le Mamme No PFAS, citando uno studio dell’Università di Padova ha parlato di “inquinamento da PFAS come un nuovo Vajont”, sostenendo nella sua arringa che la contaminazione è passata dall’acqua nel sangue di 300mila residenti, ovvero “4mila morti in eccesso in 40 anni nella zona rossa veneta rispetto alla media del resto della regione”.
Cifre e accuse pesanti che restituiscono il contesto in cui finalmente l’Italia ha deciso di agire mentre anche l’Europa (con in prima linea la Francia) e gli Usa stanno prendendo provvedimenti nei confronti del controllo e della lotta ai PFAS.
La speranza è però che le due iniziative parallele in corso non si trasformino in un freno, anziché accelerare sulla questione. Per primo, il 13 marzo, all’esame in Parlamento è finito il decreto Legislativo urgente “260” approvato dal Cdm. L’obiettivo è ridurre i livelli di PFAS nelle acque potabili e decretare limiti per limiti per il TFA (acido trifluoroacetico) ed è stato dato il via libera a una mozione di indirizzo per legiferare in materia. Il 26 marzo la Camera dei deputati ha approvato poi un’altra mozione della maggioranza passata con 156 voti favorevoli, 103 voti contrari e 5 astenuti e ha approvato anche alcune parti delle mozioni dei documenti di Avs, M5S e Pd, riformulati dal governo, sempre in materia di PFAS.
La sovrapposizione di alcuni passaggi, secondo alcuni parlamentari, potrebbe rallentare il processo per arrivare a legiferare in maniera univoca sulla necessità di maggiori controlli e sistemi per ridurre i livelli pericolosi di PFAS nelle acque potabili ma in generale c’è fiducia sul fatto che finalmente qualcosa, nel tentativo di frenare gli inquinanti, si sia mosso.
Nel frattempo, infatti, chi da tempo porta avanti questa battaglia, come l’associazione ambientalista Greenpeace, parla di primo passo importante, soprattutto perché “per la prima volta sarà fissato un limite nelle acque potabili anche per il TFA . Si tratta di una delle molecole della classe dei PFAS più presenti sul Pianeta e che negli ultimi anni si è diffusa ampiamente anche in Italia”. Con il nuovo decreto legislativo, spiegano da Greenpeace, verrà introdotto “un limite alla presenza di PFAS nelle acque potabili di 4 molecole pari a 20 nanogrammi per litro. Il nuovo valore limite riguarda la “Somma di 4 PFAS”, ovvero molecole (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS) di cui è già nota la pericolosità per la salute umana, tra cui la cancerogenicità per PFOA e PFOS. Il nuovo limite è uguale a quello introdotto in Germania, anche se ben lontano da valori più cautelativi per la salute umana introdotti da altri Paesi come la Danimarca (2 nanogrammi per litro) o la Svezia (4 nanogrammi per litro)”.
Motivo per cui l’associazione auspica che “si possa fare di meglio”. Il testo di legge che fisserà per la presenza PFAS il limite di 20 nanogrammi per litro è stato ora trasmesso al Senato e poi dovrà passare al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti.
Per Greenpeace “se è vero che il provvedimento rappresenta un risultato importante per la tutela della salute di cittadini e cittadine, è indubbio però che debba essere ancora perfezionato. Le forze politiche dovranno al più presto trovare un accordo per ridurre ancora di più i limiti consentiti avvicinandoli all’unica soglia sicura, lo zero tecnico”.
Come conclude Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento Greenpeace, è infatti “fondamentale che si arrivi al più presto a una legge che vieti l’uso e la produzione dei PFAS”. In attesa di comprendere gli sviluppi legislativi sulla questione PFAS nel frattempo nei prossimi giorni è attesa anche la sentenza finale sul processo Miteni: i cittadini del Vento chiedono un risarcimento di 15 milioni e mezzo di euro, mentre l’importo richiesto da tutte le parti civili nel loro insieme supera quasi i 240 milioni, cifre che danno il senso di quello che potrebbe essere – creando un precedente – una delle più importanti sentenze italiane di sempre in ambito ambientale.