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Così la crusca e altri scarti alimentari diventano imballaggio compostabile

Ogni anno in Europa si contano almeno 17 milioni di tonnellate di scarti alimentari, residui che poi finiscono in inceneritori o discariche, con un impatto ambientale e economico non più sostenibile. Allo stesso tempo in Europa si consumano più di 37 milioni di tonnellate di cellulosa per produrre carta: quasi la metà arriva ancora da fibre vergini, e questo significa una cosa sola: deforestazione. Due problemi così distanti trovano soluzione in ReVita, startup milanese fondata nel 2022 da due giovani chimiche, Greta Colombo Dugoni e Monica Ferro, che trasforma gli scarti agroalimentari in fibre con cui produrre carta e imballaggi compostabili. “Food waste is the new packaging” è il loro payoff che racchiude una visione che è tutt’altro che uno slogan.

Niente coltivazioni dedicate, niente input nuovi: ReVita utilizza solo sottoprodotti che nessuno vuole. Come la crusca che resta nei mulini, la lolla del riso nei consorzi agricoli, le trebbie esauste dei birrifici artigianali (sempre di più), le bucce del pomodoro che avanzano nella lavorazione delle conserve. Tutti scarti alimentari autentici, locali, spesso a chilometro zero. “Non ci inventiamo nuovi rifiuti, non coltiviamo per produrre carta. Usiamo solo quello che c’è già. È una scelta industriale ed etica molto decisa,” spiegano.

La tecnologia chiave si chiama Bi-rex: è un brevetto italiano sviluppato in casa, che permette di ottenere fibre a partire da questi residui, riducendo l’uso di cellulosa vergine. I numeri parlano chiaro: -95% di consumo di acqua ed energia rispetto alla produzione tradizionale, -70% di emissioni di CO?. “All’inizio abbiamo provato di tutto: steli di lavanda, gambi di cicoria, bucce d’ananas. Poi abbiamo trovato le matrici giuste: crusca, lolla di riso, pomodoro e trebbie di birra,” raccontano. “Non solo sono disponibili, ma hanno prestazioni ottime: resistenti, lavorabili, perfettamente compatibili con le cartiere.”

Il primo capitale — 160 mila euro da Poli360 — è arrivato quando le fondatrici erano ancora in università, e ha permesso di partire, studiare e capire se trasformare in società quello che era un semplice progetto di ricerca. Poi un secondo investimento di 250 mila euro da parte del fondo Italo americano 20fund, poco dopo la costituzione della società, che ha consentito di affittare un capannone a Turbigo, nell’hinterland milanese. Lì oggi c’è il cuore produttivo di ReVita: una linea industriale in grado di generare 15 tonnellate di fibra al mese, sufficiente oggi per avviare tutti i test industriali necessari e soddisfare già alcune specifiche richieste di packaging e imballaggi esclusivi. “ReVita non sbianca la fibra, ogni carta mantiene il colore della materia da cui nasce: ruggine per il pomodoro, paglierino per la lolla, marroncino per la crusca. Non volevamo imitare la carta vergine: volevamo raccontare una storia diversa, e renderla visibile” sottolineano.

Oggi ReVita è la startup femminile più premiata d’Italia nel settore della sostenibilità: ha ricevuto riconoscimenti da Legambiente, EIT Manufacturing, Fondazione Bellisario. Ha raccolto oltre 400 mila euro tra pre-seed e seed, è stata tra le startup selezionate da ITA – Italian Trade Agency per il roadshow internazionale organizzato da SMAU a Parigi. Ora è in chiusura di un round da 1,5 milioni di euro — da affiancare ai 900 mila euro vinti con il bando Smart&Start di Invitalia — per espandere la produzione, accelerare il go-to-market e stringere nuove partnership industriali.

E proprio le partnership sono già in movimento. Le prime linee di carta usa e getta ReVita usciranno quest’estate in private label, mentre multinazionali leader nel settore del food stanno già testando le fibre e individuando soluzioni per le loro linee di prodotti. Il potenziale è enorme: in Italia produciamo il 25% della carta usa e getta che troviamo in Europa, ma una fetta consistente della materia prima arriva ancora dall’estero, soprattutto dal Sud America. ReVita propone un’alternativa concreta, scalabile e soprattutto dimostra che un’altra economia è possibile: quella in cui parte dai rifiuti passa dalla chimica verde e finisce sulle scrivanie, sugli scaffali dei supermercati, tra le mani di chi ogni giorno apre un pacco, sfoglia un volantino, usa un tovagliolo. Senza abbattere nemmeno un albero. “Il nostro obiettivo,” spiegano, “è arrivare a coprire il 10% del mercato della carta entro cinque anni, con applicazioni anche nella moda, nella cosmesi e nel settore food.”


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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