Le foreste della Nuova Zelanda stanno assorbendo una quantità più anidride carbonica superiore di quanto inizialmente stimato. Addirittura la capacità di assorbimento del carbonio delle foreste native potrebbe essere al 60% maggiore di quanto calcolato fino adesso dagli scienziati. A rivelare il ruolo cruciale di queste foreste è uno studio pubblicato sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics e condotto dal National Institute of Water and Atmospheric Research (NIWA) guidato da Kay Steinkap e Sara Mikaloff-Fletcher, co-firmato da scienziati del ministero dell’Ambiente. Una ricerca basata sui dati atmosferici (2011-2020) provenienti da stazioni fisse con modelli meteorologici ad alta risoluzione.
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“La nostra ricerca ha rivelato che l’ambiente naturale della Nuova Zelanda assorbe circa 171 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno“, ha dichiarato Beata Bukosa scienziata del Niwa e coordinatrice dello studio. Si tratta di una quantità molto superiore alle stime precedenti, secondo le quali gli ecosistemi terrestri della regione eliminavano tra i 24 e i 118 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Dunque una forte attività fotosintetica in particolare emersa nelle regioni occidentali. “Il nostro nuovo studio dimostra che i pozzi di carbonio sono più diffusi di quanto pensassimo, in particolare nell’Isola del Sud, con un maggiore assorbimento di anidride carbonica che si estende lungo la costa occidentale”, sottolinea l’esperta.
Maggiore tutela
Non c’è dubbio che lo studio potrebbe influenzare le politiche nazionali e le strategie sulla gestione delle foreste native, visto il loro ruolo per il raggiungimento degli obiettivi climatici internazionali.
Secondo Sara Mikaloff-Fletcher, la Nuova Zelanda dovrebbe ridurre le sue emissioni di ulteriori 84 milioni di tonnellate per rispettare gli impegni assunti nell’ambito degli accordi di Parigi. “Una migliore gestione delle nostre foreste primarie e di altri terreni potrebbe consentire, a lungo termine, di ottenere magnifici benefici collaterali in termini di biodiversità”, spiega.
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Andrea Brandon, ricercatore del ministero dell’Ambiente, afferma però che è necessario un ulteriore lavoro prima che questi dati possano essere aggiunti ai rapporti ufficiali sulle emissioni. “I risultati di questo studio indicano che potrebbe esserci un assorbimento supplementare di carbonio da qualche parte nel sistema che attualmente non stiamo monitorando. Dobbiamo determinare cosa ci sfugge per poter affinare ulteriormente i nostri metodi di inventario”.