Quattro specie di lemuri, l’orango di Tapanuli, il gorilla del Cross River: sono solo alcune delle 25 specie di primati più a rischio di estinzione, inserite nella lista stilata dagli esperti della International Union for Conservation of Nature (Iucn), della Conservation International (Ci) e della International Primatological Society (Ips). L’elenco viene aggiornato ogni due anni e quello appena pubblicato contiene ben otto primati che non erano mai apparsi prima fra quelli maggiormente minacciati.
Parliamo di animali originari dell’Africa continentale, del Madagascar, dell’Asia e del Sud America, che secondo gli autori del report sono minacciati soprattutto dal cambiamento climatico, dalla distruzione degli habitat, dalla caccia e dal commercio illegale. Fra le specie elencate c’è appunto l’orango di Tapanuli (Pongo tapanuliensis), diffuso nelle foreste pluviali dell’isola di Sumatra e scoperto nel 2017. Al momento, si legge nella pubblicazione, si contano meno di 800 esemplari e, insieme al gorilla del Cross River (Gorilla gorilla diehli), è la specie meno numerosa in assoluto fra le grandi scimmie.
Oltre ai primati di grandi dimensioni, anche diverse specie di lemuri endemiche del Madagascar sono considerate a rischio di estinzione. Una di queste è il microcebo di Madame Berthe (Microcebus berthae), il più piccolo primate del mondo. Scoperto nel 1993, la sua popolazione si è ridotta notevolmente negli ultimi tre anni. “Questa specie è scomparsa anche dalla maggior parte delle foreste intatte rimaste, il che indica conseguenze spaventose per le possibili misure di conservazione. Potrebbe essere il primo primate che perderemo per sempre nel ventunesimo secolo, dato che non esistono popolazioni in cattività”, avverte Peter Kappeler, responsabile della stazione di campo nella Forêt de Kirindy, in Madagascar, dove la specie è stata identificata per la prima volta.
Nell’elenco troviamo poi il galagone di Rondo (Paragalogo rondoensis), endemico della Tanzania, il colobo rosso del delta del Niger (Piliocolobus epieni), il presbite dalla testa bianca (Trachypithecus poliocephalus), endemico del Vietnam. E ancora, il gibbone crestato nero orientale (Nomascus nasutus), che vive nella Cina sudorientale e nel Vietnam settentrionale, il callicebo di Barbara Brown (Callicebus barbarabrownae), o callicebo dorato, endemico del Brasile. E si potrebbe continuare ancora a lungo.
Per proteggere questi animali dal rischio di estinzione, gli autori del report sottolineano l’urgenza di applicare misure di protezione che preservino gli habitat critici, così come l’importanza di coinvolgere le comunità native nello sforzo di salvaguardia delle specie minacciate. Gli esperti chiedono anche che vengano rafforzate le leggi contro il commercio illegale della fauna selvatica e la deforestazione, e che vengano mobilitati i fondi necessari a finanziare programmi di conservazione a lungo termine. Se non si agisce in fretta, spiegano, il rischio è quello di perdere per sempre queste specie, con un danno irreparabile agli ecosistemi di cui fanno parte.
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“La situazione è drammatica – conclude Christian Roos, genetista presso il German Primate Center del Leibniz Institute for Primate Research di Göttingen (Germania), che ha supportato la pubblicazione – Se non agiamo subito, perderemo alcune di queste specie per sempre. Ma c’è speranza, se scienza, politica e società agiscono insieme”.