14 Agosto 2025

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    Clima, le statue Rapa Nui nell’isola di Pasqua rischiano di essere sommerse

    Un gigante, l’oceano, contro i giganti, i moai. La sfida è già in atto e in poco più di cinquant’anni potrebbe arrivare il verdetto: secondo nuovi studi e modelli di previsione sarà il mare a vincere, compromettendo l’esistenza delle tradizioni, della cultura e del turismo di una intera popolazione. I giganti di Rapa Nui sono Patrimonio mondiale dell’Unesco e ora sono minacciati dall’innalzamento del mare. I moai, le grandi statue alte fino a 10 metri presenti nell’Isola di Pasqua, a 3600 chilometri a ovest dalle coste del Cile, in futuro potrebbero essere costantemente minacciate dalle onde dell’oceano. Statue che sono molto di più di un’attrazione turistica perchè incarnano l’identità della comunità locale.
    Entro il 2080
    Queste iconiche statue, si stimano oltre 800 quelle ritrovate sull’Isola di Pasqua, nascondo ancora tantissimi misteri. Ci si interroga sul perché fossero rivolte verso l’interno, forse per omaggiare i capi tribù indigeni morti, oppure come furono esattamente trasportate e issate all’interno dell’isola. Tra tante incertezze sta però emergendo una certezza: quella che entro il 2080 – racconta un nuovo studio – alcune delle più importanti statue di Rapa Nui saranno impattate dall’innalzamento del livello del mare che, come sappiamo, è legato all’aumento delle temperature dovute dalle emissioni antropiche, in sostanza dalla crisi del clima.

    Cosa succede al pianeta

    Stiamo cambiando gli equilibri della natura

    di Elena Dusi

    11 Agosto 2025

    Modelli digitali sull’innalzamento dell’oceano
    Una ricerca da poco pubblicata su Journal of Cultural Heritage e curata dagli esperti dell’Università delle Hawaii a Manoa stima infatti che entro il 2080 l’innalzamento del livello del mare potrebbe causare onde stagionali che raggiungeranno Ahu Tongariki.
    Quest’ultima è l’iconica piattaforma cerimoniale che fa parte del Parco Nazionale di Rapa Nui ed è patrimonio mondiale dell’UNESCO: qui si trovano i 15 moai più simbolici dell’isola e, l’intero sito, è considerato per cultura e tradizione uno dei più importanti, se non il principale, dell’Isola di Pasqua.
    Le inondazioni costiere, aggiungono i ricercatori, minacciano in totale 51 beni culturali della zona. “Questa ricerca rivela una minaccia critica alla cultura vivente e ai mezzi di sussistenza di Rapa Nui” ha spiegato Noah Paoa, autore principale dello studio e ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra presso la UH M?noa School of Ocean and Earth Science and Technology (SOEST).

    Non solo un’attrazione turistica
    “Per la comunità, questi siti sono un elemento essenziale per riaffermare l’identità e sostenere la rivitalizzazione delle tradizioni. Dal punto di vista economico, rappresentano la spina dorsale dell’industria turistica dell’isola. Non affrontare questa minaccia potrebbe in ultima analisi mettere a repentaglio lo status di patrimonio mondiale dell’UNESCO dell’isola” ha voluto ricordare Paoa, spiegando come le nuove informazioni potrebbero essere vitali nel tentativo di adattarsi e proteggere i beni culturali dell’Isola di Pasqua.

    Biodiversità

    Sbiancare le nuvole per salvare i coralli: l’esperimento di “cloud brightening”

    di Giacomo Talignani

    28 Luglio 2025

    Sfide ambientali più ampie
    Per stimare l’impatto dell’innalzamento del mare, la stessa emergenza che oggi sta minacciando tantissime isole del Pacifico, i ricercatori hanno realizzato un gemello digitale del sito di Ahu Tongariki e, attraverso modelli computerizzati e scenari internazionali come quelli tracciati dall’IPCC (Gruppo intergovernativo cambiamenti climatici) sull’innalzamento del mare, hanno simulato come il moto ondoso avrebbe impattato la costa.
    “Purtroppo da un punto di vista scientifico i risultati non sono sorprendenti. Sappiamo che l’innalzamento del livello del mare rappresenta una minaccia diretta per le coste a livello globale. La domanda cruciale non era se il sito sarebbe stato colpito, ma quanto presto e con quale gravità. Il nostro lavoro mirava a stabilire possibili tempistiche entro cui aspettarci che gli impatti si verificassero. Scoprire che le onde potrebbero raggiungere Ahu Tongariki entro il 2080 fornisce i dati specifici e urgenti necessari per incentivare il dibattito e la pianificazione comunitaria per il futuro” chiosa Paoa.

    Cosa succede al pianeta

    L’esodo silenzioso dei migranti climatici

    di Fiammetta Cupellaro –

    25 Agosto 2025

    I migranti climatici delle isole Tuvalu
    Le sfide che Rapa Nui deve affrontare sono del tutto simili a quelle di diverse altre zone costiere del mondo, tra cui per esempio le isole Tuvalu, dove oggi grazie a una sorta di passaporto climatico molti abitanti stanno migrando in Australia, ma anche delle Maldive, le Isole Marshall, le Fiji, le Hawaii.
    Nel Pacifico in particolare oltre metà della popolazione vive entro 500 metri dalla costa: per molte persone il futuro si sta trasformando in una scelta, rimanere nelle aree ad alto rischio o trasferirsi per garantire la propria esistenza. I grandi giganti di Rapa Nui, ovviamente, resteranno lì dove sono: il rischio però è che le onde stravolgono indirettamente, impattando le statue, la vita di migliaia di famiglie.
    “Per tutta la comunità – chiosano i ricercatori – questi siti sono fondamentali per le tradizioni e dal punto di vista economico sono centrali per l’industria turistica dell’isola”. LEGGI TUTTO

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    Accordo globale sulla plastica: i colloqui si bloccano a poche ore dalla fine dei negoziati

    Oggi sapremo che ne sarà della plastica. Ma anche dei suoli e dei mari che ne risultano contaminati. Terminano infatti formalmente a Ginevra i negoziati iniziati il 5 agosto scorso e che avrebbero dovuto portare al primo trattato mondiale contro l’inquinamento da plastica, ma i colloqui si sono bloccati a poche dalla scadenza. Obiettivo dell’appuntamento voluto dall’Onu, redigere un trattato che disciplini alcuni punti fondamentali: la riduzione dei livelli di produzione di plastica monouso, il divieto di alcune delle sostanze chimiche più nocive presenti nella plastica, la definizione di linee guida universali per la progettazione di prodotti in plastica e la garanzia di finanziamenti per queste iniziative.

    Divisioni e veti
    Ma dopo nove giorni di trattative, le distanze tra i due principali schieramenti (nella città svizzera si confrontano i rappresentanti di 180 nazioni) sembrano ancora incolmabili. Quasi 100 paesi respingono la bozza di trattato definendola “poco ambiziosa” oppure “inadeguata”. A frenare è soprattutto il blocco dei Paesi produttori di petrolio, guidati da Arabia Saudita, Russia e Iran, e di cui fanno parte anche Kuwait, Egitto, Kazakistan e Azerbaigian. I loro delegati si oppongono a qualsiasi misura di tagli alla produzione della plastica, proponendo che invece, per ridurre l’inquinamento, si potenzi il riciclo dei rifiuti. Sulla stessa posizione si collocano anche gli Stati Uniti.

    L’81% della produzione mondiale finisce in discarica
    Il problema è che, nonostante gli sforzi degli ultimi anni, a livello globale delle 460 milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno, se ne riesce a riciclare appena il 9%, mentre l’81% diventa un rifiuto a un anno dalla produzione: quasi la metà finisce nelle discariche e più di un quinto viene disperso nell’ambiente.
    L’ostinazione dei petrostati (e dei loro sodali) viene spiegata dagli analisti con l’esigenza di conquistare nuovi mercati in previsione di un crollo delle vendite di greggio dovute alla crescente diffusione della mobilità elettrica. L’Arabia Saudita e molti altri Paesi produttori stanno scommettendo sulla plastica, e più in generale sull’industria petrolchimica, per compensare la futura minore richiesta di combustibili fossili.

    Inquinamento

    Plastica, mozziconi e cotton fioc: sulle spiagge 892 rifiuti ogni 100 metri

    a cura della redazione di Green&Blue

    02 Aprile 2025

    La posizione della Ue
    L’Unione europea fa parte del fronte che vorrebbe un drastico taglio della produzione. Ma rischia di predicare bene e razzolare male: nel Vecchio Continente il consumo medio annuo di plastica è di circa 150 kg a persona, più del doppio della media globale che è pari a 60 kg pro capite. E la domanda è destinata a crescere: se nel 2024 l’Europa ha usato 87 milioni di tonnellate di plastica, l’Ocse prevede che nel 2040 verrà sforato il tetto delle 101 milioni di tonnellate.

    Giornata Mondiale dell’Ambiente 2025: la plastica è ovunque, alleanza globale contro l’inquinamento

    di Loredana Diglio

    05 Giugno 2025

    Il pressing dei Paesi che subiscono la crisi climatica
    Più credibile il pressing per il taglio alla produzione esercitato da quelle nazioni che vedono i loro mari e i loro suoli sempre più inquinati dalla plastica: circa l’85% dei rifiuti marini provenienti da fonti terrestri è costituito da plastica, che rappresenta un rischio per la vita marina e la salute umana attraverso la catena alimentare. Ma c’è anche chi sta pagando, prima di altri, il costo dei cambiamenti climatici, per esempio gli Stati insulari del pacifico che rischiano di essere sommersi dall’innalzamento del mare: la produzione di plastica è responsabile di oltre il 5% delle emissioni di gas serra, stando a uno studio realizzato presso il Lawrence Berkeley National Laboratory.
    Lo stallo dura ormai dal 2022, quando l’Unep (l’agenzia Onu per la protezione dell’ambiente) propose la stipula di un trattato. L’ultimo smacco nel dicembre scorso in Corea del Sud, quando i negoziati si conclusero con un nulla di fatto. Ora nella città svizzera l’appuntamento decisivo, che ha richiamato ben 234 lobbisti dell’industria chimica e dei combustibili fossili: più delle delegazioni messe insieme di tutti i 27 Stati membri della Ue più la delegazione della stessa Unione europea. LEGGI TUTTO