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Clima, smog, eventi estremi: i tanti alleati delle allergie da polline

Per dieci milioni di italiani è davvero una “maledetta primavera”. Sono adulti e bambini che secondo la società italiana di allergologia e immunologia clinica (Siaaic) soffrono di allergie da polline, manifestando appena calano le temperature i classici sintomi: rinite, tosse, starnuti e perfino asma. Fin qui niente di nuovo. A catturare nuovamente l’attenzione dei ricercatori è l’intreccio tra questa patologia respiratoria e il cambiamento climatico con tutte le sue implicazioni.

Dagli eventi estremi alle specie invasive all’inquinamento. Indagini scientifiche infatti, condotte sia in Europa che negli Stati Uniti – dove il problema colpisce 80 milioni di persone (il 25% della popolazione) – hanno stabilito che le allergie stagionali non solo arrivano sempre prima, ma durano più a lungo. Bastano 10 giorni invernali in più per allungare la stagione dei pollini che inizia 25 giorni prima in media e si allunga di 20 in autunno, dice la Siaacic. In totale sono 45 giorni in più a combattere con un’infiammazione delle vie respiratorie, alcune volte piuttosto rischiosa soprattutto per le persone anziane. La colpa dunque sembra sia dell’aumento complessivo delle temperatura che espone le persone ad inalare una maggiore consistenza di pollini e con loro anche le sostanze inquinanti. Sì perché su un punto non ci sono dubbi: i pollini interagiscono con alcuni componenti dell’inquinamento come l’ozono e il particolato, proveniente dai gas di scarico delle auto, che riescono ad attraversare le vie respiratorie.

Lo stravolgimento del calendario dei pollini

Dunque meno giorni di freddo, più le piante hanno tempo di rilasciare i pollini. Ma non è finita. Più l’inquinamento fa salire i livelli di CO2 nell’aria più aumenta la produzione di pollini nelle piante nei centri urbani, soprattutto nelle graminacee e nelle ambrosia. Ma se il trend non si ferma dove si può arrivare? Uno scenario possibile arriva da una ricerca del Climate Central che dopo aver analizzato le temperature in 198 città americane per valutarne l’andamento, descrive così il futuro per gli abitanti negli Usa allergici al polline: “Se persistono elevati tassi di inquinamento da CO2 alla fine del secolo l’aumento della produzione di pollini potrebbe arrivare fino al 200%”. Uno scenario tutt’altro che rassicurante per medici e ricercatori. Ma anche per i cittadini.

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Inquinamento urbano

Ora, un nuovo studio pubblicato da The Guardian, a cui il giornale dedica un lungo servizio, racconta quanto tutto questo inciderà sulla salute dei cittadini europei. Dagli anni ’60, gli scienziati affermano che più di 350 mila molecole chimiche sono state introdotte nella vita di tutti i giorni, molte delle quali sono inquinanti nocivi e che trasportati dal polline, arrivano nel corpo umano. Sono soprattutto le polveri da particolato dei gas di scarico delle auto e dell’industria. Uno studio del 2023 condotto da scienziati dell’università di Manchester ha rilevato che le persone che vivono in paesi e città hanno riportato sintomi di raffreddore da fieno significativamente più gravi, indicando una potenziale relazione con gli inquinanti urbani. La professoressa Claudia Traidl-Hoffmann dell’Istituto di Medicina Ambientale e Salute Integrativa dell’ospedale universitario di Augusta in Germania, afferma: “Le cellule epiteliali che fungono da barriera protettiva sulla pelle e sui nostri organi sono costantemente attaccate da sostanze chimiche nell’era moderna: particelle ultra fini, particelle di carbonio, composti organici volatili, sostanze chimiche nell’acqua, nell’abbigliamento, nella nostra alimentazione. Agiscono tutti sul nostro corpo, sul nostro intestino, sul nostro esofago. Questo significa che un bambino residente vicino a una strada ad alto traffico, ha una maggiore probabilità di sviluppare asma e allergie”. Non solo. Continua la ricercatrice: “In molti paesi, la stagione del raffreddore da fieno inizia prima, dura più a lungo e produce carichi di polline più elevati e si prevede che l’aumento delle temperature causerà un forte aumento. Le piante che associamo alle allergie si stanno spostando o migrando sempre più verso nord”.

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Le piante che si spostano con il clima

Dall’Islanda al Canada, diverse località dell’emisfero settentrionale stanno assistendo ad un aumento del polline rilasciato dalle piante orignarie di aree più a sud. Lewis Ziska, professore associato di scienze della salute ambientale presso la Columbia University, afferma: “Sappiamo che delle piante che associamo alle allergie, si stanno spostando o migrando verso nord. Quindi, ad esempio, se si guarda all’ambrosia comune, che è un progenitore del polline in autunno, si sta manifestando in luoghi in Norvegia e Svezia e in luoghi dove non è stato visto in precedenza”.

L’ambrosia comune

Anche in Europa c’è un problema simile legato alle allergie da polline che si sta studiando. Tutto è partito da un’analisi approfondita del colpevole di molte riniti: l’ambrosia comune. Una pianta trasportata dal Nord America nel 1800 e diffusa in Europa centrale e orientale, considerata dai medici altamente allergenica: una singola pianta produce milioni di minuscoli granelli di polline nell’aria. A coordinare la ricerca un professore dell’università ungherese di Szeged, Làszlo Makra da sempre convinto che l’aumento delle temperature oltre allo smog, gli eventi estremi e la diffusione di specie invasive stiano trasformando il mondo dei pollini, con conseguenze che già adesso variano da luogo a luogo e di anno in anno.

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Oltre 7 miliardi di euro di costi sanitari

In alcune parti d’Europa, c’è un crescente riconoscimento dei rischi per la salute pubblica causati dalle specie invasive con polline allergenico, tipo appunto l’ambrosia. In Svizzera ad esempio, stanno cercando di contrastare il fenomeno con i coleotteri che si nutrono di ambrosia, ma la pianta ha già infestato diverse regioni. In particolare l’Ungheria, i Balcani, la Francia meridionale e l’Italia nord-occidentale, con una stima di 13,5 milioni di europei che soffrono di reazioni allergiche, con un conseguente valore di 7,4 miliardi di euro di costi sanitari all’anno. Con le concentrazioni di polline di ambrosia che si prevede quadruplicheranno entro la metà del secolo, questo potrebbe aumentare ulteriormente l’onere economico del raffreddore da fieno. “Nella medicina ambientale, non è mai solo un fattore che causa qualcosa, ma è come un mosaico. Abbiamo una stagione dei pollini più lunga a causa del cambiamento climatico. I pollini sono più aggressivi a causa dell’inquinamento e dell’aumento delle temperature. Un altro fattore è il nuovo polline proveniente da specie invasive”, afferma la professoressa Traidl-Hoffmann.

Asma da temporale

Nel novembre 2016 a Melbourne, racconta l’articolo apparso sul The Guardian, i dipartimenti di emergenza hanno visto un’ondata di ricoveri dopo un temporale scoppiato in piena stagione dei pollini: nove morti e decine di persone finirono in terapia intensiva. Ma sono decine di miglia le persone arrivate nei pronto soccorsoi dopo la tempesta,accusando difficoltà respiratorie. La combinazione di temperature in picchiata, aumento dell’umidità e un alto numero di pollini ha guidato il raro evento meteorologico, che è stato registrato anche a Londra, Birmingham e Napoli.

Si legge sul The Guardian: “Sebbene rari, i temporali sono un noto fattore scatenante per gli attacchi d’asma e le persone che soffrono di raffreddore da fieno hanno maggiori probabilità di essere colpite. Epidemie di asma sono state registrate solo durante le stagioni dei pollini e delle muffe all’aperto. Non è chiaro esattamente come le tempeste scatenino gli attacchi, ma gli scienziati hanno proposto che sia una combinazione di vento che soffia più polline nell’aria e umidità nell’atmosfera che rompe le particelle di polline in pezzi più piccoli, in modo che possano penetrare più profondamente nelle vie aeree. Man mano che si accumula più umidità nell’atmosfera a causa del riscaldamento globale, i temporali stanno diventando più comuni e intensi”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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