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Como, l’alveare urbano contro l’overtourism

Più di quattro milioni di turisti all’anno sono tanti per una città di appena 80mila abitanti. Per questo a Como si è deciso di correre ai ripari per limitare almeno gli effetti più deleteri dell’overtourism. Mentre poco distante Varenna propone la tassa di sbarco contro l’overtourism sul Lago di Como, il capoluogo lariano sperimenta una duplice strategia: da un lato nuove regole per contenere i flussi turistici, dall’altro un innovativo progetto di rigenerazione urbana.

Grazie a una serie di modifiche del regolamento di polizia urbana dai prossimi giorni saranno vietati i “buttadentro” dei ristoranti sulla passeggiata che dalla tarda mattina fino a ben oltre il tramonto decantano, in tutte le lingue, le meraviglie dei menù che a ben vedere si assomigliano un po’ tutti. Nelle aree del centro, al fine di garantire la vivibilità urbana, con particolare riguardo alla tutela della tranquillità e alla mobilità pedonale – si legge nell’articolo 27 bis – i gruppi di visitatori accompagnati da guide turistiche, accompagnatori o altri soggetti individuabili come referenti della visita, non possono essere composti da più di 25 persone.

Ma accanto a queste misure di contenimento, l’amministrazione comunale ha messo in campo un progetto di rigenerazione urbana che utilizza la metafora dell’alveare per rilanciare il commercio di prossimità e restituire il centro storico alla comunità locale. L’iniziativa, sviluppata attraverso il Distretto crbano del commercio, punta a riequilibrare un tessuto urbano sempre più compromesso dalla pressione turistica. Con 4,8 milioni di pernottamenti registrati nel solo 2023 e una presenza straniera che tocca l’83% del totale, Como si trova al centro di un fenomeno che, pur generando ricchezza, rischia di svuotare la città della sua identità quotidiana.

Un ecosistema urbano che imita la natura

Il cuore del progetto è la trasformazione di quattro zone verdi cittadine: la stazione San Giovanni, piazza Vittoria, viale Geno e il giardino di via Balestra. Quest’ultimo ospita l’alveare urbano posizionato strategicamente vicino alle mura storiche. La scelta non è casuale, come spiega Carlo Montisci, manager del Duc: “Esattamente come le api sono un indicatore di biodiversità e salute dell’ambiente, il commercio di vicinato assicura l’identità di una collettività, e va favorito creando il giusto habitat”. L’intervento ha previsto l’introduzione di essenze botaniche selezionate per supportare api mellifere e selvatiche, trasformando gli spazi in veri e propri corridoi ecologici urbani.

La crisi del commercio di prossimità

I numeri nazionali fotografano una situazione allarmante: tra il 2012 e il 2024, l’Italia ha perso quasi 118mila negozi al dettaglio e 23mila attività ambulanti, mentre crescevano di 18.500 unità le imprese legate ad alloggio e ristorazione. Un processo che Como conosce bene, con la città che assorbe l’86% dei soggiorni alberghieri dell’intera area del lago.

Tuttavia, emerge una nuova consapevolezza tra i cittadini. Secondo una ricerca Bva Doxa per American Express, il 45% degli italiani ha aumentato gli acquisti presso i piccoli esercenti negli ultimi due anni, percentuale che sale al 54% tra i giovani di 18-34 anni. L’88% preferisce vivere in aree servite da negozi di vicinato, considerati più determinanti nella scelta del quartiere rispetto a scuole, ospedali o aree verdi.

“Stiamo lavorando con determinazione per rendere Como una città sempre più vivibile, curata e accogliente – afferma Alessandro Rapinese, sindaco di Como -. Una città bella, pulita e ordinata non è solo un luogo piacevole da abitare, ma diventa anche più attrattiva per chi la visita, contribuendo così a un’economia locale più forte e sostenibile”. Il progetto mira a superare la logica della città-vetrina per turisti, puntando invece su un centro storico che torni a essere spazio vissuto, verde, accogliente e condiviso. L’obiettivo è riattivare il rapporto tra residenti e territorio, sostenendo un turismo di qualità che rispetti i luoghi e chi li abita.

L’esperienza comasca si inserisce in un dibattito più ampio sul futuro delle città d’arte italiane, offrendo un modello concreto per coniugare attrattività turistica e qualità della vita urbana. Un approccio che considera la città non come risorsa da consumare, ma come ecosistema da curare e far prosperare.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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