5 Agosto 2025

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    Un silenzio inaspettato e preoccupante: i suoni scomparsi delle balenottere azzurre

    Nelle profondità degli oceani la musica sta cambiando. Per ora regge il “jazz”, come quello delle balene dell’Artico, ma altri canti – prodotti dal più grande animale del mondo – si stanno affievolendo, lentamente diminuiscono e non si ascoltano più.
    Per gli scienziati è un segnale preoccupante, con una causa ben precisa: le ondate di calore marino, il surriscaldamento dei mari legato alla crisi climatica innescata dall’uomo, sta portando a una diminuzione in certe aree degli oceani della disponibilità di cibo per le balenottere azzurre, costrette a impiegare più tempo a cacciare e meno nelle vocalizzazioni.

    L’eco degli oceani
    Considerati i mammiferi più grandi del Pianeta, capaci di pesare anche 160 tonnellate e superare i 30 metri di lunghezza, questi straordinari animali stanno subendo gli effetti del surriscaldamento globale e, come risposta, sembrano dunque “cantare” meno. Sia le balenottere azzurre che quelle comuni si nutrono principalmente di krill: i cambiamenti in atto negli oceani, sempre più caldi e acidi, hanno ridotto la disponibilità di krill: secondo uno studio pubblicato quest’anno su Plos One il risultato è stata una diminuzione delle forme di comunicazione fra i grandi cetacei. Per diversi anni, a partire dal luglio 2015, il ricercatore John Ryan del Research Department del Monterey Bay Aquarium Research – che curiosamente ha lo stesso nome e cognome di un noto cantautore – ha registrato i suoni dell’oceano nella California centrale. Grazie a un idrofono ancorato a oltre 900 metri di profondità e un sistema costante di monitoraggio acustico dell’ecosistema Ryan e altri ricercatori stavano cercando schemi nel canto delle balene a seconda delle stagioni e degli anni.

    Tutela della biodiversità

    Islanda, ferma la caccia alla balena per il 2025

    di Giacomo Talignani

    26 Giugno 2025

    Le vocalizzazioni delle balenottere diminuite del 40%
    Quello che hanno scoperto è che mentre per esempio le megattere, specie con una dieta diversificata, sono state in grado di adattarsi ai cambiamenti in atto, senza così cambiare i loro canti, le balenottere azzurre hanno invece diminuito la frequenza con cui emettono i suoni rispetto ai primi anni di registrazioni. Il motivo sarebbe appunto da ricercare nella minore disponibilità di cibo per queste balene, messe in difficoltà dalle ondate di calore che portano a loro volta alla proliferazione di alghe tossiche che impattano proprio sugli stessi mammiferi marini e gli ecosistemi. Con la diminuzione delle prede, confermano anche altri studi più recenti, le vocalizzazioni delle balenottere azzurre sono così diminuite – in parallelo al calo di krill e altri organismi di cui si nutrono – di quasi il 40%. Ryan ha spiegato al National Geographic che è comprensibile dato che “a pensarci bene è come cercare di cantare mentre si muore di fame”.

    Biodiversità

    L’Intelligenza artificiale per salvare le balene franche

    di Simone Cosimi

    22 Aprile 2025

    Inquinamento acustico, microplastiche e perdita di cibo
    Tra inquinamento acustico, diffusione di microplastiche, traffico navale ed impatti della crisi del clima e perdita di fonti nutrienti in certe zone dell’oceano la pressione antropica sta dunque portando a un cambiamento della “musica” degli oceani, il che significa ulteriore difficoltà nella ricerca per la protezione e conservazione delle balene. Ascoltare canti, suoni e rumori aiuta infatti a decifrare i segreti della vita marina e gli equilibri della natura. Adesso che le ondate di calore hanno portato il numero di krill a diminuire e ha agevolato la dispersione di questi organismi, per le balene resta complesso trovare cibo a sufficienza, tanto che “non le sentiamo cantare perchè stanno spendendo tutte le loro energie a cercare cibo” spiega Ryan specificando che questo avviene soprattutto negli anni con ondate di calore più importanti.

    Biodiversità

    Senza l’impatto dell’uomo le balene vivono molto più a lungo di quanto credevamo

    di Giacomo Talignani

    03 Gennaio 2025

    Anche in Nuova Zelanda
    Oltre alla California condizioni simili sulle balenottere azzurre sono state osservate anche al largo della Nuova Zelanda dove esperti hanno testimoniato come le ondate di calore marino possono impattare sulle vocalizzazioni e anche sulla riproduzione. In generale, chiosano gli scienziati, il problema è che avendo le balene una vita duratura (anche oltre 80 anni) potrebbe servire molto tempo per comprendere a fondo gli effetti delle azioni antropiche su di loro e, per esempio, sulla perdita dei loro canti. Il nuovo silenzio dei mari però, quello dovuto a meno suoni degli animali e più rumori antropici, dovrebbe avere per tutti un suono preciso: quello di un campanello d’allarme importante e da non sottovalutare. Per capire il futuro infatti, concludono, gli esperti, “ora più che mai è importante ascoltare” in modo da poter proteggere le creature marine. LEGGI TUTTO

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    Ginestra in fiore: tutto quello che c’è da sapere

    La ginestra, con i suoi vivaci fiori gialli e il profumo inebriante, è una protagonista indiscussa dei paesaggi mediterranei. Questa pianta, appartenente alla famiglia delle Fabaceae, non solo decora colline e pendii con la sua esplosione di colore, ma svolge anche un ruolo ecologico significativo nel consolidamento dei terreni.?

    Caratteristiche generali della ginestra
    La ginestra è un arbusto perenne che può raggiungere altezze considerevoli, spesso fino a 2-3 metri. Le sue foglie sono generalmente piccole e cadono presto, lasciando spazio a rami verdi e flessibili che svolgono la fotosintesi. I fiori, di un giallo intenso, sbocciano in primavera e inizio estate, emanando un profumo dolce e penetrante.? La ginestra in realtà non è solo bellezza, ma ha anche una forte valenza simbolica: per Giacomo Leopardi, infatti, la ginestra rappresentava la dignità dell’uomo di fronte all’indifferenza della natura, la forza di chi fiorisce nonostante la desolazione. Un messaggio che oggi, in tempi di crisi ecologica, risuona più attuale che mai.

    Tipi di ginestra più comuni
    La famiglia della ginestra comprende numerose specie spontanee e ornamentali, utilizzate in ambito paesaggistico per bordure, siepi informali e rinaturalizzazioni. Tra le più comuni ci sono:

    Spartium junceum: nota come ginestra odorosa (o ginestra “comune”), è la più diffusa in Italia è un albero o arbusto dal portamento elegante, con lunghi rami verdi e sottili, quasi privi di foglie. I fiori giallo intenso, molto odorosi, sbocciano tra maggio e giugno. Raggiunge i 2-4 metri di altezza;
    Cytisus scoparius: conosciuta come “ginestra dei carbonai”, presenta fusti eretti e fiori gialli brillanti (anche se possono essere rossi, arancioni o bianchi).? È adatta a giardini di dimensioni contenute, ma alcune varietà nane sono ideali per la ginestra in vaso;
    Genista tinctoria: detta “ginestra dei tintori”, storicamente impiegata per estrarre coloranti naturali.? Specie selvatica bassa e diffusa, ha un portamento tappezzante ed è particolarmente indicata per aiuole rustiche, scarpate o come copri suolo resistente alla siccità;
    Genista etrusca: Cresce spontaneamente nei terreni calcarei dell’Italia centrale. Ha un aspetto più selvatico, con fiori gialli raccolti in grappoli.

    Coltivazione della ginestra: terreno, esposizione e trapianto
    La ginestra è una pianta rustica che si adatta a diverse condizioni ambientali, ma predilige terreni ben drenati e posizioni soleggiate. Come ci si prende cura di questa pianta dai colori meravigliosi e dal profumo avvolgente? Bastano poche ma regolari accortezze, che ne garantiranno la sua salute a 360°.

    Partendo dal terreno, bisogna dire che la ginestra predilige suoli poveri, sabbiosi o ghiaiosi, che però abbiano un buon drenaggio. Per una buona fioritura, poi, è necessario lasciarla esposta in pieno sole, che ama. Va quindi posizionata in un luogo molto luminoso, esposto a sud o sud-ovest. Se lasciata all’ombra o anche in mezz’ombra, la fioritura sarà ridotta o addirittura assente.

    Effettuare la messa a dimora della ginestra è possibile, basterà seguire con cura i passaggi necessari. Il trapianto in piena terra si effettua preferibilmente in autunno o a fine inverno, in modo che la pianta possa sviluppare un buon apparato radicale prima della stagione calda. Per trapiantare correttamente la ginestra, quindi, si consiglia di:

    Scavare una buca ampia (almeno il doppio del vaso);
    Inserire materiale drenante (ghiaia, sabbia grossolana) sul fondo;
    Collocare la pianta e coprire con terra asciutta e ben assestata;
    Innaffiare solo al momento del trapianto.

    Ginestra in giardino: una scelta sostenibile
    Rustica, resistente alla siccità, capace di prosperare su terreni poveri: la ginestra è una pianta perfetta per giardini sostenibili. Si sposa bene con altre essenze mediterranee come lavanda, rosmarino, santolina, elicriso. Ideale per scarpate e pendii, giardini secchi e a bassa manutenzione e progetti di rinaturalizzazione. Insomma, una pianta multitasking, perfetta e dai risultati estetici sempre meravigliosi.
    Prendersi cura della ginestra: irrigazione, potatura e concimazione
    Una volta stabilita, la ginestra non ha bisogno di irrigazione regolare. Resiste bene alla siccità e se coltivata in vaso o nei primi mesi dopo il trapianto, può richiedere acqua in caso di prolungata assenza di pioggia.
    Eseguire la potatura è consigliabile, soprattutto dopo la fioritura, quindi in estate. Questo è uno step particolarmente importante dal punto di vista della stimolazione: ripulendo la pianta la forma sarà contenuta e la nuova vegetazione nascerà più rigogliosa di prima. Attenzione a non tagliare troppo: i fiori si formano sui rami dell’anno precedente.

    E la concimazione? In terreni poveri può essere utile somministrare alla ginestra un fertilizzante leggero a lento rilascio, povero di azoto. Step da eseguire in primavera, evitando di utilizzare concimi troppo ricchi che favoriscono la vegetazione a scapito dei fiori.
    Parassiti e malattie della ginestra: cosa sapere
    Generalmente resistente, la ginestra può occasionalmente essere attaccata da afidi o cocciniglie. Monitorare la pianta e intervenire con trattamenti specifici se necessario.
    Fioritura della ginestra: quando sboccia e quanto dura
    La fioritura della ginestra è un evento spettacolare che colora il paesaggio di giallo intenso. Avviene principalmente tra maggio e giugno, a seconda delle condizioni climatiche. Per garantire una fioritura rigogliosa è consigliabile assicurarsi di posizionare la pianta alla luce del sole (almeno 6 ore di luce diretta al giorno) e, come visto pocanzi, di eliminare tutti i fiori appassiti per favorire la produzione di nuovi boccioli.

    La ginestra è velenosa?
    È vero, alcune specie di ginestra sono velenose se ingerite. In particolare, la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius) contiene alcaloidi tossici per l’uomo e per gli animali domestici. È bene evitare di piantarla in luoghi accessibili a bambini e animali. La semplice manipolazione non è pericolosa, ma è sempre buona norma lavare le mani dopo averla potata. LEGGI TUTTO

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    L’Everest sempre più simile ad una discarica d’alta quota: droni per ripulire la vetta

    Sulla vetta del mondo, l’Everest, tra tonnellate di rifiuti. Il problema è noto da tempo. Decenni di spedizioni hanno portato sul Monte Everest, oltre che migliaia di scalatori ed avventurieri, anche migliaia di detriti sparsi sulle pendici della montagna più alta del mondo. Tende abbandonate, bombole di ossigeno vuote, bottiglie di plastica, imballaggi alimentari, rifiuti fisiologici. Le stime più recenti indicano circa 50 tonnellate di rifiuti sparsi sulla montagna. Un luogo che dovrebbe essere simbolo di purezza, e che invece si avvicina sempre di più ad una discarica.

    Focus

    Ghiacciai neri, cosa sono e perché si tratta di una brutta notizia

    di Paola Arosio

    11 Luglio 2025

    Le autorità nepalesi e gli sherpa da tempo sono impegnati nella rimozione dei rifiuti dalle vette himalayane, già dal 2019, ma i campi più alti rimangono una sfida. Infatti, per salire e riscendere ci vogliono ore e ore di cammino. E farlo con sacchi di spazzatura è un’operazione piuttosto complicata. Per fortuna, anche in questo caso, la tecnologia arriva in aiuto per rendere possibile e più semplice queste azioni di pulizia straordinaria. L’idea viene da un’azienda locale, chiamata Airlift Technology guidata dall’ingegnere aeronautico Raj Bikram Maharjan, che ha pensato di utilizzare i droni di un noto brand cinese, per ripulire i luoghi più impervi. Infatti, fino ad oggi, i droni venivano usati per trasportare cibo o attrezzature nelle spedizioni sulle vette. Oggi invece sono gli spazzini dell’Everest.

    Questi droni possono trasportare carichi significativi, dai 15 kg ai 32 kg, in base alla lunghezza del percorso e all’altitudine da raggiungere. Si tratta, in ogni caso, di carichi piuttosto pesanti. L’azienda nepalese li sta utilizzando per trasportare rifiuti dal Campo 1, che si trova a circa 6.000 metri di altitudine, al di là della pericolosa cascata di ghiaccio del Khumbu, fino al Campo Base più in basso a 5.300 metri. Un tratto molto pericoloso da percorrere anche per figure super esperte come gli sherpa.

    Uno dei vantaggi più significativi dei droni è proprio la riduzione dei rischi per gli sherpa, che tradizionalmente devono affrontare ore di cammino attraverso il Khumbu Icefall, per trasportare rifornimenti e rifiuti. Invece, i droni possono completare lo stesso viaggio in pochi minuti, evitando agli sherpa di affrontare carichi pesanti in condizioni estreme e riducendo il rischio di incidenti mortali. Nel periodo primaverile, un solo drone è riuscito a trasportare quasi circa 1.300 kg di attrezzature e spazzatura tra i campi, rimuovendo una tonnellata di rifiuti in due mesi.

    Ma la sostenibilità di questo progetto, non si ferma solo alla pulizia, perché l’uso dei droni contribuisce a ridurre la necessità degli elicotteri, che sono più costosi, rumorosi e ovviamente hanno un maggiore impatto ambientale. Ma all’orizzonte c’è anche di più. La Airlift Technology prevede di espandere l’uso dei droni anche ad altre vette di 8.000 metri in Nepal allargando il progetto di supporto alla logistica e di pulizia straordinaria di luoghi difficilmente accessibili all’uomo.

    (foto: Airlift)  LEGGI TUTTO

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    Fotovoltaico, incentivi anche agli “autoconsumatori virtuali”

    Non solo CER e Gruppi di autoconsumo. Anche chi installa un impianto fotovoltaico sulla propria casa può accedere agli incentivi gestiti dal GSE a patto di avere due utenze elettriche intestate in due immobili diversi e di “collegarle” allo stesso pannello. In questo caso infatti si rientra nella configurazione dell’Autoconsumatore virtuale a distanza e diventa possibile ottenere due benefici: il risparmio in bolletta per l’utenza direttamente collegata al pannello, e l’incasso della Tariffa incentivante per il consumo della seconda utenza. Per questa configurazione non è possibile accedere al contributo PNNR a fondo perduto per l’installazione dell’impianto ma si può usufruire del bonus fiscale del 50% o 36%, a seconda che si tratti di prima o seconda casa.

    Due case un pannello
    Tecnicamente l’autoconsumatore virtuale a distanza è un soggetto titolare di almeno due punti di connessione distinti: uno collegato a un’utenza di consumo e uno a cui è collegato un impianto di produzione che si deve trovare in una zona diversa ma nell’ambito di una stessa cabina primaria (snodo della rete verso le cabine secondarie e di qui verso singole utenze). In città una cabina primaria può coprire fino a quattro quartieri, e nei centri rurali fino a quattro comuni, questo significa che ci sono molte possibilità di approfittare dei vantaggi economici offerti da questo sistema. In pratica chi è intestatario di due utenze, ad esempio casa e ufficio, casa e negozio, casa e box in un altro condominio, può installare un impianto unico e costruirsi una rete virtuale di consumo condiviso e ottenere i benefici del risparmio diretto e l’incentivo su quello virtuale.

    Quanto vale l’incentivo
    Il meccanismo di calcolo da parte del GSE, infatti, è lo stesso per tutte le configurazioni, per cui la Tariffa incentivante viene riconosciuta sulla quota complessiva di consumi registrata alla stessa ora da tutti i punti di prelievo presenti nella configurazione rispetto alla produzione oraria dell’impianto. Così ad esempio posta una produzione di 100 e un consumo di 70 sommando tutte le utenze, ossia quella collegata direttamente e quelle che fanno parte della rete virtuale dell’autoconsumatore a distanza, l’incentivo sarà su 70, mentre la quota in eccesso potrà essere venduta tramite il sistema del Ritiro dedicato.

    Incentivi anche in caso di accumulo
    In pratica quando ci si trova nell’immobile dove sono installati i pannelli, l’energia solare viene co-consumata direttamente, generando il massimo risparmio possibile sulla bolletta elettrica. Negli orari in cui il proprietario si trova nell’altro immobile, invece, l’energia prodotta dai pannelli viene “condivisa” virtualmente attraverso la rete elettrica e si ottiene in termini economici un beneficio maggiore rispetto alla vendita diretta. Per l’energia “condivisa” virtualmente si ottiene la tariffa incentivante GSE (10,4 c€/kWh) più il contributo ARERA (0,8 c€/kWh). E’ anche possibile installare batterie di accumulo e anche l’energia immagazzinata contribuisce al conteggio, in quanto l’obbiettivo degli incentivi è appunto quello di favorire l’autoconsumo.

    Come presentare la domanda
    La richiesta per ottenere la Tariffa incentivante si presenta esclusivamente online attraverso il portale del GSE, utilizzando le proprie credenziali SPID o quelle fornite dal gestore. La procedura è completamente digitale: dopo aver caricato la documentazione richiesta – schema elettrico dell’impianto, verbali dei contatori e titoli di proprietà degli immobili – il sistema genera automaticamente la dichiarazione da firmare digitalmente. A differenza di altri incentivi che hanno finestre temporali limitate, per l’Autoconsumatore a distanza è possibile fare richiesta in qualsiasi momento dopo l’installazione dell’impianto. L’istruttoria del GSE dura al massimo sessanta giorni. Gli incentivi percepiti per l’energia condivisa sono integralmente esenti da imposte per l’intera durata ventennale del riconoscimento. LEGGI TUTTO

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    “Liberare il mare”: 800 chili di reti fantasma recuperate con i pescatori

    Sono una delle principali minacce agli ecosistemi marini. Nemici invisibili soprattutto per pesci e tartarughe. Sono le reti da pesca fantasma, perse dai pescatori accidentalmente o volontariamente abbandonate sul fondo del mare. Ci sono però due luoghi in Sicilia dove cittadini, amministrazione, pescatori e gli uomini della Guardia Costiera tutti insieme stanno facendo qualcosa di concreto per risolvere il problema. Almeno in parte. Siamo a Siracusa e a Terrasini, comune costiero in provincia di Palermo affacciato sul golfo di Castellamare. Grazie al progetto “Liberare il mare, Destinazione Rifiuti Zero Sicilia” sono state recuperati 800 chili di reti da pesca abbandonate in due aree di elevato pregio naturalistico e turistico: tra lo Scoglio del Corallo e Cala Rossa a Terrasini, e al largo della Baia di Ognina a Siracusa. Entrambe le iniziative, realizzate in collaborazione con Abyss Clean Up, associazione specializzata nella rimozione di rifiuti marini e reti fantasma, con il supporto scientifico del Cnr e resa possibile grazie al sostegno di TUI Care Foundation. Liberati anche diversi animali marini ancora in vita trovati intrappolati nelle reti, tra cui stelle marine una specie protetta.

    Una fase del progetto “Liberare il mare” al largo di Terrasini e Siracusa (per gentile concessione di Sicily Environment Fund)  LEGGI TUTTO