1 Settembre 2025

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    Cacciare i lupi non risolve il problema dei danni agli allevamenti

    L’abbattimento dei lupi attraverso la caccia non sarebbe una strategia efficace per ridimensionarne le popolazioni nelle aree in cui la crescita delle popolazioni sembra minacciare contadini, agricoltori e residenti delle comunità montane: non comporterebbe infatti un automatico calo delle predazioni del bestiame. Le ultime evidenze arrivano da uno studio americano, appena pubblicato sulla rivista Science Advances a più firme (Leandra M. Merz, Bernhard Clemm von Hohenberg, Nicolas T. Bergmann, Jeremy T. Bruskotter, Neil H. Carter). I ricercatori sono partiti dalla constatazione che l’espansione delle popolazioni di lupo in Europa e Nord Americo accresce il rischio di predazione del bestiame, alimentando un allarme sociale sempre più diffuso e inducendo la politica a prendere di mira il mammifero studiando strategie di contenimento, in primis la caccia. Eppure, pochi studi empirici – sottolinea la ricerca – hanno sin qui documentato l’efficacia della selezione del predatore per antonomasia e la sensazione diffusa è che ci sia spesso lasciati guidare dall’onda emotiva di proteste e lamentele. “Proprio così. – confermano gli studiosi, che sono partiti dai numeri, incontrovertibili – Utilizzando modelli di equazioni strutturali e nelle differenze di dati provenienti dagli Stati Uniti nord-occidentali tra il 2005 e il 2021, abbiamo analizzato l’impatto della caccia al lupo sulla predazione del bestiame da parte dei lupi e sulla rimozione dei lupi da parte del governo, tenendo in considerazione anche variabili sociali e ambientali”.

    Lo studio americano
    L’attenzione si è focalizzata in particolare su Montana, Idaho, Oregon e Washington, realtà accomunate da un (controverso) processo di legalizzazione della caccia ai lupi. Ebbene, spiegano i ricercatori, la rimozione dei lupi non si traduce nell’effetto diretto, e misurabile, di un calo di predazioni. E quando ciò accade, è perché l’eliminazione di un esemplare particolarmente confidente può portare effettivamente portare il branco a essere più elusivo. Ma è, questa, solo una delle possibilità contemplate dai ricercatori, che – anzi – evidenziano il rischio che l’abbattimento di uno o più esemplari possa interrompere dinamiche sociali o strutture di equilibri interni al gruppo, traducendosi addirittura in una esacerbazione dei danni. Solo un intervento su larghissima scala, considerato poco fattibile e non auspicabile socialmente, politicamente ed ecologicamente, potrebbe portare, secondo i ricercatori, al raggiungimento “della soglia necessaria per un impatto sostanziale sulla predazione del bestiame”.

    E del resto a confortare questa tesi, citati nel lavoro, ci sono anche casi più vicini alla nostra realtà, in primis le strategie di selezione dei lupi adottate in Slovacchia e in Svizzera: in entrambi i casi non si è giunti ai risultati attesi. Evidenze che suggerirebbero, piuttosto, l’adozione di nuovi modelli di coesistenza con il lupo, mirati a raggiungere un auspicabile equilibrio senza, per questo, intervenire sulle popolazioni del grande carnivoro.

    Biodiversità

    “Fidatevi della scienza, sostenete i lupi, rifiutate il declassamento”

    16 Luglio 2025

    Il caso dell’Alto Adige e le polemiche del Wwf
    Un tema decisamente caldo in Italia, dove nella notte tra l’11 e il 12 agosto si è registrato, in Alto Adige, il primo abbattimento legale di un lupo dopo più di cinquant’anni. L’ordinanza della Provincia autonoma di Bolzano del 30 luglio scorso aveva autorizzato la rimozione di due lupi nell’area di malga Furgles, dove tra maggio e luglio si erano verificati 31 attacchi al bestiame. Un caso sul quale era intervenuto con forza il Wwf Italia, denunciando come “la deroga per l’abbattimento non rispetti i criteri previsti dalla Direttiva Habitat” e puntando l’indice anche contro Ispra, che aveva dato parere favorevole. “L’idea di abbattere due lupi a caso non risolve il problema. – aveva annotato Wwf Italia in una nota – Come evidenziato da alcuni studi sul tema, l’abbattimento di singoli lupi non rappresenta uno strumento efficace sul medio-lungo termine per mitigare il conflitto. Atri lupi prenderanno il loro posto e continueranno a predare il bestiame se non si attuano corrette strategie di prevenzione, le uniche a garantire un’efficacia duratura”.

    Genovesi (Ispra): “No a estremismi, il controllo delle popolazioni può aiutare”
    “Lo studio americano fornisce utili strumenti di discussione ma non consente, per stessa ammissione dei ricercatori, conclusioni solide”, commenta Piero Genovesi, responsabile della conservazione della fauna e del monitoraggio della biodiversità per Ispra. “Anzitutto, è da sottolineare la differenza tra caccia e controllo: nel primo caso, si consente l’abbattimento indistinto, non selettivo, di esemplari; nel secondo l’abbattimento mira a ridurre i danni in situazioni di danni particolarmente elevati, quando si sia tentato di ridurre le predazioni anche con misure di prevenzione. Va detto che nel caso dei lupi, gli abbattimenti mirati finalizzati a contenere danni al bestiame hanno comunque delle complicazioni intrinseche proprio per l’etologia della specie, che ne limitano l’efficacia: se con gli orsi l’abbattimento di esemplari problematici riduce significativamente i rischi per l’uomo, i lupi agiscono in branco e non è detto che abbattere uno o più esemplari riduca i fenomeni di predazione del bestiame. Ma una pianificazione ben disegnata della selezione, con prelievi realizzati nei siti specifici della predazione, può essere utile nell’ambito di una gestione integrata delle popolazioni di lupo che non prescinda dagli strumenti di prevenzione, rappresentati dalla recinzione notturna del bestiame e dalla presenza di cani da guardiania e dei pastori, come sta per esempio accadendo in Svizzera. Quanto all’Alto Adige – conclude Genovesi – va ricordato che la decisione di abbattere è sempre politica: Ispra ha verificato la coerenza di questa opzione, legata all’entità dei danni, all’esclusione di rischi per la conservazione generale della specie nell’area e, non ultimo, all’adozione contestuale di adeguati strumenti di prevenzione, ma la decisione di intervenire con abbattimenti è una scelta non tanto tecnica quando politica”. LEGGI TUTTO

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    Incendi, ondate di calore e prezzi alle stelle: dobbiamo ripensare l’idea delle vacanze estive?

    Dovremmo seriamente cominciare a ripensare al concetto di vacanze estive? La crisi climatica ci sta dicendo di sì. L’estate 2025, ancor più di altre in passato, ci sta fornendo una informazione importante: le attuali vacanze nei mesi estivi, soprattutto in Europa ma anche Nord America, stanno diventando estremamente diverse da quelle che in passato associavamo a momenti di relax, tranquilli bagni al mare e passeggiate in montagna, escursioni in famiglia all’aperto o viaggi culturali all’interno di città dal clima mite. Incendi, ondate di calore, aumento della temperatura del mare e intensificazioni delle tempeste e dei fenomeni meteo, oltre a siccità e cambiamenti delle condizioni in quota, mai come quest’estate ci stanno infatti mandando un segnale su come la crisi del clima innescata dalle nostre emissioni sta stravolgendo in pieno il concetto di vacanza estiva, trasformandola in un periodo dove aumentano i rischi di stress, sicurezza e salute. E se a questo aggiungiamo l’aumento dei prezzi e le criticità dell’over tourism, secondo esperti come Stefan Gössling, allora vuol dire che stiamo ormai entrando nell’ “era del non turismo”.

    Ovunque andiamo ci sarà un incendio
    Gli incendi sono forse uno degli elementi più lampanti: da inizio anno in Europa sono bruciati oltre un milione di ettari. Una cifra enorme, un record da quando abbiamo le rilevazioni Ue del 2006. Oltre due terzi di questa cifra è rappresentata da quanto accaduto soltanto in Spagna e Portogallo. Solo nella penisola iberica, dice Copernicus European Forest Fire Information System (EFFIS), da inizio anno al 26 agosto sono andati in fiamme più di 400.000 ettari e la maggior parte di questi sono bruciati nei mesi estivi, soprattutto in due settimane di fuoco estremo. Tra Portogallo e Spagna ad andare a fuoco, talvolta anche per cause dolose ma pur sempre in territori molto secchi a causa del nuovo clima, a bruciare sono state aree boschive della Galizia, Asturie, Castiglia e Leon ma anche diverse aree decisamente turistiche. Per esempio sono state colpite aree protette come il Parco nazionale Picos de Europa e diversi itinerari di pellegrinaggio del Cammino di Santiago, un percorso che solitamente attrae in estate oltre 100.000 visitatori. Nell’estate degli incendi da record in Europa sono state però colpite anche località turistiche della Grecia, Turchia e di Cipro, tutte aree dove è stato in più occasioni necessario evacuare i turisti. E come non dimenticare, in Italia, le immagini dei bagnanti in fuga aiutati dai soccorritori a lasciare la spiaggia di Punta Molentis in Sardegna assediata dalle fiamme? Una società specializzata in gestione del rischio e sicurezza, International Sos, racconta come praticamente qualunque destinazione scegliamo nel sud Europa sia a rischio roghi e ha persino stilato una classifica dei luoghi più a rischio incendio per i vacanzieri nel 2025, mettendo al primo posto la Grecia, seguita da Turchia, Cipro e Spagna. I giornali britannici, rilanciando la classifica, hanno espressamente detto di fare attenzione ai cittadini del Regno Unito quando si recavano in questi paesi.

    Nel frattempo, alcuni studi di attribuzione, come quelli del World Weather Attribution dell’Imperial College di Londra, durante questi mesi estivi hanno stimato come il peggioramento dei roghi nel Mediterraneo sia collegato direttamente al cambiamento climatico, concludendo con una certezza: in futuro gli incendi in Europa saranno probabilmente più frequenti e gravi. Più ettari di territorio bruciano, più viene rilasciata CO2 in atmosfera, avviando così un circolo vizioso che non fa che peggiorare le cose (solo in Spagna quest’anno la CO2 rilasciata dagli incendi ha raggiunto la cifra record di 17,68 milioni di tonnellate).

    Con le ondate di calore anche la “coolcation” è incerta
    Spesso, gli incendi più complessi da domare, quest’estate si sono verificati in periodi estremamente caldi e intensi. Europa e Nord America, dove si concentrano moltissime delle mete estive, hanno subito almeno quattro diverse ondate di calore. Difficile dimenticare quella tra fine giugno e inizio luglio che, anche in Italia, ha portato spesso la colonnina di mercurio oltre i 40 gradi. Le temperature estremamente elevate che hanno colpito praticamente tutta l’Europa non solo sono state motivo di forte stress termico per i turisti e di condizioni difficili da sopportare durante le vacanze, ma sono anche state la causa di molti decessi. Una stima precisa delle vittime verrà stilata a fine estate ma nel frattempo uno studio dei ricercatori del World Weather Attribution indica come la crisi del clima stia triplicando i decessi per calore nelle città del Vecchio Continente. Secondo la ricerca le ondate di calore, in questo 2025, sono state fino a 4 °C più calde nelle città rispetto a un mondo senza crisi climatica o con effetti minori, come quelli di quarant’anni fa. Gli esperti sostengono che il riscaldamento globale causato dall’uomo sia responsabile di circa il 65% dei decessi avvenuti in 12 città, tra cui Londra, Parigi, Madrid, Barcellona e Roma. Anche scegliere di passare le vacanze in una capitale europea d’estate potrebbe dunque diventare in futuro motivo di stress termico e preoccupazioni. Per questo soprattutto negli ultimi dieci anni, che sono già i più caldi di sempre, molti vacanzieri hanno iniziato a programmare le ferie basandosi su quella che all’estero chiamano “coolcation”, ovvero la ricerca di luoghi più freschi, con temperature miti, soprattutto nel Nord Europa oppure in Nord America, come nel Canada devastato dai roghi.

    Eppure, a causa del cambiamento della circolazione dell’aria e degli anticicloni, anche i Paesi Scandinavi – una delle mete chiave della coolcation – sono stati attraversati da diverse ondate di calore. Un esempio su tutti è la Finlandia dove per oltre due settimane le temperature sono sempre state in alcune località sopra i 30 gradi: persino il paese di Babbo Natale, Rovaniemi, non è stato risparmiato dal caldo estremo, tale da far strage purtroppo di decine di renne.

    Caldo anomalo in Finlandia, strage di renne nel paese di Babbo Natale

    06 Agosto 2025

    In generale, una delle mete rifugio dal caldo, è sempre stata la montagna: anche qui però le cose stanno radicalmente cambiando. Lo zero termico in alcuni periodi è schizzato a oltre 5.400 metri e le ondate di caldo, con punte oltre i 34 gradi, si sono fatte sentire in diverse aree delle nostre Alpi con conseguenze talvolta drammatiche: dai crolli ripetuti sulle nostre montagne, con tanto di chiusura dei sentieri, sino al devastante scioglimento dei ghiacciai, con il permafrost che continua ad arretrare. Gli eventi meteo estremi, soprattutto in montagna, hanno poi contribuito a rischi maggiori per gli escursionisti: quest’anno c’è stato un numero record di incidenti con quasi 100 decessi da inizio giugno. Decessi che, fra le cime così come al mare, in alcuni sfortunatissimi casi sono stati causati anche dai fulmini: con i mari sempre più caldi in atmosfera c’è infatti sempre più energia che non fa che rendere le tempeste più potenti, talvolta con riscontri drammatici.

    Intervista

    “Fulmini sempre più potenti: ecco come proteggersi”

    di Giacomo Talignani

    18 Agosto 2025

    Mari più caldi e nuovi invasori pericolosi
    Alla domanda “dove andiamo in vacanza?” tra caldo estremo e rischi di incendi spesso la soluzione che prima ci immaginavamo era una località di mare dove trovare un po’ di refrigerio in acqua. Anche qui però il cambiamento in atto è evidente e non privo di rischi.

    Biodiversità

    Il Mediterraneo è già estremamente caldo, +5 gradi rispetto alla media

    di Giacomo Talignani

    25 Giugno 2025

    Già a inizio giugno nel Mediterraneo sono state riscontrate anomalie termiche notevoli: il mare era più caldo, in certe zone (come il Tirreno ad esempio) di quasi cinque gradi. I mari più caldi non portano però solo a l’intensificazione dei fenomeni meteo, dai temporali alle trombe d’aria, ma anche a favorire la possibilità che nuove specie si adattino, così come al proliferare delle fioriture di alghe, oppure della mucillagine che – come accaduto in Adriatico – rischia di rovinarci le vacanze. Se in questi giorni in Spagna diverse spiagge sono state chiuse per il rischio di incappare nel Drago blu, mollusco urticante, da noi per precauzione sono stati dichiarati off limits alcuni lidi dell’Adriatico per la diffusione dell’Ostreopsis ovata, alga tossica che con i mari bollenti ha più chance di proliferare.

    L’allarme

    Attenzione all’alga tossica nell’Adriatico, un software per monitorarla

    di Giacomo Talignani

    23 Luglio 2025

    E poi ci sono sempre i rischi dettati, per via delle acque più calde, dall’adattamento di specie aliene che oggi popolano i nostri mari e che possono essere pericolose per l’uomo, come il pesce leone, il pesce palla maculato oppure i pesci coniglio.

    “Stiamo entrando nell’era del non-turismo”
    Così, in questo contesto di rischi in aumento durante le vacanze estive, se lo correliamo all’aumento dei prezzi aerei, il caro vita e l’over tourism (con aree del mondo, come alle Canarie o alle Baleari, dove aumentano le battaglie anti-turisti), secondo alcuni esperti stiamo entrando a pieno “nell’era del non turismo”. Quella in cui anche le vacanze estive andranno ripensate. A dirlo, senza mezzi termini e sul palco della più grande fiera del turismo al mondo, è stato di recente Stefan Gössling, ricercatore svedese che ha lavorato come consulente per le Nazioni Unite e la Banca Mondiale e fra i più esperti nel campo del turismo e dei trasporti. “Al momento è un fenomeno concentrato a livello locale ma in futuro diventerà più frequente, coprirà più località e diventerà qualcosa di rivoluzionario” ha spiegato Gössling mentre citava parallelamente l’aumento dei costi e come il nuovo clima, dalla siccità che impatta sugli hotel spagnoli fino all’erosione costiera che sta cancellando spiagge nel sud Europa, tra incendi e ondate di calore stia diventando determinante e creando stress finanziario nel mondo del turismo. E “non si tratta solo di qualche ondata di caldo o di incendi – ha aggiunto l’esperto – ma dell’aumento dei costi di tutto, dal cibo alle assicurazioni, che renderà i viaggi come li conosciamo noi inaccessibili”.

    Considerazioni, insieme all’osservazione di ciò che è accaduto in Europa quest’estate, che secondo un editoriale su The Guardian a firma di Ajit Niranjan dovrebbero portarci a ragionare su un turismo più “rilassante” all’interno dei confini nazionali, evitando così rischi e costi alti all’estero. Le tendenze e i modelli degli scienziati però – nonostante un mondo guidato dalla deriva negazionista di Donald Trump che non sta prendendo di petto l’allarmante questione climatica – ci dicono che le estati più roventi, con tutti i rischi connessi, saranno sempre di più e letteralmente ovunque, con quasi nessun luogo esente dagli effetti del global warming, soprattutto nei mesi di giugno, luglio e agosto nell’emisfero nord. Preso atto di questo, dovremmo dunque seriamente cominciare a ripensare al concetto di vacanze estive?. LEGGI TUTTO