in

Carne coltivata, il grande rebus: pro e contro

Perché sì: “Questione di etica e sostenibilità”

“Quella che chiamiamo eufemisticamente carne sono in verità pezzi di cadaveri, di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco un cimitero?”, chiedeva provocatoriamente lo scrittore Tiziano Terzani. Il tema dell’etica e della compassione è uno dei motivi per cui i ricercatori hanno avviato la sperimentazione di carne coltivata, ottenuta da cellule staminali sviluppate in laboratorio, quindi senza la necessità di allevare e macellare polli, bovini, suini. Poi c’è la sostenibilità.

“I cambiamenti climatici in atto e l’elevato tasso di inquinamento impongono di trovare alternative all’industria della carne tradizionale, una filiera basata sugli allevamenti intensivi, che hanno un rilevante impatto ambientale”, sostiene Luciano Conti, professore del dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata dell’Università di Trento. Un’alternativa, la carne “sintetica”, che permetterebbe a tutti di beneficiare delle proteine animali diverse rispetto a quelle vegetali, contenute, per esempio, in legumi, avena o frutta secca. Alla luce di tali benefici, gli esperti stanno lavorando per risolvere le sfide relative a questo alimento, ovvero l’alto costo e la complessità produttiva. “Per ovviare a entrambe le criticità sono ora in commercio, a Singapore e negli Stati Uniti, solo prodotti ibridi, costituiti cioè, oltre che da cellule animali, in particolare di pollo, anche da fibre”, spiega il biologo.

Nel frattempo, in altre aree del mondo, come Australia, Hong Kong, Regno Unito, Svizzera, Israele, stanno valutando l’ingresso sul mercato di questi preparati. “In Europa sono state avanzate due richieste di approvazione: la prima da parte dell’impresa francese Gourmey, che produce foie gras, una sorta di patè a base di materiale cellulare d’oca; la seconda da parte dell’azienda olandese Mosa Meat, che crea grasso di manzo da colture bovine”, prosegue l’esperto. Solo in caso di esito positivo i prodotti potranno essere commercializzati, ma ciò non implica un’immediata distribuzione nei supermercati. La palla dovrà, infatti, passare al Parlamento europeo, che analizzerà gli aspetti commerciali.

“«Quando un nuovo prodotto ottiene l’approvazione, occorre svolgere alcune analisi per valutare l’impatto sul mercato”, continua Conti. “Nel caso della carne coltivata, poiché il prodotto più prossimo è la carne tradizionale, bisogna effettuare un confronto con l’industria degli allevatori, che costituiscono una lobby potente. Si tratta di valutare in quale misura il nuovo processo industriale potrebbe creare posti di lavoro e indotto economico, oltre a essere più etico e sostenibile”. In ogni caso, nel momento in cui la cultivated meat ottenesse il via libera in Europa, l’Italia non potrà opporsi. “Il nostro Paese ha varato nel 2024 una legge in antitesi con la normativa europea, nella quale vieta la commercializzazione di carne coltivata”, stigmatizza il professor Conti. “Del resto, bandire un prodotto a priori, attraverso norme preventive, è un controsenso, significa guardare al passato e non al futuro, sostenendo gli interessi di pochi a scapito di benefici per tutti”.

Il programma

G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

20 Maggio 2025

Perché no: “Sarà sicura per la nostra salute?”

Nel maggio 2012, durante la trasmissione televisiva Quello che (non) ho su La7, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, aveva pronunciato un monologo. “Appartengo alla Terra”, disse. “E come me tutta l’umanità e ogni forma di vita. Animali d’ogni specie e tutto ciò che il lavoro umano ha plasmato e trasformato nel tempo”. Bisognerebbe forse partire da qui per comprendere la posizione dell’associazione sul tema carne coltivata. “I consumi di carne in Occidente sono insostenibili”, dice la presidente Barbara Nappini. “E questa impennata della produzione è correlata allo sviluppo degli allevamenti intensivi, che provocano più del 30% delle emissioni di CO? nel Pianeta, inquinano il suolo e l’acqua, causano la sofferenza del bestiame e, infine, compromettono la nostra salute”. Secondo Slow Food, quest’ultimo settore è oggi controllato da poche multinazionali, come Virgin Group, Jbs, Cargill, Tyson Foods, le stesse che stanno finanziando la ricerca sui prodotti di origine cellulare.

Gli ospiti

Antartide, Boston, New York, Losanna: scienza senza confini al Festival di Green&Blue

19 Maggio 2025

“Ora che il settore dell’allevamento inizia ad avere prospettive più incerte, i grandi gruppi aziendali si sono concentrati su un altro business, applicando gli stessi strumenti, come brevetti e monopoli”, incalza Nappini. Due le principali criticità che la presidente ravvisa nei nuovi preparati a base di cellule. La prima: l’elevato impatto ambientale, visto che “al momento gli impianti necessari alla produzione consumano una rilevante quantità di energia”. La seconda: l’incognita della salubrità, dato che “nei processi produttivi vengono impiegati sia ormoni sia lieviti geneticamente modificati, realizzando così alimenti iperprocessati”. Un’ulteriore considerazione riguarda le ricadute negative sui piccoli allevatori, che usano un modello estensivo e che, in seguito all’introduzione degli alimenti innovativi, “rischierebbero di scomparire”, sostiene la rappresentante dell’associazione, che non fa sconti nemmeno sulla denominazione: “Il nome attribuito ai sostituti della carne e la loro etichettatura non devono generare confusione nel consumatore. Perciò questi nuovi prodotti non potranno essere definiti carne, ma neppure si potranno usare termini come salame, latte, prosciutto per riferirsi ai derivati”.

Alla luce di tutto ciò, conclude Nappini, “il problema di un’eccessiva produzione di carne non si risolve passando dagli allevamenti intensivi ai laboratori, ma si affronta analizzando e modificando il modello che ha originato la distorsione. È, dunque, imprescindibile ridurre il consumo di proteine animali e puntare su un allevamento sostenibile”. Per cercare di raggiungere questi obiettivi, l’organizzazione ha realizzato varie iniziative di comunicazione. Tra queste, Slow Meat, la campagna internazionale “Diamoci un taglio” mirata a sensibilizzare i consumatori sulla necessità di diminuire il consumo di proteine animali. È, invece, rivolta anche ai cuochi, oltre che ai cittadini, la campagna “Meat the change”, che invita i professionisti dei fornelli a promuovere menù amici del clima.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


Tagcloud:

Le foreste sono in crescita ma non abbassiamo la guardia

Maturità 2025, dai crediti scolastici ai voti all’esame: come prendere 100