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Car sharing, car pooling, ride sharing: quali sono le differenze

Fa risparmiare denaro, tempo, stress. E, ovviamente, fa bene all’ambiente. La mobilità condivisa in automobile, ottimo esempio di economia collaborativa, sta assumendo sempre maggiore rilievo. Tant’è che anche in Italia, come conferma l’ottavo Rapporto nazionale sulla sharing mobility dell’omonimo Osservatorio, le cifre sono in costante aumento. Per non farsi cogliere impreparati, è allora importante conoscere i termini-chiave del settore, come car sharing, car pooling, ride sharing. Simili sì, ma non sinonimi.

Car-sharing

Il car-sharing prevede che un’auto di proprietà di un’azienda venga noleggiata e utilizzata da più persone anche durante la stessa giornata. Un sistema che ha iniziato a diffondersi in Europa già alla fine degli anni Ottanta, mentre nella nostra penisola il primo decreto di stanziamento di fondi in proposito, approvato dal ministero dell’Ambiente, risale al 1998. In seguito al provvedimento, viene istituita Ics (Iniziativa car sharing), organismo preposto a fornire assistenza alle città intenzionate a sviluppare il progetto.

Oggi, attraverso lo smartphone, è possibile registrarsi al servizio, prenotare la vettura desiderata e pagare il tempo di impiego alla fine di ogni noleggio. Due i tipi di car sharing. Il primo è quello convenzionale (chiamato station based), in cui l’utente preleva e riconsegna l’auto in parcheggi definiti: un esempio è IoGuido del gruppo Ics. Il secondo è quello a flusso libero (free floating), in cui prelievo e riconsegna possono avvenire in qualsiasi punto all’interno dell’area prevista: esempi sono Car2Go di Daimler Ag, DriveNow di Bmw, Enjoy del gruppo Eni. Il car sharing è disponibile ovunque, ma è più attivo nelle grandi città, come Milano, Roma, Torino, Firenze.

Car-pooling

Utilizzato per la prima volta negli Stati Uniti come strumento di razionamento durante la Seconda guerra mondiale, il car-pooling è una sorta di autostop digitale, in cui gli utenti condividono uno spostamento (come per esempio il tragitto casa-scuola, casa-lavoro o il percorso verso un evento, una fiera, un concerto) sulla medesima auto. Il guidatore, che non è un autista professionista, offre un passaggio a chi lo richiede, ricevendo in cambio un rimborso spese. Per le lunghe percorrenze il riferimento è BlaBlaCar, una piattaforma web fondata in Francia, che opera attualmente in oltre venti Paesi, con circa 80 milioni di utenti. In concreto, il proprietario della vettura pubblica online l’itinerario del proprio viaggio e chiunque può usufruire di un passaggio contribuendo con un importo stabilito. Sono, invece, ancora pochi gli esempi di car-pooling a breve percorrenza. In Italia c’è, per esempio, Clacsoon, app che offre un servizio urbano in real time.

Ride sharing

Si racconta che l’idea sia nata una sera nevosa nel 2008, quando due amici, Travis Kalanick e Garrett Camp, si sono ritrovati bloccati a Parigi, senza riuscire a trovare un taxi. In seguito a questa esperienza, hanno co-fondato Uber, la principale società di ride sharing nel mondo, con sede a San Francisco, negli Stati Uniti. Il sistema mette in contatto, tramite siti web e app, passeggeri e conducenti di veicoli a noleggio che, a differenza dei taxi, non possono essere fermati per strada. In pratica, un servizio tra privati a prezzi esigui. In Italia, però, la formula non ha preso piede nella sua versione originaria, a causa sia di problemi normativi sia delle proteste dei tassisti. Per ora, nel nostro Paese il sistema funziona come un tradizionale noleggio con conducente, per il quale serve una licenza ufficiale. Proprio negli ultimi giorni, i Radicali e le principali associazioni di settore hanno presentato una legge di iniziativa popolare per liberalizzare il trasporto pubblico non di linea, sostituendo le licenze comunali con autorizzazioni regionali meno restrittive. Tra gli obiettivi, anche quello di aprire le porte a piattaforme come Uber.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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