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Gli effetti della desertificazione sul PIL: fino al 10% in meno nelle aree più colpite

Intere aree del mondo si stanno desertificando. L’ambiente come abbiamo imparato a conoscerlo, negli ultimi anni sta cambiando, in modo rapido e visibile non solo agli occhi degli scienziati. Spesso anche agli occhi di ognuno di noi. Non è solo la Sicilia, una delle regioni più calde d’Europa, ad essere esposta ai cambiamenti climatici con effetti facilmente visibili. Solo un esempio. A giugno dello scorso anno, il fiume italiano per eccellenza, il Po, è tornato ai livelli record di magra del 2022. La desertificazione è ovunque. E minaccia la crescita economica di molti paesi del mondo, oltre che rappresentare una minaccia per l’ambiente.

Uno studio italiano condotto da Marco Percoco dell’Università Bocconi, insieme a Maurizio Malpede dell’ateneo di Pavia, dal titolo Desertification, crop yield and economic development: a disaggregated analysis, ha svolto un lavoro enorme, analizzando i dati climatici e socioeconomici su scala planetaria, con l’obiettivo di misurare la crescente aridità del suolo ed il suo impatto sull’economia reale. Ovvero, il legame tra PIL pro capite – in oltre 60.000 aree geografiche – e desertificazione.

“La desertificazione non dobbiamo pensarla come il deserto che avanza, ma è la capacità del terreno di trattenere l’acqua, i nutrienti, per cui di fatto stiamo parlando di una sorta di sterilità dei terreni che diventano meno produttivi per l’agricoltura, soprattutto per quelle colture che hanno bisogno di più acqua” spiega Percoco, professore associato del Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi. D’altronde, solo per citare un esempio numerico, i raccolti di grano in Spagna sono crollati del 60% rispetto alla media, mentre in Marocco intere aree rurali sono state abbandonate per la mancanza d’acqua. Da paesi lontani dai nostri orizzonti, come la Mongolia fino alla nostra Sicilia, la terra continua a produrre fratture del suolo. Possiamo vedere le cicatrici di quello che sta accadendo, anno dopo anno.

“Nelle scienze sociali si studia il cambiamento climatico soprattutto in termini di fenomeni estremi, maremoti, alluvioni, che ci danno la dimensione catastrofica del cambiamento climatico. Molto spesso però ci perdiamo quel cambiamento climatico che avviene tutti i giorni, un fenomeno inesorabile che ci porterà verso l’aumento di 2°C entro 2040. Ma la desertificazione è diversa rispetto alla siccità, non necessariamente i due fenomeni sono correlati. L’Italia è molto più esposta alla desertificazione che non a fenomeni estremi, come la siccità, benché in Sicilia sia evidente, seppur meno grave rispetto a quella che si registra nell’Africa subsahariana o nell’Asia centrale”, aggiunge Percoro.

La progressiva desertificazione avrà un impatto negativo certo sulla produttività agricola meridionale, e a livello di reddito, il Sud potrebbe allontanarsi ancora di più dal PIL del Nord Italia. “Stiamo vedendo su scala micro, in Italia, un fenomeno che è presente a livello globale. Il cambiamento climatico ha un impatto maggiore sull’economia più povera rispetto a quelle più ricche, anche perché quelle più ricche sono in una zona climatica diversa, quindi si avvantaggiano di produttività più alta e capacità di risposta migliore e clima più mite”.

Lo studio dei due italiani si basa su un dataset disaggregato a livello mondiale, che ha raccolto oltre 1,6 milioni di osservazioni nel periodo 1990–2015. Incrociando dati climatici, come precipitazioni, temperature e livelli di evapotranspirazione, con indicatori economici e agricoli, Percoco e Malpede hanno sviluppato l’Aridity Index, l’indice di aridità, una misura composita della desertificazione. “Il nostro programma di ricerca è durato diversi anni, grazie al finanziamento della Fondazione Invernizzi, con cui abbiamo messo insieme una banca dati molto grande e dettagliata su scala globale a livello di cella, con variabili di dettaglio fino a 1 km per 1 km, cioè dei piccoli quadrati di aree del mondo” sottolinea Percoco, “dopodiché abbiamo studiato i dati con tecniche econometriche, che ci hanno consentito di mettere in relazione delle variabili, tra cui il PIL pro capite piuttosto che la produttività dell’agricoltura in quella cella specifica”. Il legame tra desertificazione ed economia passa dunque, in larga parte attraverso l’agricoltura. In Africa, ad esempio, un aumento della produttività agricola di un solo punto percentuale si associa a un incremento medio dello 0,07% del PIL locale. È stato verificato che il calo della resa agricola è uno dei principali canali attraverso cui l’aridità danneggia la crescita. Ma questo fenomeno non riguarda più solo le economie fragili.

“Abbiamo riscontrato effetti rilevanti anche in alcune regioni europee, come la Spagna e la Grecia, oltre al nostro Meridione, che mostrano segnali crescenti di desertificazione”, sottolinea Percoco. Ma non è ancora tutto. Lo studio prevede che l’indice di aridità medio globale continuerà a scendere fino al 2040 e che il numero di celle terrestri classificate come aride o iperaride aumenterà del 16%, toccando 21.000 aree su scala globale. Gli impatti più forti in Arica occidentale, nel Sud-est asiatico, in particolare Vietnam, Cambogia ed India centrale, America centrale e settentrionale, ed anche l’area mediterranea europea, di cui l’Italia fa parte. Nell’Africa sub-sahariana si stima che il reddito pro capite possa diminuire fino al 10%, senza adeguate politiche di migrazione.

Infatti, oltre il fattore economico, lo studio per la prima volta al mondo ha evidenziato il collegamento tra desertificazione e migrazioni locali, non solo sulle lunghe distanze. “Sono soprattutto gli uomini che emigrano dalle campagne verso le città meno interessate della desertificazione. E questo potrebbe avere un effetto ancora più avverso sul cambiamento climatico, perché se la popolazione si riversa dalle campagne verso le città non è detto che le emissioni di CO? si riducano”.

È opinione di una certa corrente scientifica che densificare la popolazione nelle città, produca maggiore efficienza energetica, quindi riduca l’impatto delle persone, ma “non ne siamo convinti, perché quando ci si sposta in ambienti urbani cambiano le abitudini di consumo, e quindi in realtà consumando molto di più rispetto a quando si è nelle campagne emettiamo molto di più in termini di carbonio e quindi incidiamo molto di più sul cambiamento climatico”, sostiene il docente della Bocconi. Ci troviamo davanti ad un paradosso: il cambiamento climatico provoca la desertificazione, quindi la migrazione dalle campagne alle città, che non fa che aumentare ancora il cambiamento climatico.

Ma aridità significa anche meno acqua per uso domestico e industriale, maggiore insicurezza alimentare, ed un impatto possibile anche su altri settori che sono legati all’agricoltura. “La contrazione del PIL non è dovuta solo alla minore produzione agricola, ma ai salari che vengono pagati ai lavoratori della terra che consumeranno meno, con effetti intersettoriali su tutta l’economia” conclude Percoco, che auspica un cambio di paradigma, in cui misurare e mitigare l’impatto della desertificazione deve diventare una priorità per la politica economica e climatica.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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